Capitolo 2.

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It’s true what you heard,
I am a freak, I’m disturbed
So come on, give me your worst.
We’re moving faster then slow.
If you don’t know where to go,
I’ll finish off on my own.


2 Febbraio.

Leonard.

Uno spiffero d’aria gelida colpì la mia schiena, facendomi rabbrividire, ed io riaprii gli occhi. Nel momento in cui realizzai di essere nella mia Suite privata, alzai la testa dal cuscino e mi guardai intorno alla ricerca di Minx ma non trovai nulla. Le lenzuola al mio fianco erano piacevolmente fresche, il cuscino non era spiegazzato e i suoi vestiti erano scomparsi dal pavimento: mi aveva lasciato da solo. Che mi aspettavo? Di certo non sarebbe rimasta con me fino al momento in cui mi sarei svegliato, sicuramente aveva altro da fare. Io crollai all’indietro sul materasso con la testa nel morbido cuscino dietro di me e mi passai entrambe le mani sul viso, spostandomi i capelli dalla fronte. I miei fianchi erano tutti indolenziti, così come le mie spalle e la mia schiena per via dei troppi movimenti, ma soprattutto la pelle delle mie scapole e del mio torace pizzicava.

Lanciai un’occhiata veloce allo specchio davanti al mio letto e sospirai, non riuscendo a trovare le forze per alzarmi e capire il motivo di quel fastidio. Ero davvero esausto. Avevo passato tutta la notte, fino alle quattro passate del mattino, a possedere Minx, a farla gridare e tremare per le mie spinte ma in quel momento ne stavo accusando le conseguenze, quasi come un hangover. Non avevo mai fatto così tanto sesso ininterrotto prima d’ora.
Con Diana, rabbrividii al pensiero di quella donna, duravo anche sei ore ma con delle pause piuttosto lunghe per permettere sia a lei che a me di riprenderci, bere qualcosa, rilassarci un momento e poi ricominciare tutto da capo ma con Minx fu meraviglioso. Certo, una pausa ogni tanto sarebbe stata utile per entrambi, ma avevamo troppo bisogno l’uno dell’altro che nonostante il sudore, i crampi ai muscoli e la stanchezza, continuammo ininterrottamente per tre lunghe ore. Con tutte le donne che avevo avuto durante il College e all’inizio della mia carriera, non avevo mai avuto bisogno di massaggi o di riposo dopo del sesso, nemmeno con Diana, ma con Minx era tutta un’altra questione.

Quella ragazza era insaziabile, poteva quasi essere considerata una ninfomane eppure non mi sarebbe dispiaciuto trascorrere una seconda notte con lei così. Per quanto fossi esausto, dolorante in ogni parte del corpo, completamente prosciugato nella mia intimità, il sesso con lei era stato paradisiaco, meraviglioso, sensuale ed intenso. Un’esperienza da rifare altre mille volte. Chissà se James mi avesse permesso di averla ancora una volta nel privè, forse avrei dovuto pagarlo un po’ di più in modo da convincerlo a concedermi la stanza del suo locale anche dopo la chiusura. Però.. non potevo praticare certe cose nel suo night club, lui era contrario alle mie pratiche. Ma hey, cosa non avrebbe fatto per del denaro?
Mi massaggiai per un momento la spalla destra con la punta delle mie dita e poi scesi di malavoglia dal materasso, sfilandomi le coperte di dosso.

Non potevo rimanere ancora a lungo nella mia Suite, sarei dovuto tornare a casa e poi recarmi nella sede principale della Crown Enterprise per poter sistemare alcune questioni con la mia segretaria personale. Dovevo licenziarla, mi ricordai. Era arrivata in ritardo per una settimana di fila, non era mai attenta durante le mie riunioni e si era scordata di avvisarmi di un incontro con l’uomo con cui, grazie al Cielo, ero riuscito a stipulare il contratto il giorno precedente. Doveva pagarla, in qualche modo, perciò decisi che non mi sarebbe più stata utile. Non avevo ancora preparato alcun documento per il licenziamento ma non mi importava, sarebbe stato compito di Niall.

Con un sospiro, mi avvicinai alla finestra della mia Suite e richiusi il vetro con un tonfo, girando la maniglia verso il basso. Fissai per un momento il paesaggio di Londra e il cielo grigio con un sorriso sulle labbra: la mia bellissima città. Quanto l’amavo, e quanto ero stato fortunato a conoscere le persone giuste che mi avevano permesso di diventarne il Re. I miei Hotel erano i più belli di tutta l’Inghilterra, i più costosi e i più frequentati. Molte celebrità avevano alloggiato nelle mie bellissime stanze e altrettante coppie famose avevano desiderato celebrare il loro matrimonio nelle sale conferenze sotto agli edifici, trasformandomi in uno dei più famosi imprenditori e proprietari di tutta l’Europa. Avevo più soldi del dittatore della Nord Corea, ero più famoso di Bill Gates e uno degli  uomini più influenti che potessero esistere. Modestia a parte, mi ero lasciato travolgere dall’audacia di una ragazzina ma non avevo mai avuto l’occasione di frequentare per una notte una donna come lei, era così particolare. Mi chiesi quanti anni avesse, se fosse ancora una studentessa o avesse un lavoro. Certo, oltre a quello di spogliarellista.

E poi mi domandai: che cos’aveva spinto una splendida ragazza come lei ad abbassarsi a fare quel tipo di mestiere? Mi morsicai il labbro inferiore, avvicinandomi poi allo specchio davanti al mio letto per poter ammirare il mio riflesso, e sbarrai gli occhi quando notai due succhiotti violacei sul mio collo e il mio torace ricoperto di graffi che partivano dalle clavicole e terminavano appena sopra il mio pube, e morsi che costellavano i miei tatuaggi e scendevano fino all’ombelico.

Perché non mi ero accorto di ciò che mi stava combinando? Forse ero troppo occupato a godermi le sue mani che mi accarezzavano e mi stuzzicavano, facendomi perdere quasi del tutto il contatto con la realtà? Mi toccai i due lividi sul collo con le mie dita e feci una smorfia. Odiavo quel genere di marchi perché impiegavano almeno una settimana a scomparire. Avevo provato ogni metodo: il ghiaccio per ore ed ore sulla mia pelle, una borsa d’acqua calda sul collo, del correttore che avevo rubato a mia sorella e addirittura, come diceva l’Internet, avevo provato a strofinare uno spazzolino morbido nuovo con movimenti circolari per avviare la circolazione del sangue.

Era stato un vero disastro. Alla fine avevo optato per coprire quei lividi con una sciarpa intorno al collo, anche se era l’ultima settimana di aprile. Insomma, i succhiotti potevano essere accettabili dal petto in giù ma non sul collo. Ero pur sempre un uomo d’affari, come avrei potuto presentarmi ad una riunione con i miei soci in quelle condizioni?
Sbuffai. Forse Minx sapeva benissimo che i succhiotti sul collo erano fastidiosi, ma aveva deciso di vendicarsi per i lividi che le avevo lasciato io con la frusta e con la corda legata ai polsi? Le avevo anche applicato della crema sui punti più critici, ero stato gentile con lei perciò no, sicuramente non era una vendetta. Forse l’enfasi del momento.
Raccolsi i miei vestiti da terra e mi infilai i boxer, entrando poi nel bagno della mia Suite. Mi passai una mano sul viso e mi posizionai davanti allo specchio, piegandomi in avanti; aprii l’acqua del rubinetto e mi sciacquai con cura il volto, cercando di svegliarmi un po’. Nel momento in cui alzai la testa e mi asciugai il viso, qualcosa attirò la mia attenzione e mi girai verso la vasca da bagno: un paio di slip di pizzo bianchi. Erano sicuramente di Minx, doveva esserseli dimenticati. Li afferrai con la mano destra e nel momento in cui le mie dita affondarono nel tessuto delicato delle mutandine, sul pavimento cadde un piccolo bigliettino bianco.

