Capitolo 3.

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It’s all right, you’ll be fine.
Baby, I’m in control.
Take the pain, take the pleasure
I’m a master of both.
Close your eyes, not your mind.
Let me into your soul,
I’m a work it ‘till you’re totally blown.

 
2 febbraio.

Leonard.

Sfiorai l’orlo del mio bicchiere vuoto con la punta dell’indice senza mai distogliere lo sguardo dal palco sul quale era appena scesa Lorena e sospirai rumorosamente. Avevo trascorso l’intera sera a guardare bellissime donne spogliarsi e strusciarsi contro di me, ma non me n’ero nemmeno accorto perché non riuscivo a capacitarmi di ciò che era successo all’inizio. Davvero Minx si pentiva di essere venuta a letto con me e di avermi dato il suo numero di telefono? Perché? Ero stato io a farle cambiare idea, spaventandola con i miei giochi? Spostai lo sguardo sul mio bicchiere vuoto, percependo la mia gola pizzicare per via della sete perciò chiamai con uno schiocco delle dita Minx proprio davanti a me e lei si girò, un’espressione imbarazzata.

«Sì?»

Sollevai il bicchiere. «Puoi portarmi una birra, per favore?»

Lei annuì, afferrando il mio calice vuoto. «Certo, arriva subito. – si girò verso l’ingresso e sospiro – Fra dieci minuti finisco il turno, possiamo parlare?»

Questa volta fui io ad annuire, sorpreso. «Sì, va bene.»

Minx mi rivolse un debole sorriso e scomparve dalla mia vista, sculettando e dirigendosi verso il bancone del bar ancora affollato. Io mi passai una mano fra i capelli e cercai di sistemarmi un po’, percependo le mie guance farsi più calde per via della mia conversazione appena avuto con la ragazza. Non riuscivo a capire come mai fosse così confusa: mi aveva detto di aver commesso un errore, venendo a letto con me, ma un paio d’ore dopo mi aveva chiesto di parlare. Di che cosa? Forse si era pentita di avermi detto quelle cose? Decisi di non illudermi troppo, concentrandomi sulla presenza di Lorena sul palco. Accavallai le gambe e appoggiai entrambe le braccia sullo schienale del divanetto, osservando la donna muoversi sensualmente vicino al palo. Si sfilò il guanto di pizzo bianco e lo lanciò su un uomo nel primo tavolo, poi si girò di schiena e sculettò. Non era minimamente paragonabile a Minx.

Perché allora mi ero sempre accontentato delle loro movenze? Era tutta colpa di James: da quando mi aveva affidato la novellina, non riuscivo più a togliermela dalla testa. Era l’unica donna che desideravo veder ballare. Ma perché?
Mi morsicai il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo dal palco nel momento in cui la ragazza dai capelli biondi si sedette al mio fianco con la mia pinta di birra.

«Ho convinto Melissa a coprirmi gli ultimi cinque minuti del turno. – disse Minx, sfilandosi le scarpe dal tacco vertiginoso e incrociando le gambe – Mi dispiace averti fatto aspettare.»

Alzai le spalle, prendendo la mia birra e portandomela alle labbra. «Tranquilla.»

La ragazza esitò per qualche secondo. «Signor Stiles, quello che è successo ieri sera non è stato molto professionale.»

Mi leccai il labbro superiore sporco di schiuma. «Non ti ho trascinata via con me con la forza.»

«No, è vero, lo so. – mormorò lei, imbarazzata – Però non potevo farlo, è contro le regole del locale ed io tengo molto a questo lavoro. Più o meno.»

La guardai con attenzione, alzando un sopracciglio. «Ciò che accade al di fuori di questo posto, Minx, non è affare di James o di Marcus perciò non usare questa scusa con me. Conosco questo locale meglio di quanto credi, principessa. Non sono stupido. Sii sincera, per favore.»

Lei s’irrigidì e strinse le labbra in una striscia sottile. «Non sono una prostituta.»

«Non ho mai pensato che lo fossi.» replicai confuso.

La ragazza abbassò il capo, deglutendo a vuoto. «So chi sei e credevo..»

Alle sue parole, portai una mano sotto al suo mento e le sollevai il viso. Capii all’istante il motivo del suo rifiuto, allora: si era spaventata dai miei soldi e si era convinta che l’avrei pagata subito dopo la nostra serata di sesso. Sapevo l’effetto che avevo sul gentil sesso e sapevo che sarei riuscito ad attirarla a me senza per forza sventolarle davanti al viso il mio portafoglio pieno di denaro.

«Che ti avrei pagata dopo quello che abbiamo fatto? – lei annuì ed io ridacchiai – Mi dispiace ma no, non spendo soldi per del sesso. Non è il tuo lavoro, o mi sbaglio?»

Minx arrossì, alzandosi dal divanetto.

«Non è il posto adatto per parlare, puoi seguirmi?»

Annuii alla sua domanda, finendo di bere la mia birra. «Va bene.»

Scesi anche io dal divano e mi passai una mano sul petto, lisciando la camicia bianca. Mi girai verso la porta d’ingresso del locale e notai James seduto sul primo sgabello accanto all’entrata, perciò mi fermai e lanciai un’occhiata a Minx che si avviò a passo svelto verso il bancone del bar. Io presi un respiro profondo e ripresi a seguirla di nuovo, percependo lo sguardo del proprietario del locale su di me ma decisi di ignorarlo. Me la sarei sbrigata più tardi con lui, quello non era il momento adatto. Lei si addentrò nel lungo corridoio buio dei privè ma invece di aprire le due penultime porte, si avvicinò all’ultima con un insegna verde sopra e mi fece cenno di entrare con lei. Mi morsicai il labbro inferiore, ancora indeciso, ma poi presi un respiro profondo ed entrai nell’area dedicata ai dipendenti del Secret Dreams.

«Tieni gli occhi bassi, per favore. – disse Minx, prendendo la mia mano destra – Ci sono alcune ragazze che si stanno cambiando per il prossimo spettacolo o per il privè.»

Mi lasciai sfuggire una risata, seguendo però il suo ordine. «Niente può spaventarmi. Non in questo posto, almeno.»

Chinai la testa e spostai il mio sguardo sulle gambe toniche della ragazza davanti a me, osservando il modo in cui si muovevano ad ogni suo passo ma i miei occhi finirono involontariamente, o forse no, sul sedere tondo di Minx che ondeggiò ad ogni suo movimento, ipnotizzandomi.
Ricordai ciò che era capitato la notte precedente, al nostro quinto round: lei a quattro zampe sul materasso, il viso nascosto nel cuscino e il suo bellissimo sedere sollevato a mezz’aria che accoglieva la mia erezione, stringendomi. Il solo pensiero mi fece rabbrividire. Sollevai la testa e mi guardai intorno nel momento in cui la ragazza si fermò e chiuse una porta dietro di me. Fece un passo in avanti e prima che potessi aprire bocca, mi ritrovai le sue braccia strette intorno al mio collo e le sue labbra incollate al mio petto, la lingua calda che bagnava la mia pelle e le sue unghie conficcate nelle mie spalle. Si era pentita di avermi detto quelle cose.

«Minx, piccola.. – cominciai, portando una mano appena sopra il suo sedere – Non hai detto di non voler più commettere quell’errore?»

Lei ansimò appena, risalendo con le labbra verso la mia mascella. «Sta’ zitto, so che mi vuoi anche tu.»

Mi lasciai sfuggire una debole risata, chiudendo gli occhi. «Sai, è un peccato che io non abbia il martinet qui.»

La ragazza sollevò lo sguardo sul mio volto. «Potresti usare solo le tue mani, sono molto grandi ed eccitanti. Non preferiresti sentire il calore della mia pelle contro il tuo palmo?»

