Capitolo 13

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Kate schiuse gli occhi con lentezza, stropicciandosi le palpebre con un dito e sfregando il solco umidiccio che le avevano lasciato sulle guance le lacrime, prima di scivolarle nella bocca.

La ragazza spalancó gli occhi e sentì il battito del cuore accelerarle pericolosamente: non aveva fatto un incubo.

Si alzó dal gelido pavimento con un gesto immediato, ignorando i dolori alle natiche, e si sporse oltre la finestra, sul cui davanzale erano ammucchiati polvere e sporcizia. I raggi del sole sgomitavano prepotentemente i rami degli alberi, cercando di aprirsi un varco, ma quelli si accartocciavano su loro stessi impedendo il passaggio perfino alla luce.

La porta era socchiusa e cigolava impercettibilmente, probabilmente mossa da un lieve spiffero.
Qualcuno doveva averla aperta mentre dormiva.

La spinse con cautela e si ritrovò in un corridoio stretto e buio, sul quale si affacciavano poche porte. Erano scarabocchiate e sgraffiate esattamente come quella della camera in cui l'avevano rinchiusa, ma meno impolverate.

"Saranno le stanze di quei tre delinquenti"

Si disse. Al solo pensiero degli uomini mascherati che l'avevano segregata in quella casa senza degnarsi di darle una benché minima spiegazione, avvertí una scarica di rabbia pervaderle il corpo e, scuotendo la testa, inizió mentalmente a coprirli di insulti fiammanti.

Limitando la furia ai pensieri, prese a scendere le scale, con passo felpato, accarezzando i gradini con le sue Converse nere proprio come aveva fatto innumerevoli volte, quando tornava tardi la notte a casa e non voleva che sua madre se ne accorgesse.

Arrivata al piano terra riconobbe il salone trascurato, inondato dal fastidioso rumore di statico che occupava tutta la TV, che nonostante non trasmettesse niente era accesa.

Una delle due porte era semi aperta e lasciava percepire lo scroscio di un getto d'acqua.

Kate, in punta di piedi, si compresse contro il telaio e allungó leggermente il collo, per sbirciare all'interno della stanza, che realizzò essere una rudimentale cucina.

L'inequivocabile cozzare della ceramica misto allo sciabordio le rivelò che qualcuno stava lavando i piatti. Non capí subito chi dei tre fosse, perché se ne stava curvo sul lavandino canticchiando un motivetto inquietante.

-Ti vedo benissimo - cantilenó, ad un certo punto.

Kate, istintivamente, sobbalzó e urtó la schiena verso l'interno della parete, per ripararsi.

-Non saresti dovuta uscire dalla stanza - continuó il ragazzo, chiudendo il rubinetto e lasciando gocciolare le stoviglie -Non ti nascondere, adesso. Non sei un po' grande per giocare a "un, due, tre stella!" ? - emise una risata tetra.

Kate, tremante, si scostó dalla parete e riconobbe il ragazzo dalla maschera bianca. Era dannatamente angosciante.

-Perchè sono qui? - chiese seccamente -Voglio ritornare a casa mia -

-Non puoi - rispose quello, asciugandosi le mani sui jeans.

-Perché?! - strilló la ragazza, serrando i pugni lungo i fianchi -Non ti ho fatto niente! -

-Perchè - inizió ad avvicinarsi -L'Operatore ti vuole qui- spiegó, con un tono così calmo da spiazzare Kate.

L'Operatore? Ancora lui. C'entrava forse con il mostro della foresta?

-Chi è? - domandó, diffidente.

-Masky! - tuonó una voce cavernosa, dalle scale -Smettila di familiarizzare con la vittima -

"Masky" sospiró, infastidito -Non è una vittima...-

Kate lo guardó stupita, ancora sulla soglia della porta. Non volevano farle del male?

-Seguimi - le intimó il ragazzo con la giacca ocra, con un cenno.

-Io non vengo da nessuna parte - rispose la ragazza -Non finchè non riceverò delle risposte e tornerò a casa -

-Seguimi - ripetè, a pochi centrimetri dal viso di Kate, estraendo lentamente un coltello dalla tasca e facendo in modo che lei lo vedesse bene - Non ho intenzione di ferirti, ma di farti capire che devi comportarti come dico io -

Kate annuí, intimorita. Il suo volto di plastica era così vicino che poteva sentire il suo respiro sgusciare fuori dalla sottile fessura della maschera che gli scopriva pochi millimetri di labbra.
Puzzava di fumo e medicine. Le dava fastidio.


- D-dove stiamo andando? - domandò Kate, stringendosi le mani attorno alle spalle per cercare di scaldarsi un po'. Il vento freddo della foresta si insinuava tra le maglie della sua felpa bianca, punzecchiandole la pelle con aghi appuntiti.

Masky le camminava pochi metri avanti, senza girarsi mai a controllare se lei lo stesse ancora seguendo. Procedeva sicuro tra gli alberi, schiacciando con i suoi anfibi neri le foglie che rivestivano il suolo e buttando fuori dalla bocca nuvole di fumo grigio. Aveva alzato la maschera di pochi centimetri, quei pochi che permettevano alle sue labbra di accogliere una una sigaretta ardente.

