Una seduta spiritica

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- Dài, sarà divertente! - così Pierdinando, detto Pier, mi convinse a preparare la messinscena. Chi di noi nella propria adolescenza non ha sentito parlare di sedute spiritiche? Chi di noi non ha abbassato il tono della voce per raccontare storie sentite da altri che avevano abbassato la voce? Così Pier e io organizzammo, allora avevamo sedici anni a testa, una seduta spiritica.

Il vero obiettivo era stupire due nuove amiche, più grandi di noi forse di un paio d'anni; queste ci trattavano come bambini, benché noi avessimo intenzioni da adulti, e si scambiavano sempre risatine alle nostre spalle. Però uscivano con noi volentieri e una di quelle sere annunciammo loro che avremmo tenuto la famigerata seduta.

Loreley, la più giovane, prima rise della cosa, poi si zittì accorgendosi che Isaar, la più grande e anche la più avvenente, era seria e aveva abbassato la voce:

- Davvero? Siete capaci di preparare una seduta spiritica? E dove avete trovato il medium?

Pier, svelto come una donnola, sussurrò subito, con voce ancora più bassa:

- Lui - indicando me, mettendomi nei pasticci. Infatti non avevamo ancora pensato ai dettagli pratici della cosa e quindi non ci eravamo divisi le parti. Fra l'altro io non avevo mai partecipato ad una seduta spiritica e non conoscevo, se non per sentito dire, gli atteggiamenti che avrebbe dovuto tenere un medium.

Ma, nel caso, alzai un po' il mento e assunsi un'aria fra il trasognato e il sapiente che doveva, secondo me, essere quella giusta. Quasi per miracolo non scoppiai a ridere, ma riuscii a far colpo sulla più bella:

- Beh, allora si fa! Andiamo nella mia vecchia casa di campagna, vi va?

Quella sera stessa, quando arrivammo di fronte alla 'vecchia casa di campagna' di Isaar non potemmo fare altro che rabbrividire: era una specie di castello, piccolo e quadrato, che dominava la cima di una collina.

Di giorno forse avrebbe anche potuto suscitare simpatia, ma in quel frangente, mezz'ora dopo il tramonto, sembrava un mastino arrabbiato che, accucciato sulle gambe posteriori, ti guarda di sottecchi aspettando di azzannarti.

Con due sorrisi un po' tirati, io e Pier andammo dentro mentre Loreley aiutava Isaar a tirar giù dalla sua auto le provviste per la sera.

Cenammo infatti, ridemmo, cantammo, in piena allegria ad aspettare la mezzanotte. I canti erano all'inizio spensierati, poi si fecero sempre più disperati, finché verso le undici stavamo quasi gridando per nasconderci alle nostre paure.

Solo Isaar sembrava abbastanza tranquilla, forse perché era casa sua e magari trovava familiari i lunghi armadi incombenti e le spettrali braccia dei candelabri. Noi cominciammo invece a guardarci dietro le spalle, a chiudere le finestre che cigolavano troppo, a sobbalzare al minimo rumore. Quando incrociavo Pier gli lanciavo le occhiate peggiori che fossi mai riuscito a scagliare contro qualcuno, solo che lui sorrideva sornione e incosciente.

Ci spostammo nella vecchia sala d'armi, a prendere posto attorno ad un tavolo, rotondo e sberciato, ma solido. La polvere aveva disegnato forme inquiete che Loreley si affrettò a cancellare con una risatina nervosa. Pier si sedette di fronte a me, Isaar alla mia sinistra e Loreley a destra. Entrambe avevano già messo le mani aperte sul tavolo aspettando il mio via.

Io, preso nella mia parte mi mossi come ipnotizzato, distesi le dita lentamente, mentre nel buio della casa e nel silenzio della notte si sentivano strani rumori dalle origini assolutamente improbabili.

Avvicinai le mani a quelle delle ragazze e rabbrividii istantaneamente quando toccai le loro dita fredde. Ebbi un attimo di paura, inspirai profondamente per riprendere il controllo, ma mi resi conto che non potevo che continuare.

Mi concentrai. Dopo un paio di frasi a mo' di invocazione e una specie di preghiera agli spiriti buoni di proteggerci dai cattivi, cominciai a incupire la voce.

Bisogna dire che quando decisi di abbassare la voce e di assumere un tono baritonale, non avrei mai immaginato di riuscirci così bene.

- Eccomi, ragazzi - dissi con fare tenebroso. Rabbrividirono; Pier sorrise, ma non troppo.

- Allora, perché mi avete chiamato? - feci sempre con voce profonda. Pier, come avevamo convenuto, avrebbe dovuto fare un po' di richieste personali, a cui io avrei ribattuto azzeccando esattamente le risposte, per dimostrare la serietà della cosa.

- Chi sei? - chiese invece banalmente lui, che ora appariva un po' meno allegro. Le ragazze erano tesissime, attente, ma mute.

Non so perché, da quel punto cominciai a far fatica a respirare; anzi in certi momenti ero proprio fermo con il fiato in gola. La sensazione era sgradevole, a tratti riuscivo a inalare un po' d'aria solo con un certo sforzo.

Non vedevo più nulla di chiaro; dietro il loro viso le forme dei mobili sembravano ombre di creature mostruose, come un circolo di spettatori incappucciati. Distolsi lo sguardo per evitare di guardare: se avessi visto una di quelle forme muoversi avrei sicuramente cacciato un urlo.

Forse era l'atmosfera, forse il fatto che mi stavo impersonando bene nel personaggio: comunque cominciai a rispondere a tono senza neppure pensare, tanto le parole mi venivano  così spontanee...

- Chi sei? - ripeteva nervoso Pier - Dicci chi sei, cosa hai fatto, parlaci!

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