Mi diede una forte spinta all’indietro contro la panchina di metallo dietro di me che oscillò un momento. Io alzai il mento e notai uno zaino nero appena sopra la mia testa ma Minx fu più veloce di me e lo tolse, lanciandolo nell’angolo dello spogliatoio in modo che esso non potesse rischiare di caderci addosso durante la nostra sessione. Mi leccai il labbro inferiore e afferrai la mano sinistra della ragazza, attirandola fra le mie gambe ma senza distogliere il mio sguardo dal suo viso. Era così bella e già così eccitata. Se le avessi messo una mano fra le gambe, ero certo che avrei sentito tutto il suo calore sulle mie dita.

«Ti voglio qui sulle mie gambe, principessa. – mormorai con un sorriso, indicando le mie ginocchia – Veloce, non abbiamo molto tempo. Le tue amiche penseranno male.  E scegli un numero da uno a cinque.»

Lei esitò un momento, osservandomi confusa. «Uhm.. quattro?»

Le mie labbra s’incurvarono in un sorriso malizioso. «Molto bene, ora vieni qui.»

La ragazza si abbassò rapidamente i pantaloncini corti di jeans, rivelando un delizioso paio di slip di pizzo blu notte, e si sdraiò sulle mie ginocchia come le avevo chiesto. Sollevò appena il bacino ed io accarezzai le sue natiche con la punta delle dita, leccandomi il labbro inferiore.
Aveva ragione: per quanto fosse eccitante utilizzare degli oggetti per sculacciarla, niente era paragonabile alla mia mano perché potevo palpare, accarezzare e affondare le mie dita nella sua pelle candida, meravigliosa. Minx piantò le ginocchia contro la mia coscia e si posizionò sulle mie gambe, sculettando appena come per attirare la mia attenzione e distogliermi dai pensieri, perciò sollevai la mia mano sinistra e colpii con forza il suo sedere, osservando la sua natica rimbalzare al colpo. La bocca di Minx si schiuse nel momento in cui arrivò il colpo ma lo incassò con un gemito rumoroso, spedendo mille scintille che accesero un forte desiderio nel mio bassoventre.

La ragazza mugolò appena ed io la sculacciai di nuovo, osservando il modo in cui le mie dita marchiarono sul sedere su cui comparve l’impronta della mia mano; non riuscii a non sorridere e mi piegai appena in avanti, premendo un lieve bacio sulla sua spalla nuda. Ero al secondo colpo ma non mi fermai, sculacciandola una terza e una quarta, ultima volta. Le sue natiche si colorarono di un rosa tenue, non abbastanza per il mio gusto ma quello non era il momento di fare un lavoro abbastanza meticoloso. Avevamo almeno una ventina di minuti, niente di più, perciò mi sarei dovuto dare una mossa per farle avere quattro orgasmi, come mi aveva chiesto.

«Quattro dita. – mormorai a bassa voce, infilando la mano sotto le sue mutandine – Pensi di farcela, piccola?»

Lei si leccò le labbra, girandosi a guardarmi. «Sono riuscita a prendere il tuo cazzo, credo proprio di sì.»

Mi sentii lusingato dalle sue parole così volgari ma decisi di non mostrarlo, infilando immediatamente due dita dentro di lei e percepii le sue pareti stringersi intorno a me. La ragazza chiuse gli occhi e crollò in avanti con le cosce già tremanti, perciò io iniziai a spingere a ritmo del mio respiro le dita dentro di lei per poi arricciarle e strofinarle contro un piccolo fascio di nervi che la fece singhiozzare. Costellai le sue spalle di piccoli baci mentre stuzzicai la sua intimità con un terzo dito e poi lo spinsi dentro, ruotandolo e arricciandolo con delicatezza senza farle del male. Minx inarcò la sua schiena e sospirò rumorosamente, spingendo il bacino contro la mia mano per seguire i miei movimenti; i suoi umori mi bagnarono le dita fino alle nocche ed io ansimai. Desideravo assaggiarla ma non era il momento giusto, né il posto adatto. Avevamo bisogno di ancora più spazio ma soprattutto tempo, mentre in quel momento potevamo fare solo un’orrenda sveltina.

«Non.. non credo di riuscire ad avere quattro orgasmi. – sussurrò flebilmente Minx – Abbiamo poco..»

Annuii alle sue parole, mordendo la pelle delle sue spalle. «Non ti preoccupare, hai finito di lavorare per questa sera perciò verrai fuori con me e troveremo un posto per continuare.»

La ragazza spalancò la bocca e i suoi occhi, girandosi verso di me. Le rivolsi un sorriso smagliante e l’aiutai a sdraiarsi sulla panchina appena davanti a me, permettendomi di sedermi fra le sue gambe spalancate in modo così osceno ma che le permetteva di esporsi a me, mostrandomi ogni parte di lei. Ed era bellissima, non avevo mai visto una donna più meravigliosa e sensuale di lei anche in un momento simile. Le passai la mano libera sulla coscia destra mentre spinsi più rapidamente le mie dita dentro di lei, aggiungendo anche il mignolo che la fece strillare e aggrapparsi alla panchina. Seguii i suoi movimenti con lo sguardo, ammirando i suoi seni rimbalzare ad ogni mio affondo di dita dentro di lei, e mi leccai il labbro inferiore; la mia gola divenne secca e il mio membro premeva con così tanta forza contro i pantaloni che sarei impazzito se non l’avessi liberato nel giro di pochi minuti. Aveva bisogno di attenzioni anche lui.

«A-Ah, ti prego..»

Massaggiai con vigore il suo clitoride con il mio pollice, alternando i movimenti delle mie dita che spinsi con forza dentro di lei finché non percepii le sue pareti contrarsi furiosamente intorno a me e i suoi occhi aprirsi, diventare lucidi. Le sue guance si colorarono di un rosso acceso e le sue gambe si spalancarono oscenamente davanti al mio viso, come a supplicarmi di fare qualcosa, perciò crollai in ginocchio davanti alla panchina e attirai i fianchi della ragazza verso di me. Affondai la mia lingua fra le sue pieghe bagnate e continuai a massaggiare il suo clitoride con il pollice e spingere le dita dentro di lei, gustandomi il suo sapore delicato che mi inebriò. Strofinai il naso contro la sua pelle e la ragazza infilò le dita tra i miei capelli, tirandoli con forza mentre mi costringeva ad affondare maggiormente il viso fra le sue cosce, stordendomi.

Aveva un sapore delizioso e il modo in cui gemeva, piagnucolava e mi chiamava spedì mille scintille in tutto il mio corpo, provocando la pelle d’oca sulle mie braccia. Leccai avidamente il suo clitoride e ci chiusi intorno le labbra, succhiandolo avidamente nel momento in cui Minx inarcò la schiena; dalla sua bocca uscì un gemito sonoro e subito dopo, le sue cosce si chiusero intorno alla mia testa e i suoi umori mi bagnarono tutto il viso. Aveva avuto il primo orgasmo della serata. Mi alzai dal pavimento e mi pulii per un momento le ginocchia, osservando la ragazza tremante con gli occhi chiusi e il petto che si sollevava ritmicamente. Le sue guance erano ancora rosse per l’eccitazione e le sue labbra erano schiuse, umide e gonfie per i troppi  morsi mentre la sua intimità scintillava di umori.

«Ti odio, lo sai?»

Mi lasciai sfuggire una risata alle parole di Minx, abbassandomi i pantaloni. «Ho sentito di peggio.»

La ragazza si leccò il labbro inferiore e si mise seduta sulla panchina, mentre io mi posizionai al suo fianco dopo aver calato anche i miei boxer. Cominciai a massaggiare la mia erezione e lei rimase a fissarmi per qualche secondo, ma poi appoggiò una mano sulla mia spalla e si sollevò, mettendosi seduta sulle mie ginocchia. Io le accarezzai con dolcezza la schiena, infilando le dita sotto il minuscolo top che finì sul pavimento insieme al resto dei suoi indumenti, e slacciai il gancetto del suo reggiseno che cadde sulla panchina.

«Hai dei preservativi? – mormorò lei, incollando la sua bocca al collo – Ti prego, dimmi di sì.»

