Capitolo 16

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Il corpo magro di Kate si pietrificó all'istante: il suo cuore batteva all'impazzata, gli occhi strabuzzati per ciò che si erano appena ritrovati davanti: un corpo inerte, piegato in una posizione innaturale contro un muro, emetteva rantoli e lamenti, trattenuto nella morsa potenzialmente letale di uno stretto fascio di corde.

La paura si era totalmente impadronita della ragazza, impedendole di reagire: temeva che potesse aggredirla e farle del male, conscio o meno delle sue azioni.

Si mise una mano sul petto, nel tentativo di calmare la tachicardia. Si avvicinò al corpo di pochi centimetri, tremante, abbassandosi appena al suo livello.
Schiuse la bocca, cercando il coraggio per darle fiato, ma non appena fece un altro passo l'essere sollevó la testa di scatto, scuotendola convulsamente in un gesto disperato.

-Non uccidermi! Non uccidermi! - ripeteva, in un sussurro.

Difficile stabilire chi fosse più spaventato tra i due: la ragazza, ammutolita e sbigottita, lo fissava agitarsi e dibattersi come un insetto tra le ragnatele di corde che lo tenevano prigioniero.

- Calmati, ti prego! - esclamó Kate, intimorita
- Non ho intenzione di farti del male -

Solo a quel punto il ragazzo sembró  distendersi: deglutí e alzó di poco la testa per osservare la sua interlocutrice.

- N-non sei una di... di...- farfugliò con un filo di voce, rotta dai singhiozzi.

- Una di loro? - suggerì Kate.

Il ragazzo annuì, tremante.

- Certo che no! - rispose lei, quasi indignata
- Mi hanno portata in questo schifo di catapecchia e ho cercato di scappare, ma poi mi hanno trovata e rinchiusa qui dentro -

- Scappare? - una punta di ironia e abbattimento tinsero le parole del ragazzo
- Nessuno può andarsene da qui, a meno che non sia l'Operatore a deciderlo. La fuga è un affronto più grave di quanto tu possa immaginare -

Kate si accovacció lentamente di fronte a lui, per osservarlo meglio. I capelli scuri gli ricadevano sulla fronte in ricci sporchi e unti, appiccicati dal sangue e dal sudore, che gli colavano ai lati del viso pallido ed emaciato.
Le labbra erano secche e violacee, gli occhi contornati da aloni scuri.
Dagli strappi dei suoi vestiti trapelavano ferite ancora aperte e macchie di sangue rappreso che inzuppavano i tessuti.

Era ridotto davvero male: sembrava un moribondo. Kate faticava a tenere lo sguardo su di lui, ma si disse che quello non era affatto il momento di impressionarsi.

- Perchè sei qui? - chiese la ragazza.

- Per il tuo stesso motivo -

- Vogliono che diventi una di loro. Una... proxy? -

L'altro annuí, con fare grave.

- Pensa: mi hanno lasciato un souvenir, cosí da ricordarmi per sempre di questa felice permanenza - gemette - Se non fossi legato come un salame te lo farei vedere: un bel marchio sulla spalla, come le bestie -

Kate deglutí.

- Guarda tu stessa -

La ragazza allungó una mano, titubante, verso la spalla del suo triste e sofferente interlocutore, e con delicatezza fece scivolare verso il basso il tessuto della maglietta strappata e insanguinata.

Appena vide la raccapricciante macchia color cremisi che si allargava fino alla clavicola, ritrasse di colpo le dita, come ustionate.

La pelle cicatrizzata, ardente alla vista come braci, disegnava un cerchio preciso attraversato da una X.

- È orribile. Sembra molto dolorosa... -
Commentó Kate, con pena e disgusto.

- È cosí: sono uno degli schiavetti dell'Operatore, ora- il ragazzo colse l'espressione terrorizzata di lei - Ma non sono come gli altri! - aggiunse in fretta - Io non voglio esserlo, ho provato a scappare! Ma come sai... è impossibile -

- Non può esserlo! Questa sorte toccherà presto anche a me, ma devo tornare dalla mia famiglia! - protestò la ragazza. - Io non potrei mai macchiarmi le mani del sangue di innocenti, provocare loro dolore nello stesso modo in cui ho sofferto io. Per avere in cambio che cosa, poi? - fece una breve pausa
- Assolutamente niente, se non altro male. Preferirei la morte -

- Non ti ha marchiata? -

- Non ancora -

Il ragazzo spalancò gli occhi - E cosa aspetti? Vattene, tu che puoi, prima che sia troppo tardi! -

- Ci ho provato, ma è tutto inutile: ho la sensazione di essere costantemente osservata. Eppure io ho fatto una promessa... -

- Che genere di promessa? -

- Beh, ecco... Oh, non so nemmeno il tuo nome, siamo rinchiusi in una cantina in un covo di folli e io ti sto parlando dei miei problemi come se nulla fosse! - si rimproverò Kate, roteando gli occhi - Che stupida... -

- Meglio che morire mangiato dai vermi. O dallo Slenderman - commentò lui - E, per quello che può valere, mi chiamo Charlie -

La ragazza sgranó le palpebre e piantò il suo sguardo su di lui, col fiato sospeso.

