Capitolo 4.

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Oh baby, look what you started.
The temperature’s rising in here,
Is this gonna happen?
Been waiting and waiting for you to make a move
before I make a move.


3 Febbraio.

Leonard.

Uscii dal palazzo di vetro della sede centrale della Crown Enterprise e mi voltai per un momento, osservando le porte scorrevoli chiudersi con la mia immagine riflessa. Stavo davvero lasciando il mio lavoro per un pomeriggio solo per andare a prendere una ragazza e portarla a pranzo con me, per conoscerla? Mi passai una mano fra i capelli con le dita tremanti e mi girai di nuovo, incamminandomi verso la mia macchina parcheggiata poco distante dall’ingresso dell’azienda. Era la prima volta che mi capitava di mollare Niall a controllare il mio ufficio per seguire una donna e mi sentivo un vero idiota: e se lei in realtà fosse già fidanzata? E se mi avesse detto di finire prima solo per testarmi? E se in realtà fosse stata tresca per spillarmi denaro dal mio portafoglio senza che me ne accorgessi?

Digrignai i denti e scossi il capo, Evie non era così malefica come immaginavo, anzi era tutto il contrario. Sembrava una ragazza molto dolce e sensibile, estremamente sensuale e probabilmente una delle donne più particolari che avessi mai conosciuto in tutta la mia vita. Aveva i lineamenti e gli atteggiamenti di un angelo, ma quando le mettevi le mani addosso e la baciavi, si trasformava in una piccola sottomessa coi fiocchi, bellissima ed eccitante. Mi leccai il labbro inferiore a quel pensiero e la mia mente vagò a ciò che avevamo fatto la sera precedente nello spogliatoio del Secret Dreams, al modo in cui si era chinata e mi aveva supplicato di prenderla sul pavimento. Nei suoi occhi non c’era altro che lussuria e il suo cuore batteva così rapidamente per l’eccitazione, perché desiderava essere toccata, usata, maltrattata.

Salii in macchina e infilai la chiave sotto al volante, accendendo il motore. Accesi la radio e alzai la musica a tutto volume, facendo retromarcia per poi dirigermi verso l’edificio in cui mi aveva trascinato Gemmaqualche anno prima. Sapevo che la facoltà di Lettere, Arte e Storia si trovava al di là del Tamigi, nella zona di Westminster perciò inserii il nome del Campus dell’Università del navigatore e cominciai a seguire le indicazioni. Non volevo rischiare di perdermi e soprattutto non volevo arrivare troppo tardi. Avevo controllato gli orari sul sito dell’Università e sapevo che le lezioni del mattino duravano fino alle una, perciò avevo ancora mezz’ora prima di rischiare di perdere Evie in giro per Londra.

E se fosse già impegnata con qualche sua compagna per pranzare? Non avrei potuto caricarla sulle mie spalle e portarla via, mi sarei sentito troppo in colpa. Strinsi le dita intorno al volante della macchina e mi fermai ad un semaforo, pensando e ripensando su che cosa fare. Ormai ero già per strada, non potevo tornare indietro a lavoro da Niall altrimenti si sarebbe insospettito e mi avrebbe cominciato a fare mille domande perciò decisi di provarci in ogni caso. Certo, l’idea di essere rifiutato mi mandava in bestia ma sapevo anche che Evie non mi avrebbe mai negato un pranzo con lei. Le piacevo, in qualche modo.
Dopo venti minuti di strada, riuscii a parcheggiare accanto all’ingresso del Strand Campus del King’s College London e scesi dalla mia macchina, chiudendola con la chiave automatica che infilai nella mia tasca posteriore. Mi infilai la giacca sopra le spalle e mi incamminai vicino all’ingresso, entrando in un enorme cortile affollato di ragazzi che giravano da una parte all’altra con i loro libri in mano. Sapevo che in quel Campus c’erano la facoltà di Musica, Arte, Legge, Scienze naturali e Matematica ma anche Scienze politiche e il centro di lingua inglese. Mi guardai intorno con curiosità e incrociai le braccia al petto, aspettando accanto all’ingresso del campus l’arrivo di Evie ma non la vidi. Chissà se era già andata via o se stava vagando nel cortile.