Spostai una mano sul suo sedere, tirando le sue mutandine. «Sì, li ho. Sono nel portafoglio.»

Minx scese immediatamente dal mio corpo come una molla e s’inginocchiò sul pavimento, rovistando nelle tasche dei miei pantaloni: tirò fuori sia le sue mutandine di pizzo che il mio portafoglio, trattenendo a stento un sorriso che le increspò le labbra. Si girò un momento verso di me e mi mostrò i suoi slip a cui io risposi con un’alzata di spalle; passai una mano fra i miei capelli e mi sedetti meglio sulla panchina, attendendo che la ragazza si sbrigasse. Minx sfilò due bustine di profilattici e ne aprì una, lasciando l’altra sulla panchina per poi srotolare rapidamente un profilattico sulla mia erezione che svettò fra le mie cosce, dura e bisognosa di attenzioni e di calore. Io sollevai la ragazza per i fianchi e l’aiutai a sistemarsi sul mio bacino, impugnando con la mano libera il mio pene e senza preavviso, mi spinsi con forza dentro di lei. Minx spalancò la bocca e inarcò la sua schiena, puntando le ginocchia ai lati dei miei fianchi e appoggiando le mani sulle mie spalle per aiutarsi nei movimenti in modo da non cadere.

«Merda..»

La penetrai con delicatezza, permettendole di abbassarsi a suo piacimento mentre la mia erezione la riempiva centimetro dopo centimetro, aprendola a dovere. Minx affondò il viso nell’incavo del mio collo ed io avvolsi le braccia intorno ai suoi fianchi, restando fermo mentre la ragazza cercava di sistemarsi al meglio su di me e mi aiutava ad affondare dentro di lei con piccolo gemiti di piacere. Il suo calore mi stordì e percepii la mia erezione contrarsi ad ogni leggero movimento che lei faceva, perciò appoggiai una mano sul suo sedere e cominciai a muovermi con estrema lentezza verso l’alto, sospirando di piacere. Qualche secondo dopo, Minx si rilassò del tutto e sollevò la testa, guardandomi dritta negli occhi;: i suoi grandi occhi azzurri immersi nei miei verdi e la sua espressione maliziosa con le guance rosse, le labbra gonfie e lo sguardo attento. Non capii più nulla. In quel momento eravamo solo noi due, nient’altro. Solo io e Minx. Il mio cuore accelerò e avvertii le cosce della ragazza stringersi intorno ai miei fianchi, mentre le sue unghie affondarono nelle mie spalle; le morsi il collo con sensualità e sollevai il bacino a ritmo con i suoi movimenti, sfilando la mia erezione dal suo corpo per poi spingermi con forza nella sua fessura, ansimando.

La bionda assecondò con fatica i miei movimenti e unì le nostre bocche con un lungo bacio passionale: la sua lingua s’infilò nel mio palato e i suoi denti morsero il mio labbro inferiore, mentre le mie mani vagarono sul suo corpo esile. La sua pelle era così morbida e delicata, desideravo marchiarla alla mia maniera e farla sanguinare, distruggerla come sapevo fare io ma sapevo che con lei sarei dovuto andare con molta calma. Era la prima volta, dopo quattro lunghi anni, che finivo a letto con la stessa persona per due giorni di fila senza pentirmene. Anzi, più ripensavo al modo in cui Minx si aggrappava a me e mi stringeva con il suo corpo caldo e più desideravo possederla, renderla mia e sentirla urlare il mio nome che ancora non aveva osato pronunciare. Diceva di conoscermi, di sapere che persona ero ma non aveva mai avuto il coraggio di chiamarmi per nome. Forse si imbarazzava? Accolsi la sua lingua nella mia bocca e la baciai con passione, appoggiando entrambe le mani sui fianchi di Minx e l’aiutai a muoversi su di me, quando la ragazza s’irrigidì di scatto e inarcò la schiena, contraendo furiosamente le sue pareti intorno a me e venendo con un grido acuto. La sua voce rimbombò nel mio orecchio e la sua bocca si allontanò dalla mia, spostandosi sotto al mio mento.

«Devi venire anche tu.» mormorò lei.

Cominciò a spingere rapidamente il bacino contro al mio e iniziò a contrarre le sue pareti intorno a me, stordendomi completamente; inarcai la mia schiena e mi appoggiai con la schiena alla panchina, gemendo con voce rauca e gli occhi chiusi mentre permettevo alla ragazza di cavalcarmi con velocità. Il mio orgasmo si fece sempre più vicino e il calore del corpo di Minx mi accolse fino in fondo. Percepii i suoi umori scivolare lungo il mio pene e sulle mie cosce, bagnandomi del tutto finché non m’irrigidii, venendo nel preservativo con un gemito stridulo, le dita conficcate nei fianchi della bionda e la bocca spalancata. Respirai affannosamente e lei si spostò da sopra di me, scendendo dalle mie ginocchia per poi sistemarsi a quattro zampe sul pavimento; si colpì una natica con la mano e con i fianchi oscillò in avanti.

«Prendimi così, per favore.» sussurrò con voce flebile.

Io decisi di accontentarla e scesi dalla panchina, sistemandomi in ginocchio fra le sue gambe. Schiusi le mie labbra e mi spinsi appena in avanti, stampando una serie di piccoli baci sul retro del suo collo e scendendo verso la sua schiena. Infilai con delicatezza la lingua nel solco della sua colonna vertebrale e mi abbassai sempre di più, percependo la ragazza sospirare di piacere e tremare per via del mio contatto. Con la mano libera sfilai il preservativo dalla mia erezione e lo lanciai in un cestino nell’angolo della stanza, facendo attenzione a non sporcare il pavimento dei miei fluidi. Allungai il braccio verso i miei pantaloni e recuperai il portafoglio, aprendolo per prendere un altro profilattico ma quando mi accorsi che quello che avevo gettato era l’ultimo, avrei voluto lanciarmi dritto in strada. Ero ancora eccitato da morire ma non potevo entrare senza preservativi, non l’avevo mai fatto prima e non mi sentivo a mio agio.

«Cazzo.. Minx, c’è un problema.»

La ragazza si girò verso di me, guardandomi. «Cosa?»

Le mostrai il portafoglio vuoto, sbuffando. «Ho finito i profilattici.»

Se uno sguardo avesse potuto uccidere, sarei morto sul colpo ma la colpa non era mia. Era stata lei a prenderli prima, perciò sarebbe stata la prima a doversi accorgere di quello. Io non avevo intenzione di fare sesso con lei negli spogliatoi del Secret Dreams, desideravo portarla nella mia camera d’albergo oppure nella mia macchina, dove tenevo sempre una confezione di preservativi sotto i sedili. Minx si alzò da terra e raccolse le sue mutandine, infilandole alla svelta; io mi allacciai di nuovo i pantaloni dopo aver sistemato i boxer e sospirai rumorosamente, percependo la mia erezione premere contro il tessuto dei jeans. La ragazza si passò una mano fra i capelli e allungò il braccio verso il suo reggiseno, indossandolo rapidamente senza osare guardarmi negli occhi perciò io feci un passo verso di lei, prendendole una mano.

«Non doveva succedere. – borbottò lei, infastidita – Cazzo, perché sei venuto qui stasera?»

Aggrottai le sopracciglia, strattonandole il polso. «Per riportarti il tuo regalino.»

Minx mi graffiò il dorso della mano e poi si passò le mani sul viso, sospirando. «Io.. Cazzo, signor Stiles..»

«In macchina ho altri preservativi. – tuonai, infilandomi la camicia – Parcheggia la tua macchina vicino al Drive In qui vicino, io ti aspetterò lì con la mia auto.»

Le stampai un veloce bacio sulle labbra a cui lei rispose con un gemito e uscii a passo svelto dagli spogliatoi, percorrendo la stanza precedente dove alcune ragazze si stavano cambiando; rimasi con lo sguardo basso e, senza dire una sola parola, uscii poi anche dal locale.