Aggrottai le sopracciglia e fissai prima gli slip poi il foglietto, confuso. Che cos’erano? E perché erano finiti lì? Forse era abitudine di Minx lasciare un ricordo al proprio partner per una notte, chissà. Mi avvicinai al naso le sue mutandine e inspirai il suo profumo, non riuscendo a trattenere un sorriso malizioso. Le avrei sicuramente portate al lavoro e ogni volta che ne avevo voglia, avrei potuto stringerle e accarezzarne il pizzo delicato; e chissà, magari tornare nel locale di James con la scusa di restituire una cosa alla spogliarellista della notte precedente, per metterla in imbarazzo e magari farla irritare.

Raccolsi il biglietto da terra e lo aprii, notando che c’era scritto un numero di telefono e una semplice ‘M’ in corsivo. Aggrottai di nuovo le sopracciglia: mi aveva davvero dato il suo numero di telefono? Per quale motivo? Forse si era divertita così tanto da voler ripetere l’esperienza, pensai con un sorriso sulle labbra. Sarebbe stato interessante incontrarla una seconda volta, magari a casa mia e nel mio dungeon, per giocare seriamente con lei. L’avrei sicuramente chiamata nel pomeriggio dopo il lavoro, o magari mi sarei presentato direttamente al Secret Dreams quella sera.

Era lunedì mattina, perciò sicuramente ci sarebbe stato un altro spettacolo per iniziare la settimana, ed io avrei chiesto a James sempre Minx per il mio privè. Avrei ripetuto ciò che era successo la sera precedente. Il mio cellulare cominciò a squillare rumorosamente, attirando la mia attenzione nell’altra camera, perciò spensi la luce del bagno e tornai nella stanza, lasciando sul letto sia il biglietto che le mutandine. Afferrai il mio telefono e me lo portai all’orecchio senza nemmeno leggere il numero, ero certo che fosse mia madre a chiamarmi, visto che erano le undici del mattino. Di solito era sempre lei ad interrompere il mio piacevole sonno e quindi fracassarmi i testicoli. Quella donna si alzava alle cinque del mattino e se il suo compagno Robin non era sveglio, lo torturava a tal punto da costringerlo ad alzarsi dal letto e ad andare a fare una corsetta nei dintorni del suo quartiere ad Holmes Chapel. Era così fastidiosa, ogni tanto. Però le volevo un bene dell’anima, senza di lei non sarei mai riuscito a partire per Londra e diventare ciò che sognavo sin da piccolo.

«Stiles»

La voce squillante dall’altra parte del telefono mi scaldò il cuore. «Buongiorno tesoro! Sono la mamma»

«Hey, buongiorno anche a te. Per tua sfortuna, non mi hai svegliato» risposi con un sorriso.

Anne, mia madre, ridacchiò. «È quasi ora di pranzo, tesoro, sarebbe preoccupante se tu fossi ancora a letto!»

Mi mordicchiai il labbro inferiore alle sue parole, scuotendo la testa. «Già, anche se ieri ho fatto le ore piccole»

«Come hai festeggiato il tuo compleanno? – chiese mamma, curiosa - Gemma mi ha detto che l’hai portata fuori a cena e poi ti sei rintanato in casa!»

Mia sorella non era in grado di tacere, fortunatamente non conosceva il resto della storia. Certo, ero ritornato a casa dopo aver cenato insieme a lei al Red Eye ma poi sapeva che, dopo un’ora, ero uscito di nuovo per andare nel mio night club preferito. Ed era meglio che non sapesse nulla, non era il caso che le donne della mia famiglia si facessero gli affari miei o intromettessero il naso nei miei affari personali, o nella mia vita sessuale. Mia madre, ai tempi del liceo, un giorno decise di chiedermi come andasse la mia relazione con la mia prima fidanzata al secondo anno ed io le risposi così male da farla tacere, chinare la testa e uscire dalla stanza. Sono sempre stato un uomo molto chiuso e riservato. La mia privacy era la mia privacy.

«Ero molto stanco, in realtà. Sabato notte sono dovuto rimanere nella sede centrale per alcuni problemi con il contratto per Birmingham perciò sono rimasto fuori poco il giorno successivo – spiegai – Non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi, avevo gli occhi gonfi e le palpebre pesanti»

Mia madre tacque per qualche secondo, poi ridacchiò. «La vecchiaia sta avanzando, eh tesoro?»

«Non sei simpatica, lo sai – borbottai, tenendo il telefono tra l’orecchio e la spalla mentre cercavo di infilarmi i miei pantaloni neri – Tu come stai? Hai fatto qualcosa ieri sera?»

Anne sospirò. «No, Robin ha preso l’influenza. Ieri mattina aveva la febbre e ha passato tutta la notte a tossire, perciò non siamo potuti uscire nemmeno per una passeggiata»

Aggrottai le sopracciglia, chiudendo la zip dei pantaloni. «Oh, mi spiace. Spero si riprenda in fretta»

Me la immaginai: seduta sulla sedia della cucina, il cellulare incollato all’orecchio e lo sguardo basso, una mano che stringeva il tessuto della sua gonna e l’altra che picchiettava contro la superficie del tavolo. Ero sicuro che alla fine della nostra conversazione mi avrebbe chiesto di ritornare ad Holmes Chapel per un saluto, come faceva ogni volta, ma doveva aspettarsi una mia risposta negativa. E quel silenzio mi fece intuire che non mancava molto alla sua fastidiosa domanda.

«Se la febbre non si abbassa, lo porterò dalla guardia medica – disse mamma – Che lui sia d’accordo o no, sai che detesta gli ospedali. È convinto che anche la nuova dottoressa, Meredith, sia una cospiratrice che desidera prosciugare il nostro conto con medicine e chissà che terapie»

Mi lasciai sfuggire una risata, Robin era una sagoma. Era un personaggio molto particolare ma lo adoravo come se fosse mio padre. Rendeva felice mia madre ed era insieme a lei dal mio quinto compleanno, circa, perciò lo consideravo come il mio vero padre biologico. Ero cresciuto insieme a lui, anche se fortunatamente non avevamo le stesse idee e le stesse opinioni riguardo a molti argomenti, ma gli volevo un bene dell’anima. Il fatto che rendesse felice mia madre aveva aiutato il mio affetto nei suoi confronti.

«Dovresti convincerlo del contrario, mamma – risposi divertito – Comunque fai bene, e costringilo a riposarsi altrimenti farà un infarto. Scommetto che non riesce a stare fermo nemmeno in questo momento, eh?»

