Capitolo 15

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Kate pestava i piedi sul suolo con rabbia, spostando con le braccia i rami intricati che le ostacolavano il passaggio.
Il silenzio nella foresta era spezzato solo dallo scricchiolio delle foglie calpestate e dall'irritazione della ragazza.

Per un attimo era stata così stupida e ingenua da pensare addirittura che Masky avrebbe potuto aiutarla a scappare: inizialmente non si era mostrato aggressivo e le aveva spiegato chi fosse lo Slenderman, a partire dagli antefatti che lo avevano generato. E poi, cosa più importante, le aveva detto di aver tentato la fuga innumerevoli volte: non era forse il suo stesso desiderio?

Per questo Kate, in un momento di forte debolezza, aveva visto in lui un appiglio, uno scoglio a cui aggrapparsi per resistere a quella violenta corrente fatta di incubi e sofferenza che cercava in tutti i modi di trascinarla via e inghiottirla. Si sbagliava, ovviamente.
Come le era balenata l'idea di fidarsi di uno come lui? Lei era la vittima, lui il suo carnefice.

"Tornerò a casa da sola, in un modo o nell'altro" si disse, determinata.

Cercó di calmarsi, respirando profondamente e chiudendo gli occhi per concentrarsi al massimo. Liberó la mente da ogni pensiero, sebbene, dopo un po', lo sforzo le causó un leggero dolore alle tempie.

Non sapeva dove si trovava, non era capace di orientarsi in quel bosco: ogni suo centimetro le sembrava una sequenza infinita dello stesso albero e delle stesse foglie, eppure doveva concentrarsi.

Carl amava il cinema e molto spesso costringeva lei e Lauren a guardare film insieme: quel mucchio di CD e vecchie cassette le avevano insegnato che se ci si concentra a tal punto da diventare un tutt'uno con ciò che ci circonda, iniziando a far parte dell'equilibrio perfetto dell'universo, si possono acquistare poteri incredibili, ai limiti dell'immaginabile.

Kate non aveva idea se quel ragionamento fosse veritiero e tantomeno potesse adattarsi alla sua situazione, ma in quel momento le sembrava l'ultimo tentativo disperato: magari, con un po' di fortuna, sarebbe riuscita a ritrovare la strada che lei e i suoi amici avevano imboccato per tornare a casa, il giorno della festa di Margot.

Guidata esclusivamente dalla speranza, continuó a farsi strada tra gli alberi, allontanandosi sempre di più dal punto in cui aveva avuto l'allucinazione.
Continuò a camminare senza sosta in quella foresta per chissà quanto tempo: le sembrava di girare in tondo, eppure lei non poteva, non doveva darsi per vinta.

Da una parte era determinata a riconquistare la sua vita, perché ne aveva bisogno, ma dall'altra sapeva che, infondo, sarebbe stata un'impresa quasi impossibile da compiere autonomamente.

Nel momento in cui inizió a prendere in considerazione l'idea di essersi persa e l'ansia le inizió a risalire verso la gola, percepì un suono e il suo battito accelerò. C'era qualcuno oltre a lei, ed era probabilmente più vicino di quanto si aspettasse. Era sicura che non si trattasse di un animale.

La sua pelle fu scossa da un brivido rigido quando percepì un improvviso spostamento d'aria vicino la sua guancia destra. Il movimento fu così repentino che fu come tagliarsi un dito con la carta: Kate, sobbalzando, in un attimo spostó lo sguardo verso uno dei tanti alberi che la circondavano, sul quale si era appena abbattuto un rumore secco. Un'accetta era perfettamente conficcata nel legno, proprio al centro del tronco.
Fendeva la corteccia in due con una tale precisione, che Kate, giusto per un istante, dimenticó la paura per concentrarsi sulla perfezione di quel taglio.

Un istante dopo le si congeló il sangue nelle vene. Aveva riconosciuto quell'accetta: poteva appartenere solo ad una persona.

Si voltò di scatto, deglutendo, e come previsto, Toby la stava guardando da qualche metro di distanza, con il cappuccio della felpa alzato e gli occhi schermati da due grandi lenti gialle.
Non un millimetro del suo sguardo trapelava da sotto quegli occhiali, ma Kate intuiva che non fosse niente affatto rassicurante.

-C-che ci fai qui? - balbettó la ragazza con un filo di voce.

-No. Tu che ci fai qui? - corresse Toby.

-M-Masky mi ha raccontato dello Slenderman e... -

Il ragazzo inizió ad avvicinarsi lentamente, per poi avvolgere il manico della sua accetta con una sola mano, estraendola senza alcuno sforzo.

-Non vedo Masky qui - commentò -Cosa stavi facendo? -

-Io...ho avuto un'allucinazione e mi sono persa... - rispose Kate, con lo sguardo basso. Non voleva che l'altro incontrasse il suo: non sarebbe riuscita a sostenerlo.