**

Slacciai la cintura di sicurezza nell’istante in cui Minx salì sul sedile accanto al mio e chiuse la portiera con un tonfo secco, quindi accesi la luce sopra la mia testa per poter illuminare il viso della ragazza e notai che si era struccata, di nuovo. Era estremamente bella. Portai subito una mano sulla sua coscia e lei, prima che potessi aprire bocca, abbassò il suo sedile e salì sulle mie ginocchia. La sua bocca sfiorò appena la mia e lei avvolse le sue braccia intorno al mio collo, perciò  io appoggiai le mie mani sulle sue guance morbide e la baciai con più dolcezza, desiderando andare con più calma. Non ero riuscito a farle avere quattro orgasmi ma avrei recuperato in qualche modo con la sessione che avremmo avuto nella mia auto. Unii le nostre bocche in un bacio lento, sensuale, provocatorio, carico di lussuria e il mio cuore ebbe un sussulto, minacciando di esplodere nel mio petto e schizzare fuori dalla mia cassa toracica. Il profumo di Minx penetrò nelle mie narici e mi stordì del tutto, mentre le sue dita delicate accarezzarono la pelle sul retro del mio collo per poi infilarsi tra i miei ricci che tirò con forza, approfondendo il nostro bacio.

La sua lingua s’intrufolò nella mia bocca e s’intrecciò alla mia, mentre dalle sue labbra uscì un forte gemito di piacer che s’infranse nella mia, rimbombando nell’abitacolo. Con una mano, cercai di abbassare il mio sedile in modo da permettere a Minx di stare più comoda e di non urtare la testa contro il tettuccio della macchina, e sospirai a contatto con la sua bocca. Si sistemò con le ginocchia ai lati dei miei fianchi ed io chiusi gli occhi, sfiorando con delicatezza la sua lingua con la mia e gustandomi il suo delicato sapore. Persi ogni inibizione. Accadde tutto in pochi minuti. Io sollevai Minx con fatica dalle sue ginocchia per via della posizione scomoda e dell’abitacolo stretto dell’auto; slacciai rapidamente i bottoni dei miei pantaloni e li abbassai insieme ai boxer.

«Signor Stiles..»

La zittii con un altro bacio, ansimando. «Piccola, cazzo.. girati, sono lì.»

La ragazza afferrò la confezione di preservativi che avevo lasciato sul cofano della macchina e prese una bustina azzurra senza distogliere lo sguardo dal mio viso, strappandola con le labbra mentre sollevata con la mano libera la sua gonna; io le rubai il profilattico dalle dita e lo srotolai con lentezza sulla mia erezione, facendo attenzione a non romperlo.

«Sbrigati, cazzo! Ti voglio, per favore.» mormorò lei.

Mi lasciai sfuggire una flebile risata nel sentire l’urgenza nella voce di Minx e annuii, massaggiando appena la base del mio pene per poi strusciarla con delicatezza sul suo clitoride. Quanto desideravo passare un’intera notte ad assaggiarla, il suo sapore era così buono e intenso, ma quello non era il momento. Avevo bisogno di stare dentro di lei, di sentirla contrarre le sue pareti intorno a me. Minx ritornò seduta sulle mie cosce e avvolse le braccia intorno al mio collo, stampando una serie di piccoli baci sul mio collo ed io mi lasciai sfuggire un lungo sospiro di piacere. Afferrai la base della mia erezione e penetrai la ragazza con una sola spinta, ansimando con voce rauca nel momento in cui il suo calore mi strinse con forza.

«Dimmi la verità, Minx. – sussurrai al suo orecchio – Perché mi hai lasciato il tuo numero?»

La ragazza sollevò la testa per potermi guardare negli occhi e gemette, sistemandosi con cura sulle mie gambe e permettendomi di sprofondare ancora una volta dentro di lei. Appoggiò una mano dietro al mio collo e avvicinò il suo viso al mio, leccandosi il labbro inferiore e sfiorando con la sua lingua anche il contorno della mia bocca.

«E me lo chiedi, signore? – domandò, sollevando il bacino – Scopi da Dio.»

Schiuse la sua bocca e mi guardò negli occhi, con l’espressione mista tra il piacere che si diffuse anche in tutto il corpo e le dita che tremavano. Spostai le mie mani sui suoi fianchi e cominciai a spingerla con delicatezza contro al mio bacino, sfilando il mio pene dalla sua fessura bagnata per poi penetrarla di nuovo, strappandole altre grida di piacere.

«Così tanto, eh? – chiesi con un sorriso, leccando la porzione di pelle dietro al suo collo – Sono lusingato.»

Minx si piegò in avanti, nascondendo il viso contro la mia spalla. «Meno chiacchiere, più fatti. Possiamo parlare più tardi, adesso voglio.. cazzo, voglio che mi scopi.»

Sollevai il bacino a ritmo con quello di lei e mi mordicchiai il labbro inferiore, osservando il modo in cui i suoi seni, anche se coperti dalla felpa che aveva la sera precedente e il reggiseno, oscillavano ad ogni mio movimento. Era davvero meravigliosa, non si rendeva conto dell’effetto che mi faceva?
Appoggiai una mano sulla sua natica sinistra e affondai la mia pelle nelle sue natiche sode, inarcando la schiena; lei iniziò a spingere il suo bacino in avanti, oscillando sensualmente con gli occhi chiusi, e portò la testa all’indietro. Io cercai di seguire i suoi movimenti, sollevando a ritmo le mie anche per poter affondare dentro di lei, ma Minx mi lanciò un’occhiataccia assassina perciò mi fermai, permettendole di prendere il controllo. La ragazza appoggiò una mano sul vetro della macchina e l’altra sulla mia spalla, cominciando ad accelerare le sue spinte e a muovere i fianchi in avanti, facendomi uscire e poi subito rientrare dentro di lei. In quel momento esistevamo solo io e lei, nessun’altro, nemmeno le altre macchine nel parcheggio del Drive In. Non mi importava se fosse arrivata una volante della polizia a chiederci di andarcene, desideravo solo venire dentro di lei e sentirla venire, sussurrare quanto adorava essere scopata da me e percepire la sua bocca sulla mia gola.

«Ieri è stato un errore. – mormorai al suo orecchio, sculacciandola di nuovo – Eppure sei ancora qui.»

Minx gemette al mio gesto, chiudendo gli occhi. «Sta’ zitto.»

Portò la testa all’indietro e sollevò ritmicamente i suoi fianchi, facendo sprofondare la mia erezione dentro di lei e percepii il suo calore avvolgermi come un guanto, trascinandomi verso l’orlo del piacere. Il mio cuore accelerò e le cosce di Minx iniziarono a tremare, segno che stava per raggiungere il suo orgasmo, quindi cominciai a massaggiare il suo clitoride con il pollice per aiutarla a venire più in fretta. Osservai la sua espressione contratta dal piacere e notai che aveva lo sguardo perso, le guance rosse e il respiro affannoso: era immersa nel suo stesso piacere, completamente offuscata dalla lussuria ed era solo grazie a me. Io portai le mani sui suoi fianchi esili e, mozzandole il respiro, cominciai a spingere verso l’alto per poterla aiutare; il sudore le imperlò la fronte ed io sospirai, inarcando la mia schiena per poi incollare la mia bocca alla sua, ingoiando ogni nostro gemito. Mille scintille comparvero dietro ai miei occhi e un forte calore cominciò a diffondersi nel mio corpo, trascinandomi verso l’oblio finché Minx non contrasse i suoi muscoli pelvici; gridai con tutta la voce che avevo in gola e inarcai la schiena, venendo per la prima volta prima di una donna. La bionda morse il mio collo, staccando le sue labbra delicate dalle mie, e graffiò le mie spalle, continuando a spingersi sopra di me. Massaggiai rapidamente il suo clitoride con il mio pollice e finalmente anche lei venne, piangendo e inarcando la sua schiena.

«Cazzo.. oh merda.» mormorò lei, crollando contro di me.