- Charlie come? -

- Matheson jr. Perché quella faccia?  -

Quelle semplici parole ebbero per lei l'effetto di una secchiata di acqua gelida in una giornata invernale. Non riusciva a crederci, come poteva essere vero?

- Perché io ho promesso a tua sorella Alice che vi avrei fatto rincontrare... -

Kate gli spiegó ogni cosa, fin dal principio, così che il ragazzo potesse comprendere a fondo la vicenda.

- Se riuscissi a riportarmi da lei, ti sarei grato a vita - inizió Charlie, dopo aver ascoltato con attenzione - Ma come avresti intenzione di fare? Te l'ho detto: tu puoi ancora salvarti, ma io no! Quel dannato mostro... mi ucciderebbe all'istante - rabbrividí - E poi, guardami! Sono praticamente già morto, non sono nemmeno sicuro di riuscire a reggermi in piedi! -

- Senti - Kate piantó le sue iridi verdi, scintillanti di lacrime, negli occhi scuri e sofferenti del ragazzo - Non sei l'unico a voler rivedere chi ami. Ho giurato a tua sorella che vi avrei fatto rincontrare, e lo farò. Ma anche io voglio tornare dalla mia famiglia -

Il ragazzo sorrise difronte alla sua determinazione, così spiazzante e contagiosa che in un attimo riuscí a convincerlo di poter sfidare la morte stessa - Penso che qua dentro nascondano delle armi -

Kate si alzó e prese a gironzolare per la cantina con velocità: frugó ovunque, mettendo in subbuglio ogni angolo.
Charlie la guardava incuriosito correre da una parte all'altra, aggravando ancora di più lo sporco disordine che già regnava sovrano, allungando il collo oltre le corde ogni volta che lei si allontanava dal suo raggio visivo.

Alla fine, dopo parecchi minuti di ricerca, la ragazza si risistemó al suo fianco.

- Allora? - chiese lui.

- Forse questo potrebbe aiutare -

Kate si infilò tra i denti una torcia elettrica, il cui fascio illuminó con maggiore intensità la cantina. Raccolse da terra un coltellaccio da cucina e inizió a strofinare la sua lama affilata sulle corde che ancora bloccavano Charlie: quelle presero a sfilettarsi, cedendo ogni secondo di più, finchè non scivolarono a terra, come prive di vita.

- Finalmente! - esclamó il ragazzo, con un sospiro, iniziando a massaggiarsi gli arti indolenziti.

Si guardarono ed iniziarono ad aspettare, e quando ormai la coltre notturna era calata da diverse ore, avvertirono dei passi pesanti scendere le scale.

Kate, con la stessa invisibilità propria di un felino che sguscia nel buio, si appostò dietro alla porta per spiare attraverso la serratura: riconobbe tre paia di scarponi scivolare fuori dal portone d'ingresso e, non appena quello si richiuse con un tonfo, capirono che era il momento buono per tagliare la corda.

Kate afferrò un pesante martello, brandendolo sopra la maniglia della porta del seminterrato.

- Che vuoi fare con quello? - chiese Charlie, visibilmente sbigottito.

- Dobbiamo pur uscire in qualche modo - rispose la ragazza, sbrigativa.

Sollevó l'attrezzo impugnandolo con decisione, sebbene il suo notevole peso trascinasse le sue braccia verso il basso: senza troppe cerimonie lo abbattè con precisione sopra la maniglia e un rumore metallico e assordante pervase la cantina, facendo tremare i timpani di entrambi i ragazzi. In un paio di colpi, la maniglia cadde a terra, distrutta, lasciando al suo posto solo un buco. La porta stridette sul pavimento e sembró aver perso tutta la sua resistenza: un filo invisibile tiró l'anta avanti e indietro, facendola ondeggiare e aprendo uno spiraglio.

La ragazza ridacchió soddisfatta, lanciando il martello sul pavimento e spolverandosi le mani.

- Andiamocene da qui - disse infine, afferrando il coltello e accendendo la torcia - Ce la fai a camminare? - aggiunse, rivolta a Charlie.

- Non mi sembra di avere scelta - concluse lui, barcollando verso i gradini.

Uno sguardo intenso connettè i loro pensieri: quella era la loro ultima, unica speranza e non potevano permettersi di lasciarla dissolversi tra la brezza pallida e pungente della notte, insieme ai profumi dolci del mattino.

Nella loro disperata ingenuità, non erano consapevoli di ciò che, celato dalla coltre di nebbia e umidità, tramava alle loro spalle.

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