-Tu stavi cercando di scappare - asserí il ragazzo, sibilando -Volevi tornartene a casa tua! - ruggì, con il viso a pochi palmi dal suo.

Kate rabbrividì e parve restringersi, schiacciandosi contro il tronco, mentre scuoteva la testa, tremante.

-Oh, invece sì. Non avresti dovuto, Kate - Toby fece ciondolare il volto da un lato -Ti farà piacere sapere che non ti mancava troppa strada, prima di uscire da qui -

La ragazza strabuzzó gli occhi, incredula.
Pochi chilometri e avrebbe potuto lasciarsi alle spalle quell'incubo.

-L'Operatore ha dei piani per te, ti vuole. Vuole farti diventare una sua protetta - le sussurró, all'orecchio.

-Non vuole proteggermi, vuole sfruttarmi - le labbra di Kate si schiusero appena.

Riconobbe un lampo d'ira saettare negli occhi di Toby: i loro visi erano talmente vicini che riusciva a vedere oltre le lenti. Ogni pochi secondi la sua testa era scossa da un quasi impercettibile movimento.

"Perché fa così?" pensó Kate, intimorita. Le dava fastidio.

Poi, improvvisamente, quando il ragazzo fu soddisfatto dell'angoscia traboccante dagli occhi della povera ragazza, la afferrò per un braccio e prese a trascinarla lungo la stessa strada che aveva percorso, a ritroso.

-Lasciami! Che stai facendo?! - strilló la ragazza, ingoiando le lacrime che le annacquavano le parole.

-Ti riporto dove meriti di stare - ringhiò l'altro, in risposta.


Toby spalancò di colpo una porta: mentre strideva sul pavimento lurido, emetteva uno scricchiolio infernale.

-E restaci! - gridó, sbattendole l'anta in faccia.

Kate, distrutta e dolorante, perse l'equilibrio e cadde all'indietro. Non riusciva a rimettersi in piedi, veniva trascinata sempre più verso il basso. La sua schiena urtava continuamente contro i gradini, che le pungevano la pelle sotto la felpa: il legno era scrostato e le schegge la ferivano.
Ruzzoló fino ai piedi della rampa di scale.
Si rimise in piedi a fatica, cercando di soffocare un gemito di dolore. Si massaggiò i polsi e cercó di ripulirsi i vestiti.

Lì dentro era buio pesto: i suoi occhi non riuscivano ad abituarsi all'oscurità, in quanto non era presente la minima fonte di illuminazione. Dove si trovava?

Avanzó a tentoni, agitando davanti a sè le braccia, titubante: le sue dita toccarono il muro, ruvido, e si scontrarono con una leggera superficie in rilievo. Kate la schiacciò e, quasi come per magia, un bulbo attaccato ad un filo attorcigliato, che pendeva dal soffitto scrostato e macchiato d'umidità, sfarfalló timidamente e rischiaró l'ambiente con la sua luce, flebile come un respiro spezzato.

La ragazza sospiró, incredibilmente sollevata: aveva senza dubbio avuto fortuna, per una volta.

Si trovava in una cantina.

Nonostante immaginasse che per essere liberata avrebbe dovuto aspettare un accenno di pietà e clemenza da parte di quei tre, che non sarebbe giunto facilmente, risalí i gradini e provó a tirare la maniglia della porta di ferro, ma quella emise solo un lamento sordo.

La ragazza sbuffó e si sistemò in un angolo, rassegnata.
Si nascose il viso tra le mani, destinata ad aspettare chissà quanto.
Il suo corpo tremava di freddo sotto i vestiti, poteva avvertire le costole battere conto le sue ginocchia piegate. Lo stomaco gorgoglió infastidito: da quanto non mangiava?

Non c'erano parole nè pianti che potessero descrivere quanto le mancasse la sua vecchia vita. Chissà come stavano Carl e Lauren, e sua madre? Era stata avvertita della sua sparizione? Non voleva pensarci.

Il suo triste flusso di pensieri scemó poche ore dopo, quando un rumore quasi impercettibile, ovattato e lontano, spezzó il silenzio tombale nella cantina.

Avrebbe potuto trattarsi di qualche animale, magari un topo. Probabilmente nascosti fra le pareti ve ne fossero a colonie, con le loro minuscole zampette che ticchettavano tra muri.

Una vocina nella testa di Kate le suggerí di andare ugualmente a controllare. Probabilmente, la stessa fastidiosa che troppe volte l'aveva convinta ad addentrarsi della foresta.

Voltó un angolo: il soffitto sporco della cantina si abbassava diagonalmente, fino a lasciare solo pochi centimetri d'aria bui, di cui era quasi impossibile intravedere la fine.

Un attimo dopo Kate, per lo spavento, incespicò nelle sue stesse scarpe e si tappó la bocca per non cacciare un urlo, terrorizzata.

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