Io avvolsi le mie braccia intorno ai suoi fianchi, gemendo. «Minx..»

Lei mi zittì con un bacio, passandomi una mano fra i capelli. «Chiamami Evie.»

«Evie, è un nome interessante.»

Annuii con un sorriso e le accarezzai la schiena coperta dalla felpa con la mano aperta, portando la testa all’indietro contro il sedile mentre lei si nascose contro di me con gli occhi chiusi. Avevo scoperto, quasi involontariamente, il nome della spogliarellista con cui avevo fatto sesso per due giorni di fila. Era la prima volta che mi capitava di interessarmi particolarmente ad una dipendente del Secret Dreams. E perché ero così felice di avere conosciuto sia il suo nome che il suo numero di telefono? Il mio cuore di ghiaccio si stava forse cominciando a sciogliere, dopo quattro anni? M’irrigidii a quel pensiero.

«In realtà è il mio soprannome. – disse la ragazza, risvegliandomi – Mi chiamo Evangeline.»

Mi lasciai sfuggire una risata. «Troppo lungo, ti chiamerò Evie.»

Lei annuì, scendendo con fatica dalle mie gambe. «Sì, grazie. Non capisco perché mia madre mi abbia chiamato in quel modo, è lunghissimo e troppo strano. Preferisco  il mio secondo nome.»

La conversazione stava diventando quasi troppo privata eppure non mi dispiaceva, ero curioso di conoscere qualcosa in più di lei e della sua vita. Sembrava una ragazza interessante, ma ciò che più m’incuriosiva era sapere il motivo per cui si era spinta a lavorare come spogliarellista e barista in un night club. Se aveva bisogno di soldi, avrei potuto aiutarla io in qualche modo, magari con qualche internship nella mia azienda. Scossi il capo, non sapevo nemmeno chi fosse e già mi interessavo così tanto? Fui tentato di schiaffeggiarmi da solo: l’ultima volta che mi ero preoccupato per una donna, questa mi aveva distrutto. Mi alzai i pantaloni e i boxer, chiudendo la cerniera e i due bottoncini dopo aver sfilato il preservativo; lo annodai e abbassai il finestrino, lanciandolo nel cestino accanto alla mia macchina. Avevo scelto un parcheggio strategico.

«Hai un secondo nome? Quale?» domandai curioso.

Evie fece spallucce, rialzando la sua gonna e sfilando dalla sua borsa un paio di mutandine. «Freja.»

Aggrottai le sopracciglia. «Freja? È straniero?»

Lei annuì. «Sì, norvegese. I miei genitori sono norvegesi. – aprì la portiera della mia macchina – Buonanotte signor Stiles, aspetto una sua chiamata o un suo messaggio entro domani pomeriggio.»

E senza più guardarsi indietro, scese dal mio veicolo, scomparendo dalla mia vista.

**

Mi sdraiai sul materasso con il cellulare tra le dita e sospirai, sbloccando lo schermo. Ero appena tornato a casa dopo la mia sessione insieme ad Evie ed ero esausto, avevo solo bisogno di infilarmi sotto le coperte e dormire fino alla mattina successiva altrimenti non sarei mai riuscito a svegliarmi il giorno dopo. Avevo forse fatto amicizia con una spogliarellista, dipendente di James? E perché ero così contento di averla vista anche quella sera, oltre che ad aver capito il suo vero nome? Se l’avessi detto a Niall, sarebbe rimasto scioccato dalle mie parole perciò mi dissi che non avrei dovuto parlare di questo nuovo legame con nessuno. E poi mi sentivo geloso, come se qualcuno potesse strapparmi Evie via dalle mani. Desideravo che lei restasse un segreto, il mio bellissimo e sporco segreto. Sapevo che conoscere il suo nome non significava moltissimo, ma l’idea di avere il suo numero di telefono e quindi poterla contattare ogni qualvolta che preferivo, mi faceva sorridere.

Esitai per qualche secondo, osservando lo schermo del mio cellulare e il foglietto che avevo lasciato sul letto, per poi digitare rapidamente il suo numero. Avrei dovuto chiamarla, per avvertirle che quello era il mio numero, o avrei dovuto aspettare e contattarla il giorno successivo? Mi morsicai il labbro inferiore e alla fine decisi di non scriverle nemmeno: mi limitai a salvare semplicemente il suo contatto e poi attaccare il cellulare al caricatore. Ero troppo stanco e bisognoso di ore di sonno.
Scesi dal materasso e mi sfilai la camicia di dosso, i pantaloni e anche i boxer, restando completamente nudo. Mi infilai sotto le lenzuola del mio letto e appoggiai la testa sul cuscino, lasciando il cellulare sul comodino ma nel momento in cui spensi la luce, lo squillo del mio telefono mi irritò. Chi poteva essere alle due del mattino? Con uno sbuffo, accesi di nuovo la luce della mia camera e presi il cellulare, leggendo il numero di mia sorella. Era successo qualcosa? Si era sentita male? Premetti il tasto verde e mi portai il telefono all’orecchio, sdraiandomi sul materasso.

«Pronto?»

La voce di mia sorella mi fece sorridere. «Ciao Leo! Ti disturbo?»

Rotolai su un fianco, facendo attenzione a non tirare il filo. «No, perché? È successo qualcosa?»

«In realtà ti sto chiamando per conto di Robin, mi ha detto che non è riuscito a contattarti per tutto il giorno.» spiegò Gemma.

Aggrottai le sopracciglia. «Non ho ricevuto nessuna chiamata da parte sua, strano.»

Mia sorella sbuffò, strappandomi una risata. «Devo insegnargli di nuovo ad usare il telefono, forse non hai ricevuto telefonate perché non ha premuto il tasto verde della chiamata. Ultimamente gli capita spesso, mi ha detto mamma.»

«Beh, non importa dai. Che succede? Come mai vuole parlarmi?» chiesi, confuso.

Ci fu qualche secondo di silenzio, scandito dal ticchettio dell’orologio nella mia stanza. «Non lo so, mi ha detto soltanto che ha bisogno di parlare sia a te che a me. Mi ha chiesto di andare ad Holmes Chapel la prossima settimana.»

Mi irrigidii alle parole di Gemma. «Mamma stamattina mi ha posto la stessa domanda.»

«Forse c’è qualcosa che non va, mi sembra così strano che entrambi..»

La interruppi immediatamente, non volevo sentire niente discorsi simili.

«No, mamma e papà stanno bene. Credo che sia una cosa che riguardi solo noi e Robin. Oggi mamma mi ha chiesto di andare da lei perché le manco, mentre tu ci sei stata anche la settimana scorsa perciò credo siano due cose completamente slegate.»

«In effetti mamma ha ragione, Leo. Non puoi avere sempre una scusa per non andare a salutarla, sai come soffre per questo. – disse Gemma, irritandomi con ogni parola – Holmes Chapel non è più come quattro anni fa, devi imparare a capire che ciò che ti è successo, non accadrà più.  E poi mamma vuole che tu vada là solo per salutarla, non per cercare quella donna e passarci una giornata insieme.»

Mi costrinsi a mantenere il controllo, non era il momento di discutere con mia sorella alle due del mattino solo perché lei non aveva la minima idea di che cos’era successo fra me e Diana. Nessuno lo sapeva, solo Niall ed era l’unico che non poteva aiutarmi perché io non gliel’avevo permesso né potevo permetterglielo. E soprattutto la mia famiglia doveva stare il più lontano possibile dal mio segreto, altrimenti chissà che cosa sarebbe potuto succedere. L’idea che uno dei miei familiari potesse disprezzarmi per la mia indole, mi terrorizzava.
Decisi di usare la carta del lavoro.

«Non posso lasciare Londra, ho un mucchio di pratiche da terminare per l’Hotel di Birmingham e quello nuovo in centro. Mamma dovrà aspettare almeno a maggio, quando mi prenderò un paio di settimane di ferie. – risposi a tono, cercando di sembrare determinato – Altrimenti potrà fare un salto qui lei. Pagherò il volo e l’alloggio sia a lei che a Robin, e anche a te se ti va.»