Anne sbuffò rumorosamente e la sua sedia scricchiolò. «Già, hai ragione. Adesso è a letto a riposare, miracolosamente, ma credo sia solo grazie alla febbre che lo fa dormire praticamente tutto il giorno»

«Quell’uomo dovrebbe avere la febbre almeno due volte al mese. – dissi, infilandomi la camicia – E mi raccomando, non stargli troppo vicino. Non ti devi ammalare anche tu»

Abbottonai rapidamente la mia camicia e poi afferrai il mio cellulare, incamminandomi verso la porta della Suite per poter indossare anche le mie scarpe. Mamma dall’altra parte del telefono mi raccontò che in realtà la settimana precedente a quella di quel giorno aveva avuto gli stessi sintomi, anche se con la febbre più bassa, ma mi rassicurò dicendo che non gli sarebbe stata troppo attaccata. Bugiarda, pensai. Mia madre era così innamorata di Robin che si sarebbe avvicinata a lui anche se i medici le avessero detto che era stato infettato dalla peste bubbonica. Ah, l’amore. È disgustoso, quasi. Indossai le mie scarpe con rapidità e mi piegai in avanti per fare i due nodi, poi tornai verso il letto e mi infilai nella tasca dei pantaloni le mutandine di Minx, e il foglietto all’interno del mio portafoglio.

«Comunque tesoro.. – iniziò ed io sospirai, preparandomi – Mi manchi davvero tantissimo. Perché non puoi fare un salto qui, almeno una volta al mese? Solo due giorni, giusto il tempo di rimanere un po’ con me e poi te ne potrai ritornare a Londra. Sono sicura che i tuoi collaboratori siano persone meravigliose e sicuramente in grado di badare ad ogni cosa per te, no?»

Mi massaggiai le tempie con la punta delle dita, sospirando ancora. «Mamma..»

Lei mi interruppe. «Leonard, cosa ti costa venire qui? Diana se n’è andata da tempo!»

Quando pronunciò quel nome, fui tentato di chiudere la telefonata e smettere di parlare a mia madre finché non mi fosse passata la rabbia. Sapeva di non doverla nominare, sapeva che il solo suono del suo nome mi mandava in bestia eppure non passava settimana che mi stuzzicasse. Perché mia madre non era in grado di capire che non doveva mai fare il nome di quella puttana in mia presenza? Erano quattro anni che ormai non sentivo parlare di lei, eppure ogni volta che Anne pronunciava il suo nome, il mio cuore si spezzava. Maledetta troia.

«Ho detto di no, fine della questione. – ringhiai infastidito – Adesso devo andare a lavorare»

Mia madre sospirò rumorosamente, facendomi innervosire. «Leonard, hai ventinove anni ormai. Quando imparerai a smettere di fuggire dai tuoi problemi?»

Strinsi con forza una mano a pugno, fissando la mia espressione contratta nello specchio. «E tu quando imparerai a non parlare di quella donna in mia presenza? È una questione chiusa, è parte del passato, non esiste più. Diana è morta per me, hai capito?»

Dall’altra parte del telefono ci fu un momento di silenzio, seguito da un lungo sospiro. Odiavo rispondere male a mia madre e litigare con lei, ma l’avevo supplicata di non fare il nome di quella donna davanti a me anche se era passato molto tempo dall’ultima volta che l’avevo vista. Eppure lei continuava a parlare, continuava a nominarla, continuava a ricordarmela, continuava a chiedermi di andare da lei.

«D’accordo, mi dispiace. – rispose frettolosa – Tornerai? Ho bisogno di vederti, tesoro»

Mi lasciai sfuggire un lungo sospiro, chiudendo gli occhi. «Mamma..»

«Solo due giorni, te lo prometto – continuò lei con voce tremante – Leonard, non ti vedo da tre mesi»

L’ultima volta che avevo visto mia madre era stato a Natale, quando decisi di ospitarla nel mio attico vicino alla sede centrale della mia impresa. Aveva trascorso una settimana qui a Londra e avevamo passato ogni giorno insieme, a passeggiare per la città nei negozi oppure in giro per i musei, come piaceva tanto a lei. Insomma, avevo cercato di recuperare i tre anni di solitudine in cui mi ero rinchiuso a causa di Diana. Mia madre era la persona più importante per me, subito prima di mia sorella Gemma, ma ogni tanto aveva bisogno di rimanere al suo posto e di non intromettersi troppo nella mia vita privata. Da quando ero andato via da Holmes Chapel, quasi dieci anni prima, era diventata molto più apprensiva e quando accadde il misfatto con Diana, divenne quasi soffocante. Ed io non avevo bisogno di una badante. Certo, era pur sempre mia madre ed era normale che si preoccupasse per me, ma non così tanto. Ero un uomo grande, grosso e vaccinato, potevo sopportare un po’ di dolore per conto mio. E poi, se desiderava vedermi, perché non mi chiedeva di organizzarle il volo? L’avrei potuta ospitare ancora una volta, magari nella dependance dei miei servitori sul retro dell’appartamento, visto che non poteva assolutamente avvicinarsi alla mia taverna.

«Ti chiamerò più tardi, adesso devo andare a lavorare – replicai in tono sbrigativo – Salutami Robin»

Lei sospirò rumorosamente, arrendendosi. «Certo, sarà fatto. Ti voglio bene, Leonard»

«Anche io, mamma. Più di quanto immagini»

Staccai la telefonata con lo sguardo basso e bloccai il mio cellulare, stringendolo nella mano destra. Una strana sensazione attanagliò il mio stomaco e un brivido mi attraversò la schiena. Che fosse successo qualcosa di brutto a mia madre o agli altri membri della famiglia Stiles nelle zone? Anne era sempre stata molto insistente ma il suo tono di voce mi mise in allarme. O forse era solo preoccupata per il suo compagno, visto che aveva la febbre alta e non si sentiva bene. Una volta che mi fui calmato, infilai il cellulare nella tasca posteriore dei miei pantaloni e recuperai il portafoglio. Strisciai la mia tessera dorata vicino all’ingresso della Suite e uscii, lasciando la camera in completo disordine.

Alyssa, la mia domestica di fiducia del Crown Hotel di Londra, sarebbe passata a pulire e a sistemare i miei giochi. Lei era l’unica autorizzata ad entrare, conosceva le mie abitudini sessuali ed era una mia grande amica, nessuno di così minaccioso da potermi rovinare la carriera in caso dicesse al mondo ciò che ero. Non che m’importasse, a dir la verità, visto che la vita sessuale è ben distinta da quella lavorativa e pubblica.
Dopo aver chiuso con la tessera dorata la porta della mia Suite, mi avviai a passo svelto nel corridoio del mio piano privato e salii sull’ascensore con le porte di metallo aperte.

Schiacciai il pulsante del pian terreno e aspettai di arrivare, appoggiandomi con i fianchi al vetro. Meno di dodici ore prima ero nello stesso posto con una bellissima ragazza fra le braccia, la sua bocca incollata al mio collo e le sue mani sul mio bacino che mi trattenevano e mi premevano contro di lei. Già mi mancava e fui tentato di tirare fuori il suo bigliettino, copiare il numero di telefono sul mio e chiamarla ma non era il caso. Lei di sicuro era impegnata in quel momento mentre io sarei dovuto andare a lavorare, perciò non era il caso di sconvolgermi la giornata. Decisi che l’avrei torturata la sera, una volta arrivato al locale di James. Chissà se ci sarebbe stata. Le porte dell’ascensore si aprirono ed io mi catapultai fuori, attraversando l’immensa hall bianca del Crown Hotel, quando vidi Alyssa passeggiare con una scopa in mano.