Controllai quindi l’ora sul mio cellulare e vidi che ormai erano le una, segno che lezioni del mattino erano terminate, perciò decisi di aspettare ancora un po’. Da un edificio accanto ad una fontana nel centro dell’enorme piazza collegata al cortile uscirono una cinquantina di studenti e intravidi, in mezzo a quella folla, la testolina bionda di Evie che spiccava in mezzo al gruppo di ragazze more e più alte di lei. Mi lisciai con cura la camicia sul mio petto e infilai le mani nelle tasche dei miei pantaloni, osservando la folla di studenti avvicinarsi a me ma nel momento in cui Evie posò i suoi occhi su di me, la sua espressione cambiò. Le sue labbra s’incurvarono un sorriso smagliante e, dopo aver mormorato qualcosa all’orecchio di una sua compagna, si allontanò dal gruppo per potermi raggiungere. Io mi presi qualche secondo per ammirarla e il mio cuore fece una capriola: indossava un abito corto fino alle ginocchia dalle maniche lunghe nero, delle scarpe lucide con i lacci bianchi e una giacca di pelle che le arrivava appena sotto il sedere; i suoi capelli erano sciolti sulle sue spalle e non aveva un filo di trucco sul viso. Era così carina e nonostante il cielo fosse grigio, la sua presenza e la sua bellezza illuminavano ogni cosa. Feci un passo in avanti per poterla salutare ed Evie mi abbracciò rapidamente, osservandomi curiosa.

«Ciao! Che ci fai qui?»

Non aveva mai pronunciato il mio nome, come mai? Scacciai quel pensiero e le baciai la fronte, attirandola ancora una volta al mio petto; la ragazza circondò i miei fianchi con le sue braccia esili e strofinò la punta del naso contro il torace, allontanandosi poi di qualche passo per potermi guardare negli occhi.

«Ho pensato di farti una sorpresa per farmi perdonare per stamattina, così ho deciso di passare a prenderti e portarti a pranzo con me, se ti va. – risposi con un sorriso – Ti dispiace che io sia passato?»

Lei sbarrò gli occhi alle mie parole ma scosse il capo, arrossendo. «No, mi fa piacere che tu sia qui.»

Piegai la testa da un lato, facendo scivolare un braccio intorno al suo bacino. «Allora? Vieni a pranzare con me o sei già impegnata con i tuoi compagni? Non ti voglio rapire, se sei con loro.»

Evie fece spallucce, lanciando un’occhiata ai suoi amici. «Non moriranno senza di me per un giorno.»

«D’accordo, allora possiamo andare. – risposi contento, accarezzandole la schiena – O devi avvertire qualcuno?»

Lei si fermò per un istante, indicando una ragazza dai capelli neri che si stava avvicinando a noi. «Aspetta.»

Si allontanò da me per poter raggiungere la sconosciuta e le disse qualcosa all’orecchio, poi le baciò una guancia e scappò di nuovo via, ritornando da me. La mora mi lanciò una lunga occhiata curiosa ma poi mi rivolse un sorriso smagliante, si aggrappò al braccio di un ragazzo e riprese a camminare, cambiando direzione. Evie infilò una mano nella sua borsa bianca e recuperò una sciarpa con cui si circondò il collo, avvicinandosi contenta.

«Okay, adesso possiamo andare. Lei è Melanie, la mia coinquilina.» disse la bionda.

Annuii, prendendo la sua mano destra. «Oh, capisco. Alloggi qui al Campus o avete un appartamento?»

Evie si mordicchiò il labbro inferiore, conducendomi verso l’uscita. «Stiamo cercando più soldi possibili per comprare una casa tutta nostra, ma per ora siamo ospiti di Wolfson Hall. È un vero strazio, però.»

Aggrottai le sopracciglia, percependo le sue dita sfiorare le mie. «Abbiamo un coprifuoco, non possiamo andare nelle camere dei nostri amici nemmeno per vederci un film insieme, non si possono portare persone nelle nostre stanze e il Wifi non funziona perché siamo in troppi che si collegano. Credimi, è terribile.»

«Beh è normale avere un coprifuoco, siete studenti, chissà dove vorreste andare la sera. Se vi lasciassero troppa libertà, molti ragazzi potrebbero approfittarsene e il King’s College è uno degli Istituti più severi di tutta l’Europa. Che ti aspettavi? Che ti permettessero di fare ciò che volevi? E poi se avete il coprifuoco, perché tu puoi rimanere tutta la notte fuori?»

Evie mi lanciò un’occhiata assassina.