Gemmasospirò rumorosamente. «Tornare a casa può aiutarti, Leonard.»

«È stata mamma a chiederti di farmi questi discorsi alle due del mattino? – domandai acido – Ora ti saluto, è stata una giornata molto impegnativa e domani sarà ancora peggio perciò devo dormire.»

Mia sorella borbottò qualcosa d’incomprensibile, poi sospirò. «No, ma credo che mamma abbia ragione.»
Scossi il capo, chiudendo gli occhi.

«D’accordo, come vuoi. Buonanotte Gemma.»

«Richiama Robin, appena ne avrai l’occasione. – disse lei – Mi raccomando, non dimenticarti.»

Mi passai una mano sul viso, sospirando. «Sì, tranquilla. Lo chiamerò domani mattina.»

«Buonanotte Leo.»

Sospirai appena. «Buonanotte.»

Chiusi la telefonata e appoggiai il cellulare sul comodino accanto al mio letto. Spensi la luce della mia camera, crollando nel buio più totale, e sospirai rumorosamente. Perché era la seconda volta che qualcuno mi supplicava di tornare ad Holmes Chapel in meno di ventiquattr’ore? E perché nessuno riusciva a capire che quando dicevo di no, non cambiavo idea per nessun motivo al mondo? Quel posto evocava i peggiori ricordi di quel periodo perciò rimanere là per una settimana, o magari anche solo qualche giorno, non era affatto una buona idea. A volte mi sentivo in colpa per le litigate furiose che facevo con mia madre, ma non potevo rischiare di avere un crollo emotivo solo per una giornata passata nella mia vecchia casa e la mia famiglia doveva capirlo, ormai erano quattro anni che avevano notato il mio cambiamento eppure si ostinavo a riempirmi la testa di queste richieste.
E con quei pensieri, mi addormentai.

**

3 Febbraio.

Uscii dall’ascensore a passo svelto con il bicchiere del mio caffè nella mia mano sinistra e salutai con un cenno del capo Zoe, passeggiando nel lungo corridoio del mio piano nella sede centrale della mia azienda per poter entrare nell’ufficio di Niall. Avevo bisogno di una delle ultime mail che il nostro socio di Birmingham ci aveva lasciato perché, alla fine del contratto, c’era una clausola che non mi convinceva del tutto: io non avrei potuto intromettermi nell’assunzione del direttore dell’Hotel? Era assurdo. Io ero il proprietario della Crown Enterprise, io ero il responsabile della costruzione dell’albergo, io ero il proprietario della catena dei Crown Hotel dell’Inghilterra perciò avevo il diritto, se non l’obbligo, di scegliere il direttore dell’edificio.

«Buongiorno Leonard! – esclamò Weasley, uno dei responsabili della parte legale – Niall ti stava cercando.»

Gli feci un cenno del capo, sorridendo. «Grazie, sto proprio andando a lui.»

Mi portai il bicchiere di caffè alle labbra e lo bevetti tutto d’un sorso, dirigendomi a passo svelto verso il suo ufficio e trovai la porta aperta; bussai per un istante e poi entrai, gettando il mio bicchiere nel cestino della carta sotto la sua scrivania. Il ragazzo dai capelli biondi alzò la testa e mi guardò con un sorriso, allungandomi subito il foglio con la mail che aveva già stampato come gli avevo richiesto.

«Buongiorno, grazie. – dissi con un sorriso, sedendomi davanti alla sua scrivania – Non me n’ero nemmeno accorto, ci ho pensato ieri sera prima di dormire e mi sono ricordato di questa clausola.»

Il biondo fece spallucce. «Tranquillo, era sfuggita anche a me. L’hanno scritta con un carattere più piccolo appositamente, per fortuna non hai ancora spedito il contratto alla loro società.»

Alzai un sopracciglio, lasciando che i miei occhi finissero subito sulla frase incriminata. «Già, per fortuna..»

«No, Leonard. Ti prego, non dirmi che l’hai spedito domenica!» esclamò Niall, scioccato.

Io sospirai rumorosamente, annuendo. «Già, l’ho fatto.»

Il ragazzo mi lanciò una penna sulla spalla, scuotendo il capo. «Sei un coglione, non ci credo! Te l’avevo detto di aspettare almeno fino ad oggi, dovevamo controllare tutto da capo insieme!»

«Bada a come parli, biondo. Sono sempre il tuo capo. – borbottai infastidito, massaggiandomi le tempie – Non so cosa fare adesso, sono sicuro che avranno già ricevuto il contratto e staranno facendo una festa.»

Appoggiai il foglio con la mail del contratto sulla scrivania del mio collega e chiusi gli occhi, scuotendo il capo; fui costretto ad ammettere di aver combinato una cazzata a cui non sapevo come rimediare. Niall si girò verso il suo computer e cominciò a digitare rapidamente qualcosa su internet, prendendo poi il telefono e componendo un numero. Che stava combinando?

«Spero di riuscire a salvarti il culo con queste chiamate. – mormorò sottovoce, girando sulla sedia – Dammi dieci minuti, intanto vai da Zoe che ti deve parlare.»

Fissai per un momento il ragazzo seduto davanti a me ma poi annuii, alzandomi dalla poltroncina. Infilai una mano nella tasca posteriore dei miei pantaloni e sbloccai lo schermo del telefono, trovando un messaggio da parte di Robin in cui mi chiedeva di poterlo chiamare alla sua pausa pranzo perciò gli risposi che l’avrei fatto, e uscii dall’ufficio di Niall. Mi incamminai nel corridoio del mio piano e arrivai davanti al bancone di Zoe, appoggiando entrambe le braccia sulla superficie di marmo. La ragazza dai capelli scuri alzò la testa quando si accorse della mia presenza e mi rivolse un sorriso smagliante, facendo il giro del bancone per potermi raggiungere. E prima che potessi aprire bocca per chiederle cosa voleva, mi gettò le braccia al collo e cominciò a saltellare, felice e contenta.

«Ti ringrazio, ti ringrazio sul serio! Sei il migliore, Leonard, te lo giuro!»

Aggrottai le sopracciglia alle sue parole. «Zoe, perché? Non riesco a capire.»

Lei mi baciò una guancia ed io rabbrividii. «Per ciò che hai fatto per me, sciocco! Ieri sono arrivata all’hotel e ho una camera stupenda, anche se non ha il balcone. Lo staff è gentilissimo e la cena era deliziosa.»

Mi lasciai sfuggire un sospiro, facendo un passo all’indietro. «Nessun problema, sei un’amica e meriti un aiuto da parte mia. Ho soldi da spendere ovunque e mi sono sentito in dovere di aiutarti, visto quello che hai fatto per me negli anni precedenti.»

La ragazza mi guardò con gli occhi scintillanti, arrossendo. «Beh, non so come ringraziarti, davvero.»

«Io so come. – replicai con un sorriso e lei arrossì – Torna a lavorare.»

E girai i tacchi, incamminandomi rapidamente verso il mio ufficio. Aprii la porta di legno scuro e la richiusi con un tonfo, afferrando il telecomando del riscaldamento che accesi in modo da non gelarmi le dita durante la mattinata. Andai a sedermi dietro la mia scrivania e mi lasciai cadere sulla poltroncina,sospirando rumorosamente con lo sguardo appoggiato sul computer spento davanti ai miei occhi. Ero sul punto di permettere ad una società di scegliere il direttore di uno dei miei Hotel, per assurdo. Come avevo potuto essere così idiota e stupido da non ascoltare il consiglio di Niall? Perché avevo deciso di firmare quel contratto senza nemmeno leggerlo, perché convinto che fosse uguale a tutti gli altri contratti che avevo stipulato negli anni precedenti? Era un errore da pivellino, pensai. Non potevo fare altro che sperare che il mio collega riuscisse a recuperare, in qualche modo, il contratto che avevo firmato due giorni prima. Il telefono del mio ufficio squillò così lo afferrai, portandomelo subito all’orecchio.