«Buongiorno Leonard! – esclamò contenta – Come mai qui?»

Non riuscii a trattenere un sorriso, sapeva benissimo che quando mi vedeva uscire dall’ascensore dell’hotel o comunque nella hall, doveva aspettarsi che l’avrei spedita nella mia Suite a pulire. Ormai mi conosceva bene, era da un anno che passava i weekend ad attendere una mia telefonata. Mi avvicinai a lei di qualche passo, lanciandole un’occhiatina divertita quando mi accorsi che anche lei stava sorridendo.

«Ho fatto un giro, volevo controllare un paio di cose. – risposi divertito, notando che una delle ragazze dietro al bancone della reception ci stava ascoltando – Quando avrai tempo, sai che cosa fare. Adesso devo andare, sono un po’ impegnato oggi»

Alyssa annuì, puntando la scopa sul pavimento. «Ma certo, signore. Buona giornata!»

Le feci l’occhiolino e poi mi incamminai verso le porte scorrevoli dell’ingresso, uscendo dall’hotel a passo svelto per poter raggiungere il parcheggio. Aprii la mia R8 da lontano con la chiave automatica e sospirai rumorosamente, passandomi una mano fra i capelli leggermente arruffati. Mi sollevai il colletto, coprendo i due succhiotti che Minx mi aveva lasciato la notte precedente, e aprii la portiera; salii sulla mia macchina, infilai la chiave accanto al volante, e accesi il motore. Feci retromarcia e cominciai a guidare verso la sede principale della Crown Enterprise, pronto ad affrontare un pomeriggio intenso quanto la notte precedente.

**

Accavallai le gambe sotto la scrivania di mogano scura del mio ufficio e afferrai una penna, cancellando l’appuntamento con il socio di Birmingham che avevo appena terminato. Mi appoggiai con la schiena alla sedia di velluto della mia scrivania e sospirai rumorosamente, digitando con gli occhi chiusi il numero della mia segretaria che non avevo ancora licenziato. Un lieve ‘bip’ risuonò nell’aria, segno che il telefono stava squillando, e qualche secondo dopo la voce stridula di Zoe risuonò nel mio ufficio.

«Sì, signore?»

Mi leccai il labbro inferiore. «Vai a prendermi di sotto una fetta di pizza, sono affamato. E una birra»

La ragazza sospirò alle mie parole. «Certo, arrivano subito, signore»

Chiusi la telefonata prima che potessi cominciarle a gridare contro e sbuffai rumorosamente, riaprendo gli occhi per poi picchiettare il bordo della penna contro la scrivania. Erano già le tre del pomeriggio e non avevo ancora toccato un pezzo di cibo, infatti il mio stomaco era sul punto di cominciare a divorare il resto dei miei organi, continuava a brontolare. Infilai una mano nella mia tasca dei pantaloni e tirai fuori le mutandine di pizzo bianche di Minx, ancora scioccato e sorpreso per quel regalino che lei mi aveva lasciato. Restai a fissarle senza dire una parola e sfiorai con delicatezza i decori dei bordi degli slip, inspirando poi il delicato profumo che le impregnava.

Delizioso, intenso, femminile, Minx. Non vedevo l’ora di tornare da lei, mi mancava già da impazzire il suo corpo e la sua bocca sulla mia. Chissà se James mi avesse permesso di entrare. E chissà se i lividi sul corpo della ragazza erano spariti, o per lo meno si erano affievoliti. Io le avrei mostrato il mio succhiotto e poi l’avrei punita a dovere, magari con altre frustate o sculacciate con la canna di rattan, giusto per farle capire che ero io ad avere il comando, che ero io a decidere per lei.

«Finalmente il vecchio si è degnato di farsi vivo!»

Infilai di scatto le mutandine di Minx nella mia tasca, ritrovandomi davanti Niall, il responsabile dell’ufficio risorse umane della mia impresa. Mi rivolse un sorriso smagliante dopo aver sbattuto la porta del mio studio e si sedette davanti alla mia scrivania, incrociando le braccia al petto. Sperai con tutto il cuore che non mi avesse visto fissare come un idiota l’intimo della spogliarellista con cui ero stato la notte prima, ma quando cominciò a giocherellare con le penne sulla mia scrivania, tirai un sospiro di sollievo. Mi portai una mano dietro al collo, alzando un sopracciglio, e sospirai rumorosamente. E io che speravo di avere un’ora tranquilla.

«Hey Niall, non mi sono sentito bene questa mattina» replicai in tono deciso.

Il ragazzo sollevò i suoi occhi azzurri, fissandomi poco convinto. «Ah sì? E scommetto che la causa del dolore sono stati quei due succhiotti che hai sul collo o mi sbaglio? Immagino che starai soffrendo proprio per questo»

Lo fulminai con lo sguardo, scivolando con la schiena verso il basso. «Come mai sei venuto qui a disturbarmi?»

Niall alzò le spalle, mordendosi il labbro inferiore. «In realtà sono qui per chiederti un favore da amico, Leonard. È molto importante per me e vorrei che tu lo capissi. Siamo amici da oltre otto anni e lavoro con te da cinque, ti sono sempre rimasto vicino quando ne hai avuto più bisogno»

Aggrottai le sopracciglia, incrociando le braccia al petto. «Sputa il rospo, non ho tempo per i discorsi strappalacrime sulla nostra amicizia. Sai che non li sopporto e sono inutili»

«Avevo dimenticato quanto fossi scorbutico dopo una notte di sesso – borbottò il biondo – Comunque ho bisogno di una giornata libera, lunedì prossimo. Partirò nel weekend per tornare a Mullingar con Jade e avrò l’aereo alle dieci della sera, perciò tornerò a casa molto tardi»

Fissai il ragazzo con le labbra strette in una linea sottile. «E come mai vai a Mullingar? È successo qualcosa, per caso? I tuoi genitori stanno bene?»

Lui annuì, arrossendo. «Sì, è tutto okay. Mio cugino Christopher si sposa ed io sono stato invitato con la mia fidanzata, perciò non posso mancare. E poi è un’occasione per vedere Greg con il mio nipotino, sai che è nato Theo poche settimane fa e non ho ancora avuto..»