«Fingerò di non aver sentito le tue prime parole. Comunque sì, io ho un permesso speciale. All’inizio dell’anno, quando James mi ha assunta, ho presentato un certificato che mi ha scritto lui in cui diceva che avrei lavorato per lui fino a tardi. L’Università l’ha accettato. Non sono l’unica studentessa che lavora, ma sono l’unica che ha i turni di notte per ovvi motivi.»

La guardai per qualche momento e poi aprii la mia macchina, permettendole di salire prima di me. Quando io andavo al College, non ero mai riuscito a conciliare lo studio con il lavoro perciò costrinsi i miei genitori a pagarmi l’Università ma quando terminai i miei studi e diventai ciò che ero, restituii loro tutti i soldi che mi avevano prestato. Mi sentivo in colpa per aver spillato loro così tanto ma a Manchester gli universitari non trovavano lavoro nemmeno come babysitter, era un vero disastro come città.

«Non hai paura che qualcuno dei tuoi compagni possa entrare al Secret Dreams? – domandai, salendo in macchina e allacciandomi la cintura di sicurezza – Magari proprio di sabato o domenica, quando lavori come spogliarellista per uno degli show?»

Evie alzò le spalle, girandosi verso di me. «In realtà no, non m’importa di cosa penseranno i miei compagni.»

Accesi il motore della macchina, cominciando a guidare. «Davvero non ti imbarazzeresti? E se ti vedessero nuda, a ballare come hai fatto domenica?»

«Ho scelto di lavorare per James a mio rischio e pericolo. – rispose, appoggiando la sua borsa pesante sulle ginocchia – L’unico motivo che mi spingerebbe a mollare tutto, sarebbe uscire sul palco e trovare un membro della mia famiglia a fissarmi da uno dei tavolini. Quello sarebbe davvero troppo imbarazzante, ma non succederà mai perciò sono tranquilla.»

Mi lasciai sfuggire una risatina, cominciando a guidare verso il centro. «E perché? I tuoi genitori non sanno che tipo di lavoro fai, immagino. E poi dubito che tuo padre, o tua madre, possano andare in un night club.»

Evie ridacchiò, scuotendo il capo. «No, i miei genitori sono in Norvegia perciò di loro non mi preoccupo. Ho dei cugini che abitano nella periferia, in zona 3, ma so che non si faranno mai vivi in posti del genere.»

La guardai per un momento, riportando poi la mia attenzione sulla strada davanti ai miei occhi e mi fermai ad semaforo rosso, mordicchiandomi il labbro inferiore. E così si era trasferita anche lei lontana dalla sua famiglia, chissà se sua madre era insistente e fastidiosa come la mia. Cominciai a pensare: cos’era successo con la sua famglia? Perché lei non era andata con i suoi genitori in Norvegia? Motivi di studio o c’era dell’altro? Preferiva le Università inglesi e si era affezionata troppo all’Inghilterra per andarsene? E perché aveva deciso di lavorare come spogliarellista, quando avrebbe potuto chiedere di essere assunta in bar o in altri tipi di locali? Guardai la ragazza con la coda dell’occhio ma nel momento in cui scattò la luce verde del semaforo, ripresi a guidare per poi parcheggiare accanto all’Hyde Park. Mi slacciai la cintura di sicurezza ed Evie si stiracchiò leggermente, infilò la sua mano nello zaino e recuperò il suo portafoglio e il cellulare, girandosi verso di me con un sorriso. Io sfilai la chiave da sotto il volante e lo infilai nella tasca dei miei pantaloni.

«Dove mi porti a mangiare?» chiese la bionda, sorridendo.

Io scesi dalla macchina, aspettando che lei mi raggiungesse. «Spero che per oggi ti accontenterai di un Hamburger con le patatine fritte, non ho fatto in tempo ad organizzarmi al meglio delle mie possibilità.»

Lei piegò la testa da un lato, aggrappandosi al mio braccio. «No, anzi, io adoro gli Hamburger.»

Mi lasciai sfuggire una risata, guardandola. «Me ne ricorderò per la prossima volta.»

«La prossima volta? Come fai ad essere sicuro che usciremo un’altra volta?» domandò lei in tono divertito.

Le pizzicai un fianco, liberandomi dalla sua presa. «Non mi vuoi più vedere?»

Evie mi fissò per qualche secondo, poi alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

«Cammina, è meglio.»