Non esitai a rispondere. «Stiles.»

«Merito un aumento. Credo di averti appena parato il sedere, sai? – disse Niall – Ho chiamato all’agenzia delle Poste e ho bloccato la spedizione del documento, ce lo porteranno nel pomeriggio così tu potrai bruciarlo o usarlo per procurarti mille tagli sulle dita come punizione per aver quasi mandato a puttane un intero albergo di tua proprietà.»

Tirai un lungo sospiro di sollievo, appoggiando la schiena contro la sedia. «Dio, ti ringrazio, sul serio.»

«Non è abbastanza.»

Chiuse la telefonata prima che potessi rispondere e un momento dopo, qualcuno bussò alla porta del mio ufficio così premetti un tasto sotto la scrivania per far scattare la serratura. Niall entrò prepotentemente nel mio studio con le labbra incurvate in un sorrisetto divertito e si sedette davanti alla mia scrivania, incrociando le braccia al petto. Io gli lanciai un’occhiataccia: che aveva intenzione di fare? E perché veniva a disturbarmi ancora, sapendo che avrei avuto un mucchio di cose da sistemare per quel fottutissimo contratto? Avrei dovuto anche cominciare a diffondere l’annuncio tra la schiera di uomini che avevo conosciuto per sceglierle uno come direttore del mio nuovo albergo, eppure non mi sentivo più sicuro di niente. Avevo combinato un terribile errore da pivellini, come avrei potuto scegliere al meglio il direttore di un Hotel? Mi passai una mano fra i capelli e sospirai rumorosamente, accavallando le gambe sotto la scrivania.

«Come mai sei ancora qui? Cosa vuoi?» chiesi infastidito.

Niall incrociò le braccia al petto, osservandomi con attenzione. «Stai bene?»

Aggrottai le sopracciglia, fulminandolo con lo sguardo. «Sì, perché? Niall, dovresti lavorare.»

«Hai delle occhiaie enormi, Leonard. Sicuro di stare bene?» domandò ancora.

Ignorò le mie parole ed io sospirai rumorosamente. «Ho detto di sì, la smetti?»

Lui scosse la testa, alzandosi di nuovo dalla sedia. «Hai le guance rosse e gli occhi lucidi, secondo me ti sei preso un’influenza o qualcosa del genere. Ti conviene ritornare a casa, Leo.»

«Da quando ti preoccupi così tanto per me, Niall? – chiesi, accendendo il mio computer – E comunque prenderò una pillola più tardi, adesso ho alcune cose da fare.»

Il biondo rimase a fissarmi per qualche istante. «In realtà mi sono sempre preoccupato per te, sei tu che eri troppo occupato a rispondermi male e a vivere nel tuo mondo per accorgertene. – replicò, sfilandosi la giacca scura dalle spalle – E comunque in questi due giorni sei un po’ strano, da domenica. È successo qualcosa di cui vorresti mettermi al corrente?»

I miei pensieri andarono dritti su Minx e arrossii, abbassando d’istinto lo sguardo. «Credo sia solo una tua impressione, sono sempre il solito Leonard. Comunque adesso sparisci, per favore, devo lavorare. E anche tu!»

«Ti  ho parato il culo e mi ripaghi in questo modo? – borbottò Niall – Che gentile.»

Alzai gli occhi al cielo, scuotendo la testa, e il ragazzo uscì dal mio ufficio. Perché in quest’ultimo periodo tutti desideravano torturarmi e irritarmi? Avevano voglia di vedermi infuriato? Mi costrinsi a respirare profondamente, chiudendo gli occhi e appoggiandomi per un momento con la schiena contro la mia poltroncina di pelle. Mi morsicai il labbro inferiore e picchiettai le dita sulla scrivania, già esausto. Forse Niall aveva ragione, sarei dovuto tornare a casa il prima possibile ma non potevo lasciare il mio ufficio per un po’ di mal di testa. Avrei mandato Zoe a prendermi qualche pillola in farmacia, ma non era il caso di mollare tutto e rinchiudermi nel mio attico a dormire. Ero sempre stato abituato, sin da quando ero un liceale, a lavorare nonostante le mie condizioni fisiche. Avevo affrontato verifiche scritte e orali con febbre a 39 ed esami con una spalla rotta e nausea. Mi passai una mano sulla fronte calda e sospirai, riaprendo gli occhi.

Mi ero preso l’influenza la sera precedente, dopo la mia scopata con Evie? Mi venne da ridere, com’era possibile? Sbattei le palpebre e i miei pensieri si focalizzarono di nuovo su di lei: non era la prima volta che facevo sesso nella mia auto ma davvero? Sui sedili davanti, vicino al volante? Assurdo, avremmo potuto essere scoperti da chiunque ma in quel momento non m interessava minimamente. Il mio obiettivo era far venire Evie e sentirla stringermi con il suo corpo caldo, nient’altro. Infilai una mano nella mia tasca dei pantaloni e presi il mio cellulare, sbloccando lo schermo per poi aprire la rubrica e scorrere fino al numero della ragazza: avrei dovuto chiamarla o mandarle un messaggio in quel momento? Io stavo lavorando ed ero molto impegnato, ma forse una piccola distrazione come lei avrebbe potuto aiutarmi a concentrarmi meglio e a smettere di pensare al mal di testa che mi torturava le tempie. Esitai con il pollice appoggiato sul suo contatto, indeciso. E se Niall decidesse di fare irruzione nel mio ufficio proprio nel bel mezzo della mia conversazione con Evie? Non era il caso che lui scoprisse cosa stavo facendo, anche perché mi avrebbe riempito di domande a cui io non avrei voluto rispondere, perciò.. forse non dovevo rischiare. O forse sì. Premetti il tasto verde sullo schermo del telefono e me lo portai subito all’orecchio, girandomi con la sedia verso la vetrata del mio ufficio. Londra era bellissima, una delle più belle città che avevo mai visto e il cielo grigio sopra con le nuvole nere cariche di pioggia la rendevano così affascinante, macabra, stupenda.

«Pronto?»

La voce rauca di Evie mi colpì le orecchie e me la immaginai sdraiata sul suo letto, completamente nuda, con gli occhi ancora impastati dal sonno e una mano sul suo viso d’angelo. Scossi il capo, togliendomi quei pensieri dalla testa, ma non riuscii a trattenere un sorriso.

«Ciao Evie.»

Lei sospirò. «Chi sei? È mattina, non ho tempo per queste stronzate.»

Mi lasciai sfuggire una risata, non mi aveva riconosciuto. «Non essere volgare, Evie, o ti sculaccio.»

Ci fu qualche secondo di silenzio ed io mi irrigidii, ma poi la sentii ridere.

«Oh signor Stiles, buongiorno. A cosa devo questa telefonata alle nove del mattino?»

«Desideravo sentire la tua voce. – mormorai, dondolandomi sulla sedia – Come stai?»

Evie sospirò, rotolando sulle sue coperte. «Mi sono appena svegliata, stanotte ho fatto fatica ad addormentarmi e ora ho mal di testa ma sto bene, più o meno. E tu?»

Mi morsicai il labbro inferiore. «Scusa, non volevo svegliarti.»

«No, non ti preoccupare. Hai fatto bene a chiamarmi, probabilmente non avrei sentito la sveglia. – disse ed io ridacchiai, immaginandomi la sua espressione divertita – Devo andare a lezione, perciò mi sarei comunque svegliata nel giro di mezz’ora.»

Sbattei le palpebre, spostando lo sguardo sul cielo di Londra. «Lezione? Quanti anni hai?»

Evie rise di nuovo, facendomi sorridere. «Stai tranquillo, sono maggiorenne da un po’ quindi non corri il rischio di andare in prigione per me. – tacque un momento – Comunque devo andare all’Università.»