Sollevai la mano destra a mezz’aria, annuendo. «Ho capito, d’accordo. Ti lascio una giornata libera»

Niall mi fissò per un momento, rivolgendomi un sorriso smagliante. «Grazie mille, ti porterò qualche souvenir dall’Irlanda come regalo di ringraziamento»

Scossi il capo, divertito dalle sue parole. «Non ti preoccupare, è la tua famiglia. Capisco benissimo»

«Ah, a proposito di famiglia. Stamattina tua madre ha chiamato qui – disse Niall, lanciandomi la penna nera che afferrai al volo – Non so, sembrava un po’ agitata. Le ho detto di telefonarti al cellulare, visto che non eri ancora arrivato in ufficio»

Annuii, appoggiandomi con la schiena alla sedia. «Tranquillo, le ho già parlato questa mattina. Robin ha l’influenza e sai com’è fatta mia madre, è preoccupata perché lui non vuole riposare e ha la febbre alta»

Niall mi fissò curioso, oscillando una penna davanti alla mia scrivania. «Beh, è normale che si preoccupi molto per lui, è il suo compagno»

Alzai le spalle, alzandomi dalla mia poltroncina per poi vagare avanti e indietro  per il mio studio, infilando la mano destra nella tasca dei pantaloni in cui c’erano le mutandine di Minx; mi mordicchiai il labbro inferiore e i miei pensieri finirono di nuovo su di lei. Era solo grazie a Niall che avevo scoperto il locale di James: aveva invitato me, Francisco Mattel e un ragazzo di nome Liam Payne, per festeggiare il suo ventunesimo compleanno tre anni prima. Dovevo ringraziarlo perché, tre lunghi anni dopo, avevo avuto la fortuna di conoscere una donna come Minx, perfetta per me. scacciai quel pensiero, infastidito.

Mi risvegliai dai miei pensieri, alzando un sopracciglio. «Ah Niall? Hai fatto ciò che ti avevo chiesto?»

Il biondo si mordicchiò il labbro inferiore. «Leo.. devo per forza? Zoe sta passando un brutto periodo, cerca di capirla anche tu. Il suo compagno l’ha appena lasciata e ha perso il suo appartamento, sta dormendo in un motel appena fuori città!»

Fissai il mio collega con le sopracciglia aggrottate. «Come fai a saperlo?»

Lui fece spallucce, sospirando appena. «Stamattina l’ho trovata a piangere nel bagno così per consolarla l’ho portata al bar e le ho offerto un tè. Senza che le chiedessi nulla, si è ap..»

Qualcuno bussò alla porta del mio ufficio così alzai il mento e premetti un piccolo tasto sotto la mia scrivania, facendo scattare la maniglia che si abbassò. Zoe, la mia personale assistente, entrò nel mio studio con un piatto in mano e una bottiglia di birra ancora chiusa nell’altra. Quando si accorse che c’era anche Niall, gli fece un cenno con la testa e mi lasciò il pranzo sulla scrivania per poi uscire dall’ufficio a testa bassa.

Mi si strinse il cuore in una morsa dolorosa: licenziarla era davvero una mossa giusta? Pensai alla sua situazione e a come mi sarei sentito se qualcuno avesse osato licenziarmi nel periodo in cui era successo il casino con Diana, la mia ex compagna di letto e di vita. Probabilmente sarei arrivato addirittura a suicidarmi, ero davvero distrutto. E perdere l’amore, l’appartamento e il lavoro tutto in un colpo non sarebbe stato il massimo. Prima che la ragazza potesse uscire e chiudere la porta, sbattei piano una mano sulla scrivania.

«Zoe»

La mora si girò verso di me, spingendosi gli occhiali sul naso. «Sì, signor Stiles?»

Le rivolsi un sorriso smagliante, tutto fossette. «Ti ringrazio. Puoi passare di qua, quando Niall se ne tornerà nel suo ufficio, per favore? Devo parlarti un momento»

La sua espressione s’irrigidì e strinse le labbra, arrossendo. «Uhm certo, d’accordo»

Le feci un cenno con la mano destra e lei uscì dal mio ufficio, chiudendo la porta dietro la sua schiena. Io la seguii con lo sguardo e mi passai una mano fra i capelli, tornando a sedermi dietro la scrivania con la schiena appoggiata alla poltroncina. Mi lasciai sfuggire un debole sospiro e scossi il capo, lanciando un’occhiata a Niall che ammiccò nella mia direzione. Non era da me essere così gentile con i miei dipendenti, ero solito trattarli come semplici colleghi e nient’altro. non mi preoccupavo dei loro problemi, non cercavo di aiutarli né mi preoccupavo delle loro situazioni ma.. Zoe era con me dall’inizio della mia attività, e cacciarla per un brutto periodo mi sembrava idiota. Solo grazie a Niall.

«Che vuoi? Smettila di fissarmi in quel modo» borbottai acidamente.

Il biondo fece una smorfia, lanciandomi un’altra penna. «Ah, ma allora l’orco ha un cuore!»

Aggrottai le sopracciglia alle sue parole. «Stai zitto o licenzierò te al posto suo»

Lui si alzò dalla sedia, girandosi verso la porta. «Forse è meglio che io me ne vada – sfilò il suo cellulare dalla tasca, voltandosi poi di nuovo – Posso sapere chi è stata la fortunata, Leo?»

«Da quando ti interessi della mia vita sessuale, signor Horan?» domandai

Lui fece spallucce. «Non so se te ne rendi conto, ma hai un livido grosso come la mia testa sul collo, uno un po’ più piccolo e uno stampo di denti sulla guancia. Ti ha divorato, forse? O ci ha provato?»

Sollevai il dito medio nella sua direzione, facendolo ridere. «Sparisci, biondo»

Abbassai lo sguardo sulla mia scrivania e sul mio block notes aperto, mordicchiandomi il labbro. Sfiorai il foglietto che tenevo nella tasca dei pantaloni e sospirai, pensando e ripensando a che cosa fare mentre il mio collega mi lasciò finalmente solo nel mio ufficio. Avrei dovuto chiamare Minx? Mi aveva lasciato il suo numero di telefono per un motivo, perciò mi sembrava scortese non mandarle almeno un messaggio o contattarla solo per informarla che avevo trovato i suoi regali. Sfilai dalla mia tasca il foglietto e lessi più volte il suo numero, dondolandomi sulla poltroncina dietro la scrivania; sbloccai lo schermo del mio iPhone e picchiettai le dita sulla superficie rigida del tavolo, sospirando. Non sapevo davvero cosa fare. Da un lato non volevo disturbare la ragazza, dato che magari era impegnata, ma dall’altro desideravo chiederle se quella sera l’avrei trovata al Secret Dreams.

Però.. poi pensai che sarebbe stato divertente presentarmi a sorpresa da lei. Alla fine riposi il foglio nella mia tasca e bloccai di nuovo il mio telefono, girandomi verso il computer per potere leggere le mail che avevo ricevuto quella mattina e che non avevo letto per via dell’incontro con il mio socio. Non dovevo lasciarmi distrarre da una donna. L’ultima volta che era successo, ero stato incastrato per quattro anni in una relazione che terminò nel peggio dei modi. Maledizione. Entrai nel mio account di posta elettronica quando qualcuno bussò di nuovo alla porta del mio ufficio, allora premetti il tasto sotto la mia scrivania che fece scattare la serratura e Zoe entrò nel mio studio, la testa bassa e nella mano destra una pila di documenti che le avevo chiesto di stamparmi prima della riunione con il mio socio, riguardanti alcune ragazze che desideravano essere assunte come cameriere nel mio ristorante del Crown Hotel di Londra.

«Voleva parlarmi, signor Stiles?» chiese la ragazza, sedendosi davanti a me.