Afferrai con delicatezza la sua mano, intrecciando le nostre dita senza distogliere lo sguardo dal suo viso, e trascinai la ragazza verso la piazza principale. Il mio cuore ebbe un sussulto. Mi sentivo come una tredicenne in piena tempesta ormonale.

**

«Sai parlare il norvegese, quindi?» chiesi curioso.

Evie addentò una patatina, arricciando il naso. «Conosco solo le basi, io sono cresciuta qui a Londra.»

Aggrottai le sopracciglia, prendendo la mia bottiglia di birra. «Ma i tuoi genitori sono in Norvegia?»

«La mia famiglia si era trasferita qui quando io avevo solo due anni, poi quando ne ho compiuti diciotto hanno deciso di ritornare in Norvegia perché qui non si trovavano più molto bene ma io non volevo andarmene, avevo la mia vita qui. – spiegò la bionda, pulendosi le dita nel tovagliolo – Non avevo il coraggio di lasciare tutti i miei amici solo per un capriccio dei miei genitori, che preferivano la casa ad Oslo. E poi ero riuscita a vincere una borsa di studio per il King’s College quindi tornare in Norvegia significava perdere una grandissima occasione per me. Alla fine sono riuscita a convincere i miei genitori a lasciarmi qui, mentre loro sono tornati là.»

Io la guardai per qualche secondo. Sapevo quanto era difficile per un ragazzo dividersi dalla propria famiglia e stabilirsi lontano da essa, com’era successo a me, eppure Evie sembrava molto felice della sua decisione. Forse allontanarsi e separarsi dalla sua famiglia l’aveva aiutata, un po’. Ogni volta che aveva nominato i suoi genitori la sua espressione s’induriva, ma decisi di non fare domande. La conoscevo da troppo poco per poter curiosare a piacere nella sua vita privata.

«Hai frequentato la Kingsley High School, quindi? – domandai, sorridendo – So che è l’unico istituto qui a Londra che ti permette di partecipare al concorso per il King’s College.»

Lei annuì, prendendo il suo chicken burger. «Sì, esatto. Avevo scelto il percorso letterario, anche se inizialmente ero convinta di voler fare medicina poi all’Università.»

«Wow, tutta un’altra facoltà. – risposi, scuotendo la testa – Cosa ti ha portato a cambiare idea?»

Evie si morsicò il labbro inferiore, guardandomi. «Non sono mai stata molto brava in matematica e fisica, anche se in biologia ero la migliore di tutto l’Istituto. Semplicemente, mi sono innamorata di lettere e di storia dell’arte. Quando ho ricevuto la lettera da parte del King’s College, non sapevo cosa fare. Ero davanti ad un bivio che avrebbe per sempre cambiato la mia vita: se avessi scelto medicina, probabilmente non avrei avuto né la possibilità di venire con te a pranzo oggi né di lavorare, e quindi guadagnare soldi. Se avessi scelto lettere, sarei andata contro la mia famiglia e sapevo che avrei fatto molta fatica a trovare lavoro. Diciamo che alla fine ho seguito il mio istinto, ma penso di aver fatto la scelta giusta. La scrittura e la letteratura sono perfette per me.»

Mi passai una mano fra i capelli, osservando la ragazza. «Contro la tua famiglia? A loro non piace come facoltà?»

Lei fece spallucce, addentando l’ultimo pezzo di sandwich. «Non solo, sono convinti che non troverò lavoro e che finirò sotto ad un ponte. Ho sempre desiderato fare medicina sin dal primo giorno in cui misi piede a scuola, però per una serie di motivi, oltre a quelli che ti ho detto, ho preferito scegliere altro. Avevo anche passato il test d’ammissione per il King’s College London,  ma perché frequentare una facoltà che mi avrebbe occupato tutta la vita ma che non mi permetteva di realizzare il mio sogno?»

La sua sincerità mi sorprese. Da quando una sconosciuta si apriva a me in quel modo? Forse la mia compagnia le aveva fatto intuire che ero un tipo di cui ci si poteva fidare, pensai. E chissà, magari aveva deciso di uscire con me perché le interessavo tanto quanto lei interessava a me. O meglio, mi incuriosiva. Era una ragazza molto particolare, oltre che estremamente bella e sensuale.

«E quale sarebbe il tuo sogno?» domandai.