-Hai detto di voler sapere chi è l'Operatore -iniziò, senza realmente attendere una conferma.

Kate affrettó il passo per raggiungerlo, restando solamente ad un metro o poco più per mantenere quella che lei definiva "distanza di sicurezza".

-Un tempo questa foresta non era come la vedi ora: splendeva sempre un sole caldo e i suoi raggi bucavano le fronde degli alberi, imponenti e verdeggianti.
Sembrava quasi... incantata. I bambini lo trovavano un ottimo posto per giocare - ridacchió, quasi intenerito, accarezzando la corteccia di un albero. -Un giorno, però, qualcosa andò storto - si fece serio tutto d'un colpo.

Kate lo osservò incuriosita -Che è successo? -

-La foresta va a fuoco. Per molti, inspiegabilmente. Si pensa addirittura sia opera del "diavolo". Tutto inizia a bruciare, a consumarsi sotto le fiamme come carta che arde nel camino. Il bosco diventa il teatro dell'Inferno, e anche dopo aver domato le fiamme, impresa che già di per sè sembrava quasi impossibile, non tornò mai più lo stesso. Un tempo veniva definito "benedetto", ed ora guarda: sembra che ti stia parlando della stessa foresta? -

Kate si guardó attorno, pur conoscendo già la risposta. Scosse la testa, scrutando quella che per tanto tempo era stato "il bosco delle fiabe" e che ora assomigliava molto di più al set cinematografico perfetto per un film horror.

-Non lontano da qui c'era una vecchia clinica psichiatrica, sai? - a quelle parole, Kate avvertí una fitta al petto -Alla fine si scoprí che il focolare dell'incendio era quello. Quella notte hanno trovato la morte tante anime innocenti: bambini, anche. I giornali e la TV ne hanno parlato per chissà quanto tempo -

Kate deglutí. Nella sua mente si fece largo l'immagine sfocata e confusa di una macchia rossa, demoniaca, che divora la foresta e tutto ciò che le capita a tiro. Le urla e i pianti spaccano i timpani e alimentano le fiamme, che ruggiscono spaventando i poveri disgraziati che si trovano lungo il suo cammino senza ritorno. Il fuoco infernale esplode in un boato e ammira orgoglioso la sua opera, beandosi del terrore che infesta gli occhi della gente, che sa che da lì a pochi istanti morirà. Magari qualcuno è già stato bruciato vivo, e non ha nemmeno fatto in tempo ad accorgersene.

Masky le dava le spalle, ora accovacciato per terra. Chissà, magari nelle loro menti correvano gli stessi pensieri.

-È terribile, davvero... - cominciò Kate, cercando di essere il più delicata possibile
-Ma...l'Operatore? Cosa c'entra in tutto questo?-

Tutto d'un tratto, il ragazzo sembró risvegliarsi dal suo stato di tralice. La guardò per un attimo col suo volto di plastica e si alzó.

-Non credere che l'incendio sia stata una casualità. Immaginati un uomo, che ancor prima di essere uomo, è padre. La sua unica ragione di vita è suo figlio, il suo bambino. È un genitore amorevole e giusto, che in un attimo vede il motivo della sua esistenza appeso ad un albero. Impiccato. Disperato, inizia a provare l'odio più cieco che esista: in un secondo ha perso tutto, vivere per lui non ha più senso. Impazzisce, viene rinchiuso in quel manicomio, ma dopo poco tempo appicca un incendio e riesce a scappare. Il suo volto è sfigurato dalle fiamme, ma il dolore fisico non è nulla in confronto a quello che lo corrode internamente. L'unica cosa che desidera è ricongiungersi con suo figlio. Si suicida, ai piedi dello stesso albero che ospita ancora il cadavere ciondolante e sanguinante di suo figlio -

Kate lo guardava allibita, sperando di cogliere una rassicurazione qualsiasi nei suoi occhi, attraverso le fessure della maschera.

-In quel bosco lancia una maledizione, che avrebbe colpito chiunque avesse osato addentrarvisi -sibiló -Da allora, su questa foresta veglia una creatura raccapricciante, la vera personificazione della paura. Così terrificante e potente da essere definito la morte stessa. Manipola la tua mente, la tua volontà, sopprime i tuoi pensieri finchè non ti rende un semplice schiavo, un pezzo di carne i cui fili sono mossi da lui soltanto. Ti distrugge internamente e fisicamente, finché di te non rimane solo un involucro vuoto. Gli altri lo chiamano Slenderman. Noi, preferiamo l'Operatore -

-Noi? -

Kate rimase zitta, sul posto. Non osava spiccicare parola, limitandosi a guardare il mozzicone di sigaretta tra le labbra di Masky, ormai quasi del tutto consumato.

-...chi sei, tu? - domandó, attonita.

Il ragazzo scosse la testa -Non lo so più -

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