Afferrai i fogli e li accantonai vicino al mio computer, girandomi con la poltroncina verso di lei. Accavallai le gambe sotto al tavolo e appoggiai entrambe le mani sulla mia scrivania, osservando la mora che s’irrigidì; io mi mordicchiai il labbro inferiore e mi sporsi all’indietro, premendo la schiena contro la mia poltrona. I suoi occhi scuri erano sempre luminosi ma contornati da profonde occhiaie verdi e le sue labbra erano incurvate in una smorfia triste, i suoi capelli leggermente arruffati e notai che sulle guance coperte di fondotinta si notavano ancora la scia delle lacrime di quella mattina.

«Che succede in questo periodo, Zoe?» domandai.

Lei inspirò bruscamente alla mia domanda, distogliendo lo sguardo. «Niente, sono solo un po’ stanca e ho tante cose per la testa. Mi dispiace averla delusa in questi giorni ma davvero, le prometto che da domani tornerò quella di sempre. È solo stanchezza»

Perché non aveva il coraggio di dirmi la verità? La conoscevo da sempre, sapeva di potersi fidare di me e del resto dei miei colleghi, però sapevo anche che mi aveva visto nelle peggiori condizioni. Mi aveva visto cacciare persone che mi supplicavano di non licenziarle, mi aveva visto ubriaco fradicio e furioso contro sia Niall che Alyssa, o addirittura con i soci. Insomma, conosceva il carattere e forse proprio per questo temeva di una mia reazione, credeva forse che non le avrei creduto.

«Niall mi ha rivelato qualcosa e mi dispiace se ho chiesto a lui, ma.. – iniziai, interrompendomi – Lo sai che se ci sono problemi, puoi parlare con me, Zoe. Cerco di aiutarti per ciò che posso»

Lei sbatté le palpebre, asciugandosi una lacrima. «Leonard..»

Afferrai la sua mano destra, stringendola con forza. «Se hai bisogno di qualche settimana libera, anche solo per farti una breve vacanza e distoglierti un po’ dallo stress, puoi farlo. Se non hai un posto dove dormire, posso concederti una camera nell’hotel del centro senza farti pagare. Sei una mia amica, Zoe»

La ragazza abbassò lo sguardo, sospirando rumorosamente. «Non posso, Leonard. Hai già fatto tanto per me ed io ti ho ripagato con delle delusioni da un mese a questa parte, non devo approfittare della tua gentilezza»

«Forse non ti è chiaro il concetto di amicizia – risposi con un sorriso e lei arrossì – Sei una mia dipendente da quando ho iniziato la mia attività, conosci quasi ogni dettaglio della mia vita e sei sempre rimasta al mio fianco nonostante tutto. Permettimi di aiutarti come posso, sì?»

Lei sollevò la testa, guardandomi negli occhi. «Sei una delle persone migliori che conosco, Leonard. Credimi»

Scossi il capo, alzando poi le spalle e lasciando la sua mano. «Su questo non sono d’accordo, ma ti ringrazio»

Zoe fece una smorfia, pizzicandomi il polso. «Dovresti smetterla di sminuirti in questo modo, molte persone la pensano come me. Sei il migliore in questo campo e sei uno dei migliori datori di lavoro di tutto il mondo, come puoi non accorgertene? Non hai mai avuto lamentele né denunce, paghi sempre ogni tuo dipendente in anticipo quando capita e aiuti chi ha problemi. Tipo me. E non sai quanto ti adoro per questo, mi stai davvero salvando.»

Questa volta fui io ad arrossire, non essendo abituato a niente di simile prima d’ora. Durante le riunioni con i vecchi soci degli altri hotel mi ero sentito definire un bastardo senza cuore che pensa solo al denaro ed era vero, il mio unico obiettivo non era quello di creare posti per turisti ma era creare luoghi in cui le persone vengono a spendere soldi in modo da guadagnarne sempre di più. Non mi interessava arredare personalmente le camere e le hall degli alberghi solo per compiacere i turisti, desideravo creare qualcosa di bello per attirarli e costringerli a spendere l’ira di Dio anche solo per una cena al ristorante.

«Vuoi la camera all’hotel o no?» domandai.

La mora si passò una mano fra i capelli, sospirando. «Se non accetto, ti infurierai perciò d’accordo.»

Alzai il telefono del mio ufficio, portandomelo all’orecchio. «Ottimo, potrai spostare le tue cose già stasera.»

«Leonard, non so come ringraziarti. – disse la ragazza, scendendo dalla sedia per avvicinarsi a me – Davvero, senza di te a quest’ora sarei finita in mezzo alla strada. Il proprietario del mio appartamento mi ha dato tempo fino a domani mattina per andarmene e..»

La interruppi ancora una volta, sollevando la mia mano a mezz’aria quando dall’altra parte del cellulare percepii la voce di Michael, il mio vicedirettore del Crown Hotel del centro. Senza distogliere lo sguardo dal volto della ragazza seduta davanti a me, annunciai al mio dipendente che avevo bisogno di una camera da letto a tempo indeterminato per una persona a me cara e lui mi rispose che l’avrebbe fatta preparare entro sera. Lo ringraziai e chiusi la telefonata, permettendo a Zoe di abbracciarmi; lei nascose il suo viso nell’incavo del mio collo ed io mi alzai dalla poltroncina, stringendola forte al mio corpo. Il suo profumo mi pizzicò le narici e sollevai il mento, non era delicato come quello di Minx e nemmeno buono. Era troppo forte, troppo fastidioso e all’improvviso sentii la mancanza di quella pelle candida, morbida, delicata a contatto con le mie dita. La spogliarellista tornò prepotentemente a farsi spazio nella mia mente e mi morsicai il labbro inferiore, allentando sempre più la presa su Zoe che tornò a sedersi davanti alla mia scrivania. Io mi lasciai cadere sulla poltroncina con una mano sul viso e respirai profondamente, aggrottando le sopracciglia. Non mi ero mai sentito così dipendente dal sesso con una sconosciuta prima d’ora. L’ultima volta che era successo, era stata con Diana e.. l’idea di poter soffrire ancora una volta com’era accaduto con lei, mi rivoltò lo stomaco.

«Puoi cominciare a portare le tue cose già stasera, alloggerai in una delle camere del primo piano. Erano le uniche disponibili ma sono sicuro che te lo farai bastare. – lei annuì con vigore ed io sospirai, prendendo un sorso dalla mia bottiglia di birra – E ora sparisci, devo lavorare.»

Zoe si alzò dalla sedia, sorridendo. «Grazie mille, davvero. Prometto che farò di tutto per rimediare e scusarmi della mia distrazione di quest’ultimo periodo, Leonard.»

Le feci un cenno con la mano e lei uscì rapidamente dal mio ufficio, lasciandomi finalmente da solo e immerso nei miei pensieri con la bottiglia di birra in mano. Fissai per un momento la mia fetta di pizza e poi l’afferrai con la mano libera, addentandola e percependo il mio stomaco brontolare per la fame. Mentre mi gustavo il mio pranzo, anche se in netto ritardo per via della giornata un po’ strana che stavo trascorrendo, tornai a pensare a che cos’avrei fatto la sera. Ero molto stanco ma non volevo ritornare a casa subito dopo il lavoro, perciò forse avrei fatto un salto a salutare Nick e il suo compagno che sicuramente mi avrebbero offerto qualcosa da bere al loro locale. O forse sarei dovuto andare al Secret Dreams per fare un saluto a Minx?