Alzai un sopracciglio e capii in parte il motivo per cui lavorava in un night club: forse doveva pagarsi gli studi e la retta scolastica, o magari l’appartamento in cui viveva, se non era più a casa con i suoi genitori. E improvvisamente mi venne voglia di riempirla di domande per conoscerla, ma mi morsicai le labbra per evitare di parlare. Forse avrei dovuto chiederle di uscire con me. Aggrottai le sopracciglia a quel pensiero: cosa mi stava saltando in testa? Da quando chiedevo ad una spogliarellista di venire a cena con me? Ma poi ripensai al fatto che avevo fatto sesso con lei per tre volte nel giro di due giorni, quindi Evie era già un’eccezione.

«Ah, vai all’Università. Che facoltà stai frequentando?» chiesi.

Qualcuno bussò alla porta del mio ufficio e mi maledissi almeno venti volte, però fui costretto a rispondere così premetti il tasto sotto la mia scrivania e la serratura scattò. Zoe entrò nel mio ufficio con un foglio in mano ma appena mi vide al telefono, alzò un sopracciglio. Intanto, al telefono, Evie cominciò a parlare ma io non l’ascoltai nemmeno perché afferrai l’email che la mia assistente mi consegnò e sbuffai: era l’ennesimo incontro con i miei soci di Birmingham, volevano una risposta entro il pomeriggio. Per fortuna, pensai, non avevano ancora ricevuto il mio contratto firmato e dovevo solo ringraziare Niall per quello.

«Signor Stiles? Mi sente?»

La voce di Evie risuonò nelle mie orecchie. «Uhm Evie, aspetta, posso chiamarti fra cinque minuti?»

Lei tacque per un momento, poi sbuffò. «No, devo andare in Università.»

E chiuse la telefonata prima che potessi risponderle. Nel momento in cui alzai la testa per guardare Zoe, mi sentii tremendamente in colpa per non aver dato retta a Evie ma diamine, io ero a lavoro. Però poi pensai che ero stato io a chiamarla, e mi ero appena comportato in modo molto maleducato nei suoi confronti. Mi sarei fatto perdonare da lei, l’avrei sicuramente richiamata appena Zoe fosse sparita dalla mia vista.

«Leonard? È tutto okay?» chiese la mora.

Annuii velocemente, appoggiando il telefono sulla scrivania. «Sì, tranquilla. Grazie.»

La ragazza mi guardò per un istante e poi annuì, uscendo dal mio ufficio. Restai di nuovo solo ed io osservai il mio cellulare, digitando di nuovo il numero di Evie per poi premere il tasto verde. Mi portai il telefono all’orecchio e picchiettai le dita sulla scrivania, sospirando rumorosamente. Qualche secondo dopo, la voce di Evie risuonò nella mia testa e sorrisi.

«Cosa vuoi?»

Aggrottai le sopracciglia. «Non usare questo tono con me, Evie. Sono a lavoro ed era entrata Zoe, scusa.»

La bionda emise un sibilo. «Zoe? E chi è?»

Non riuscii a trattenere un sorriso e mi immaginai la sua espressione infastidita mentre pronunciava quelle parole: era forse gelosa della mia assistente personale o ero io a costruirmi mille illusioni in testa? Mi passai una mano fra i capelli e sospirai appena, dondolandomi ancora sulla sedia per poi girarmi e osservare Londra dalla finestra, sbattendo le palpebre.

«La mia segretaria personale, tranquilla. Ho avuto un piccolo problema con un contratto che avevo firmato per sbaglio domenica, ma per fortuna è stato risolto tutto.» risposi sottovoce

Evie sospirò. «Scusami, è che sei stato tu a chiamarmi e poi mi hai ignorato.»

«Lo so, mi dispiace ma quel foglio era davvero importante. L’ho firmato per sbaglio e l’ho quasi spedito, ma un mio collega è riuscito a recuperarlo e a salvarmi, così Zoe me l’ha portato. Tutto qui, scusami. Adesso ci sono, ti prometto che ascolterò ogni cosa che dirai.»

La ragazza ridacchiò e sentii un rubinetto aprirsi. «D’accordo, ho capito.»

Mi appoggiai con la schiena alla sedia. «Allora, che facoltà stai frequentando?»

«Lettere.»

Una spogliarellista che studia letteratura? Mi morsicai il labbro inferiore, non l’avrei mai detto. E non perché la ritenevo una stupida, ma semplicemente le attribuivo un altro tipo di facoltà come economia, o magari qualche materia scientifica come matematica o fisica. Però poi ripensai al suo viso e collegai alla perfezione Lettere a lei, era la facoltà che più le si addiceva.

«Wow, Lettere. In che Università?» chiesi, curioso.

Evie tossì un momento, chiudendo il rubinetto. «Perché vuoi saperlo?»

Restai in silenzio io, fissando la vetrata del mio ufficio. Desideravo farle una sorpresa, presentandomi alla sua università per poi portare Evie a pranzo con me o magari, alla fine delle lezioni, per fare una passeggiata con lei e cenare insieme. E chissà, magari poi trascinarla a casa mia – o a casa sua – e scoparla di nuovo, com’era successo la domenica sera.

«Pura curiosità, ma scommetto che studi al King’s College London.» dissi con un sorriso, pensando alle parole di mia sorella che desiderava venire a Londra a studiare nella stessa facoltà.

Evie tacque, sorpresa forse dalle mie parole. «Uhm, sì, studio lì.»

«Interessante, interessante.. – mormorai, massaggiandomi il mento – Ti piace la facoltà?»

La bionda si lasciò sfuggire un mugolio. «Sì, moltissimo. Perché queste domande?»

Strinsi la presa sul bracciolo della mia poltroncina, arricciando le labbra. «Pura curiosità, nient’altro.»

«Comunque oggi sarò a lezione solo fino all’ora di pranzo, manca una professoressa. – disse la ragazza ed io colsi al volo la sua frecciatina – E tu, invece?»

Controllai l’orologio sul mio polso e mi mordicchiai il labbro inferiore. Lavoro o sesso? E perché il mio mal di testa era passato nell’istante in cui avevo sentito la voce di Evie? Non sapevo cosa fare: desideravo andare da lei e parlarle un po’, conoscerla meglio, ma al tempo stesso non potevo mollare il lavoro per una donna perché non aveva senso. Che avrebbe pensato Niall? E se si fosse presentato qualche mio socio, magari per stipulare un nuovo contratto per l’edificazione di un nuovo albergo? Non era il caso di rischiare, però.. avrei potuto usare la scusa del mal di testa, convincere Niall della mia malattia e poi scappare a prendere Evie, portarla a pranzo con me e poi chissà, magari andare anche a casa sua.

«Io sono impegnato con il lavoro, in questo periodo. – mentii – Oggi ho alcune riunioni per un nuovo progetto a cui sto lavorando con i miei colleghi e finirò molto tardi.»

Evie emise un mugolio d’assenso. «Non passerai al locale, quindi?»

Le mie labbra s’incurvarono in un sorriso malizioso. «No, piccola. Durante la settimana non vengo mai perché finisco molto tardi, ma ieri è stata un’eccezione per colpa tua.»

«Sono lusingata, signor Stiles. – mormorò con voce languida – Adesso devo fare la doccia e poi prepararmi per andare a lezione. Ci possiamo sentire questa sera, se non è impegnato con il lavoro.»

Un brivido mi attraversò dalla testa ai piedi. «Certo, volentieri. Buona giornata, Evie.»

E staccai la chiamata senza attendere una risposta. Si sarebbe trovata una bella sorpresa alla fine delle lezioni.

🐼 🐼 🐼 🐼

🌜Buonasera a tutti🌛

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno inserito la storia nei  elenchi lettura e tutti coloro che hanno stellinato il capitolo.
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. In caso contrario, gradirei una recensione.

Ad ogni modo.. Inizia a delinearsi la storia di Leonard:
il suo passato,
la sua famiglia,
Diana..
Evangeline non ha la minima idea di che cosa si troverà a sopportare.


See you soon, guys x

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