Capitolo 19

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Kate stentava a realizzare ciò che le si era appena materializzato davanti, a pochi metri di distanza.

Era rimasta pietrificata, ancora china accanto a Charlie, mentre dietro di lei Lauren affondava le unghie nel braccio di Carl, costringendolo a farle da scudo.
Anche i due agenti erano allibiti, paralizzati dalla paura tanto quanto i ragazzi. Vinson assisteva a quell'immagine surreale con la bocca semiaperta, mentre le chiavi dell'auto che Golby teneva serrate tra le dita tintinnavano a mezz'aria, sopra le sue ginocchia.

Una spirale di fumo nero inghiottiva le piante e le radici degli alberi, permettendo ad un nauseante odore di putrefazione di insinuarsi nelle narici dei presenti. I viticci d'inchiostro del mostro aleggiavano attorno a lui come dotati di vita propria, disperdendosi nella sostanza color pece che tingeva le fronde degli alberi e che sembrava risucchiare il pallore brillante della luna.
I suoi smisurati arti cerei erano distesi lungo il corpo, rendendolo ancora più atrofico.

Iniziò ad avvicinarsi a Kate, che ansimava paralizzata, con il cuore che si scontrava con la gabbia toracica così violentemente che avrebbe potuto incrinarla e frantumarla in mille pezzi.
Poi spalancò le fauci, deformando il proprio volto e rendendolo più simile ad un teschio.

Gli occhi della ragazza osservarono in silenzio il liquido viscoso e maleodorante colare dalla sua bocca, finchè una goccia densa non si infranse a terra, schizzando l'erba.

In quel momento, un sibilo metallico e ipnotico esplose nelle loro menti, torturandole con parole incomprensibili e dannatamente fastidiose. In un attimo si ritrovarono tutti accartocciati su loro stessi, stringendo i denti per il dolore e afferrandosi la testa con le mani, come per impedirle di scoppiare. 

Il marchio di Charlie era in fiamme e il suo sangue continuava a colare ovunque, imbrattando i vestiti e il rivestimento lucido dei sedili. Ormai non era più l'unico a gridare dal dolore: anche gli altri si erano aggiunti a quello straziante coro.

Kate temette che quella dannata frequenza nel suo cranio avrebbe potuto spappolarle il cervello, proprio come la notte dopo la festa di Margot, in quello stesso maledetto bosco.

Poco dopo, lei e Charlie si sentirono afferrare per le caviglie e trascinare sul suolo bagnato, pregno della linfa vitale dell'Operatore. Si ritrovarono in ginocchio, uno di fianco all'altra, completamente impotenti al cospetto di quella raccapricciante creatura.

La frequenza aumentava sempre di più, impedendo loro di pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse quella tortura: la loro testa girava spaventosamente e nonostante gli sforzi disumani, non riuscivano neppure a sollevarla.

Tutti e sei avevano i corpi pietrificati e dentro di loro rimbombava una risata metallica che avrebbe potuto far sanguinare loro i timpani.

Loro erano gli insetti imprigionati nella tela e l'Operatore era il ragno.

Kate percepì uno dei tentacoli del mostro avvinghiarsi attorno alla sua caviglia e sollevarla.

Ben presto, si ritrovò soffocata in una morsa viscida a metri e metri da terra, con i piedi che scalciavano nel vuoto e il busto che si contorceva nel vano tentativo di riuscire a liberarsi, consapevole del fatto che avrebbe potuto stritolarla e fare briciole delle sue ossa.
Teneva gli occhi serrati per evitare di guardare in faccia la creatura, e per impedire alle lacrime di sgorgare prepotenti lungo le guance.
Il mostro le sfioró la gola con la punta di un tentacolo, e lei dovette trattenere il fiato e voltarsi da un'altra parte per reprimere un conato.

"La fuga è un affronto"

Le rimbombava solo questa frase nella mente, astratta e opprimente, le martellava il cervello minacciando di ridurlo in poltiglia.

Aveva cercato di andarsene via, correre il più lontano possibile solo per tornare alla sua vera vita.
Ma ormai iniziava a pensare che non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe dovuto sfidare l'Operatore e non si sarebbe dovuta cacciare in una situazione peggiore.

"Non accadrà più"

Il suo corpo fu pervaso da una scossa di brividi, avvertí il freddo siderale della notte pungerle la pelle e la foresta attorno a lei distorcersi fino a diventare un vortice macchiato di ombre.

Prima che potesse rendersene conto, si ritrovó scaraventata contro la corteccia ruvida di un massiccio albero e le si mozzó il respiro. Prese ad annaspare, alla ricerca d'aria, pervasa solo dall'eco dell'impatto della sua schiena contro il tronco, che inizió a diffondersi per tutto il corpo.

In un attimo, l'Operatore strappó la manica della sua felpa sporca e iniziò ad inciderle la pelle.
I suoi artigli disegnavano sulla carne di Kate, dapprima graffiandone e rovinandone la superficie diafana, poi iniziando a scavare in profondità. Affondava le dita scheletriche nel solco circolare che stava man mano creando, mentre la pelle della ragazza si sfaldava come i petali della più delicata delle rose bianche, tingendosi del suo stesso sangue.

La corvina si dibatteva come un'indemoniata, mentre le sue stesse urla strazianti le stridevano nella gola e le lacrime le bruciavano il viso.

Le sue labbra si schiusero tremanti, cercando di ignorare il dolore che stava per farla svenire.

- Non... accadrà... più - si ritrovó a farfugliare, con una voce spezzata che non era la sua.

La spalla sinistra continuava ad arderle sotto il tocco oscuro e spietato dell'Operatore, la cui risata malsana ancora rimbalzava contro le pareti del cervello di tutti i presenti, costretti ad osservare quella tortura senza poter muovere un muscolo.

La pelle era ormai rivestita di un liquido cremisi che già iniziava a rapprendersi e a scurirsi al bordo della profonda incisone circolare che sporcava il braccio della ragazza.

Kate lo sentiva scottare e tirare i rosei strati di pelle sottostanti, continuava a singhiozzare e a strillare dal dolore, ma quando il mostro terminó la sua ripugnante opera d'arte, chiudendo il cerchio con una X, lei si sentí svuotata.

Per un secondo, tutta quell'indescrivibile sofferenza aveva lasciato spazio ad un'inaspettata, piatta calma.

Non era sollievo o rilassamento.

Non si poteva catalogare come un'emozione positiva o negativa.

Era solo... apatia.

Come se fosse improvvisamente calata una lastra di ghiaccio a separarla da ció che la circondava.

Poteva accorgersi, guardare e sentire ogni cosa, ma niente di tutto ciò la toccava veramente.

Fu un attimo di tregua, in cui il suo nuovo marchio cessó di bruciare, così come la voce metallica nella sua testa divenne d'improvviso ovattata.

Per un secondo pensò di voler saltare giù e gridare fino a farsi esplodere i polmoni, per disperdere tra il vento la rabbia repressa che le si era improvvisamente accumulata in tutto il corpo. Le dava un tremendo fastidio il fatto che i suoi amici non si rialzassero e reagissero, che se ne stessero ancora lí, inginocchiati a terra, ma allo stesso tempo la loro debolezza la soddisfaceva.

Nel vedere l'erba sotto di lei intrisa del proprio sangue, i suoi occhi smeraldini furono attraversati da un bagliore torbido.

"Hai giurato"

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