Distolsi immediatamente il mio pensiero da lei, era stata con me la notte precedente ma ciò non significava che sarei dovuto andarle dietro per scopare ancora una volta. Avevo mille donne disposte a venire a letto con me in uno schiocco di dita, perché mi dovevo far bastare lei o ritornare da lei per la seconda volta? Non valeva niente. Certo, avevo trascorso una notte meravigliosa di sesso selvaggio, ma non mi sembrava il caso di darle false speranze. Se fossi tornato da lei, chissà che avrebbe pensato di me. Meglio non rischiare.

**

Attaccai il mio cellulare al caricabatterie della mia cucina e mi appoggiai per un momento con i fianchi ai fornelli, incrociando le braccia al petto. Ero appena tornato a casa dal lavoro ed ero di nuovo affamato, ma non avevo alcuna voglia di passare il qualche Drive In e mangiare ulteriori schifezze perciò avevo deciso di ritornare nel mio appartamento, ingozzarmi d’insalata e poi ripartire alla ricerca di qualche cosa da fare per riempirle la mia inutile e noiosa serata. James mi aveva mandato un messaggio per informarmi che se desideravo, quella notte avrei avuto il privè gratis con una delle sue ragazze, ma non avevo alcuna voglia di scopare. Ero davvero esausto e il mio unico desiderio era quello di rivedere Minx, nonostante cercassi di non pensare a lei. L’avevo conosciuta il giorno precedente e già non riuscivo a togliermela dalla testa. E tutto per colpa di lei, della sua fame di sesso e della notte fantastica che mi fece trascorrere.

Ogni volta che chiudevo i miei occhi, mi pareva di sentire le sue mani accarezzare il mio petto e le sue gambe strette intorno ai miei fianchi, la sua voce che mi chiedeva di muovermi di più e i suoi gemiti acuti. E poi la sua espressione pre-orgasmo era meravigliosa: bocca spalancata, occhi sbarrati e di un blu più intenso, guance rosse per l’eccitazione e voce stridula, acuta, gambe tremanti e cosce contratte, dita dei piedi arricciate e respiro affannoso. Bellissima. All’improvviso  mi venne di nuovo voglia di lei,  ma accantonai quel pensiero con la preparazione della mia cena.

Spalancai il frigorifero e tirai fuori una delle confezioni di insalata già pronta, strappai la plastica di protezione e la condii con l’olio e l’aceto già pronti sotto alla scatola. Era una cena così triste che nel momento in cui presi il primo boccone, mi sentii improvvisamente sazio. Erano quattro anni che non avevo nessuno a farmi compagnia nel mio appartamento, quattro anni che non uscivo con una donna per più di due giorni consecutivi, quattro anni che non m’innamoravo più di nessuno e mi costringevo a spegnere i miei sentimenti ogni qualvolta che qualche bella ragazza ci provava con me, quattro anni che passavo le mie serate sul divano a guardare incontri di wrestling oppure a scopare con le spogliarelliste di qualche locale, quattro anni che non ero più il ragazzo divertente e socievole di sempre ma un uomo interessato solo al sesso, di ghiaccio e ossessionato dalla fama, dal denaro, dalla bella vita. Ma dietro ai pettegolezzi che giravano su di me, nessuno conosceva la verità: ciò che mi era successo mi segnò profondamente, squarciò il mio cuore e lo disintegrò, rendendomi ciò che forse sono sempre stato fin da piccolo.

L’amore, anzi ossessione, per il denaro e la bella vita c’era da sempre, ma quando Diana decise di rovinarmi la vita, venne fuori in modo così prepotente da coprire il mio dolore, evitando la mia totale autodistruzione. Ed era positivo.
Scacciai la confezione insalata dalla mia vista e la rovesciai nel cestino dell’umido. Il pensiero di Diana aveva tormentato quella giornata già faticosa, avevo bisogno di una distrazione o sarei impazzito ancora una volta perciò afferrai le chiavi del mio appartamento, quelle della macchina e nel giro di pochi secondi  mi ritrovai alla guida, in direzione del Secret Dreams. Ero stufo di  pensare a Diana. Ormai erano passati quattro lunghi anni e per quanto fossi convinto di averla dimenticata, una piccola parte di me era rimasto attaccato a lei come una sanguisuga e sapevo che non me ne sarei mai riuscito a staccare.

Premetti il piede sull’acceleratore dopo essere uscito dal parcheggio del mio attico e accesi la musica che riempì l’abitacolo, facendomi tremare le dita. ero così furioso con me stesso che non mi resi nemmeno conto di aver graffiato il volante, perciò allentai appena la presa e spostai lo sguardo sul semaforo dalla luce rossa. Picchiettai rapidamente le dita sulla superficie di pelle e accelerai quando scattò il segnale verde, sfrecciando sulle strade semivuote. Erano solo le dieci della sera ma per fortuna nessun idiota aveva deciso di rallentarmi altrimenti mi sarei infuriato ancora di più. Quando arrivai all’incrocio davanti al locale, notai una Polo bianca svoltare nella mia stessa direzione e sbarrai gli occhi quando riconobbi Minx alla guida. Non era ancora arrivata al locale? E perché era così bella anche con l’espressione concentrata sulla strada davanti a sé? Mi aveva forse notato? No, era troppo preoccupata a guidare la sua auto per potersi accorgere di me che le passavo accanto.

Entrai nel parcheggio del locale con il sorriso sulle labbra e sistemai la mia auto accanto all’ingresso, scendendo così rapidamente da inciampare nelle mie stesse carpe. Infilai la mano destra nella mia tasca e strinsi le mutandine di pizzo di Minx che mi ero portato dietro, incamminandomi rapidamente verso l’entrata del night club quando uscì James con un drink in mano, la sigaretta fra le labbra e un uomo al suo fianco. Gli feci un cenno con il capo, lasciando la presa sull’intimo della sua spogliarellista.

«Ciao James, ciao Marcus»

I due uomini mi salutarono. «Hey! Alla fine sei passato, come mai?»

Feci una smorfia alla domanda di James. «Non avevo niente da fare a casa e poi mi hai attratto con la tua proposta, quindi ho deciso di passare. – risposi sottovoce – Hai detto che per stasera il privè è gratis, giusto?»

Marcus si lasciò sfuggire una risata. «Sì, ma è tutto esaurito. Non c’è posto fino alle quattro del mattino.»

Alzai gli occhi al cielo, avvicinandomi all’entrata. «Sono sicuro che troverete un posto per me. – infilai una mano nella tasca sinistra, prendendo il portafoglio e sventolandolo davanti ai loro occhi – Mi basta solo con una ragazza in particolare.»

James s’illuminò alle mie parole. «Quella di ieri sera? Minx? -ridacchiò- Sapevo che sarei stato contento di lei, è impressionante il fatto che ti sappia catturare con un semplice sguardo.»

«Già, proprio lei. – dissi, infilando di nuovo il portafoglio nella tasca dei miei pantaloni – Se è possibile, d’accordo, altrimenti aspetterò un momento di pausa. Dovrei parlarle un momento.»

Marcus scosse il capo, accendendosi una sigaretta. «Minx lavora nei privè solo nel weekend. Durante la settimana è la barista, ha il turno fino a mezzanotte poi è libera. Se è così urgente ciò che devi dirle, aspetta la fine del turno.»

Lanciai un’occhiata a James che strinse le labbra intorno alla sua sigaretta ed io sospirai, entrando immediatamente nel locale con la musica a tutto volume. Notai che sul palco c’era Bowie, la prima spogliarellista che avevo portato nel mio hotel quasi tre anni prima, insieme a Yara. Io però mi girai subito verso il bar e notai che dietro al bancone c’era già Minx, bellissima come sempre, intenta a preparare un cocktail alla frutta per un ragazzo seduto davanti a lei. La bionda indossava un top aderente che le scopriva l’ombelico e un paio di shorts di jeans che le modellavano alla perfezione il sedere, mentre notai che al collo portava una collana a fascia che copriva la sua pelle. Le mie labbra s’incurvarono in un sorriso malizioso: stava sicuramente coprendo i succhiotti con cui le avevo decorato il collo.

Adorabile. Presi posto nell’angolo del bancone del bar e appoggiai i gomiti sulla superficie rigida, aspettando che Minx si accorgesse di me ma nel momento in cui i suoi occhi finirono sul suo volto, dalle sue mani cadde la cannuccia per il drink del ragazzo seduto davanti a lei. Le feci l’occhiolino e poi mi girai verso il palco dove l’esibizione di Yara e Bowie proseguiva, scatenando grida di apprezzamento e applausi da parte del pubblico. Ero divertito dall’espressione scioccata di Minx e mi sentivo lusingato anche per il fatto di averla così sconvolta d’averle fatto cadere dalle mani una cannuccia, perciò restai a fissarla per qualche secondo finché lei non servì finalmente il ragazzo e poi si pulì le mani, avvicinandosi a me. Alzò un sopracciglio.

«Signor Stiles, buonasera»

Le rivolsi un sorriso smagliante. «Ciao Minx. Credo di avere qualcosa che ti appartiene qui»

Infilai la mano nella tasca destra dei miei pantaloni e tirai fuori le sue mutandine di pizzo bianche, sventolandole davanti al suo viso ma facendo attenzione a non dare spettacolo agli altri. Era una questione fra me e lei, non tra me, lei e il resto del locale. Gli occhi di Minx si spalancarono ancora di più e lei si morsicò il labbro inferiore, spedendo una scintilla nel mio bassoventre e diffondendo un calore sulle mie guance. Aveva idea dell’effetto che mi faceva anche con un semplice gesto? Mi costrinsi a mantenere il controllo, non era il caso di prenderla per le braccia, sollevarla da dietro il bancone e portarmela fuori davanti a tutti. James mi avrebbe ucciso e non era il caso di entrargli in antipatia, nonostante i miei soldi fossero allettanti per lui.

«Non adesso, per favore. – mormorò lei, facendo un cenno verso l’ingresso – Sto lavorando. Puoi aspettare almeno fino alla mia pausa? Tra un’ora?»

Annuii, dondolandomi sullo sgabello. «Non ti preoccupare, rimarrò qui finché non finirai il turno.»

La ragazza sollevò un sopracciglio, appoggiandosi le mani sui fianchi. «Ti manco già così tanto?»

«Nuda, sotto di me, ad implorarmi di scoparti? Sì, mi manchi da morire. – ammiccai con malizia e lei arrossì, abbassando d’istinto lo sguardo – Preparami un Long Island, per favore, ma con poco ghiaccio.»

Minx fece una smorfia alle mie parole e si spostò dal mio campo visivo, seguendo i miei ordini. Io scesi dal mio sgabello davanti al bancone e andai ad occupare uno dei tavolini nell’angolo del locale davanti al palco, incrociando le braccia e godendomi lo show di Bowie che si strusciava contro il palo. Ripensai alla sera precedente, quando Minx era comparsa in tutta la sua bellezza con un intimo quasi trasparente addosso e i suoi bellissimi capelli sciolti, ricci e biondi. Bowie e Yara non erano niente in confronto a lei. Loro erano le classiche bellezze dei nuovi social media: seni rifatti, labbra piene di silicone, capelli biondi rovinati dalle troppe tinte, piercing all’ombelico – insopportabile e inguardabile, per me – ma soprattutto il sedere sproporzionato rispetto al resto del corpo per via degli impianti. Certo, erano molto brave a letto e non lo negavo di sicuro, ma diamine, ad un uomo piace fare sesso con una vera donna, non con un cuscinetto tutto silicone e botox.

E per quanto ritenessi belli i seni prosperosi, preferivo una ragazza piatta come una tavola da surf piuttosto che con due bocce di plastica. Il solo pensiero mi fece rabbrividire. Quando andai a letto per la prima volta con Bowie lei era completamente diversa: aveva i capelli neri come la notte e non era nemmeno truccata, i suoi seni erano piccoli ma sodi e il suo sedere era decisamente meno gonfio. Eppure mi piaceva di più, ma da quando il locale aveva cominciato a diventare esclusivo ed uno dei più famosi di tutta Londra, il suo salario aumentò a dismisura e le permise di diventare una bambolina di plastica. Che tristezza.

I miei pensieri s’interruppero nel momento in cui Minx comparve davanti a me con il mio drink sul vassoio; si piegò in avanti e lo appoggiò sul tavolino, fissandomi poi con attenzione.

«Signor Stiles, quello che è successo ieri sera è stato uno sbaglio. – mormorò, costringendomi a spostare lo sguardo sul suo volto – Io avrei dovuto limitarmi a fare il mio lavoro e non, uhm, seguirla. È stato un errore che non commetterò più.»

Aggrottai le sopracciglia, non capendo le sue parole. «Sei stata tu a lasciarmi due regali questa mattina, o mi sbaglio? Se è stato un errore, non mi avresti dato il tuo numero di telefono.»

Minx s’irrigidì, distogliendo lo sguardo dal mio viso. «Come ho già detto, è stato un errore.»

E pronunciate quelle parole, ritornò dietro al bancone, lasciandomi confuso e leggermente scioccato. Cos’era appena successo? Davvero si era pentita di essere finita a letto con me? Sentii il sangue ribollirmi nelle vene e afferrai subito il mio drink, scolandomelo in un solo sorso, percependo l’alcool pizzicarmi la gola e scaldarmi le guance. Ero furioso. Non mi sembrava così dispiaciuta qualche ora prima quando mi implorava di scoparla di più, di farle perdere la ragione a forza di orgasmi. Perché aveva cambiato idea? Cos’era successo di così terribile d’averla scioccata al punto di vergognarsi di aver fatto sesso con me? Ero così orribile?

Appoggiai il bicchiere sul tavolo e puntai il mio sguardo sul palco dove Bowie e Yara stavano raccogliendo i soldi dal loro pubblico, segno che era finito il loro spettacolo. Non sapevo nemmeno se valeva la pena restare o meno, però decisi che mi sarei dovuto concentrare su altro. Minx non mi aveva lasciato, non era la mia ragazza perciò non dovevo rattristirmi solo per ciò che mi aveva detto. Io ero stato contento perché avevo fatto dell’ottimo sesso. Era lei che ci perdeva, in ogni caso. Mi alzai dal mio posto e mi sedetti in uno dei tavolini più vicini, aspettando che qualche altra ragazza salisse sul palco.
 

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