Evie esitò per un momento. «Lo so che ti sembrerà idiota, ma..»

Appoggiai una mano sulla sua, accarezzandola. «Non lo penso.»

«Vorrei diventare una scrittrice.» mormorò lei con lo sguardo basso
Piegai la testa da un lato, sfiorandole il dorso della mano con il pollice.

«Perché credi sia idiota?»

Evie fece spallucce, fissando il suo bicchiere semivuoto. «Tu sei ricco e hai Hotel sparsi per tutta l’Inghilterra.»

«E quindi? Lavoriamo in due campi completamente diversi. Tu magari penserai che il lavoro che faccio io sia stupido e magari inutile. – risposi e lei arrossì, alzando la testa – A me piace molto leggere perciò non vedo il motivo per cui prenderti in giro per il tuo sogno. Anzi, sono sicuro che riuscirai a diventare una scrittrice. Hai iniziato a produrre già qualcosa?»

Lei annuì, lasciando la presa sulla mia mano. «Sì, sto sistemando un vecchio romanzo che avevo scritto tempo fa prima di cominciare l’Università.»

Picchiettai le dita sul tavolino, arricciando le labbra. «Mi farai leggere qualcosa?»

Alle mie parole, le guance della ragazza si tinsero di un rosa acceso.
«Uhm non credo.»

Alzai un sopracciglio, appoggiando la schiena contro la sedia. «Perché?»

«Vorrei prima finire di sistemare il lavoro. – rispose lei in fretta – E poi.. è imbarazzante.»

Mi lasciai sfuggire una risata. «In che senso?»

Evie si morsicò il labbro inferiore, torturando il suo tovagliolo. «Non ho mai fatto leggere niente a nessuno.»

«Beh, non voglio forzarti a fare qualcosa che non vuoi. – dissi io con un sorriso, portandomi una mano sulla pancia gonfia di cibo - Sappi che potrei aiutarti a realizzare il tuo sogno, ho degli agganci in giro per..»

La ragazza mi fulminò con lo sguardo. «No, farò tutto da sola. Proverò con concorsi alla fine dell’Università, per ora vorrei concentrarmi sui miei studi e concluderli al meglio.»

Schiusi le labbra, osservando la sua espressione dura. «Uhm d’accordo, scusa. Cercavo di essere gentile.»

Evie sospirò e mi accarezzò la mano, alzandosi poi dalla sedia. «Vado un momento in bagno.»

Annuii rapidamente alle sue parole e osservai la ragazza sparire dalla mia vista, entrando nel corridoio vicino al nostro tavolino. Avevo forse detto qualcosa che l’aveva irritata? Certo, forse chiederle se desiderava una mano per realizzare il suo sogno era stato un po’ azzardato dato che non la conoscevo nemmeno, ma lei mi interessava in qualche modo e volevo aiutarla. Sembrava una ragazza a posto, ma poi ripensai al fatto che anche Diana sembrava meravigliosa all’inizio ma poi mi aveva rovinato la vita. Ma no, Evie non era come Diana. Loro erano l’una l’opposta dell’altra, non potevo paragonarle. Diana era sempre stata a contatto con persone ricche come me, che desideravano solo denaro e fama, mentre Evie era decisamente più sensibile, una donna con i piedi per terra e di basso rango, proprio come volevo io. Mi sentivo un coglione a dire quelle cose ma era la pura verità. era una ventata d’aria fresca in una giornata di caldo.

Finii di bere la mia birra e mi leccai il labbro inferiore sporco di schiuma, alzandomi poi dal tavolo per potermi avvicinare alla cassa del ristorante; chiesi il conto e pagai in fretta, prima che Evie potesse tornare e chiedermi di dividere a metà la spesa. Volevo offrire un buon pranzo, fare una passeggiata con lei oppure accompagnarla a casa, ma trascorrere del tempo insieme a lei per conoscerla un po’. E poi chissà, magari ci sarebbe sfuggito qualcos’altro.

«Hey, eccomi.»

Evie mi appoggiò una mano sul braccio sinistro, sorridendo. Notai che aveva messo del rossetto sulle sue labbra già rosse e annuii, facendo un passo all’indietro. Ringraziai uno dei camerieri e poi mi incamminai verso l’uscita, seguito dalla bionda che avvolse la sua mano destra sul mio polso. Aprii la porta del ristorante e l’aria fredda mi colpì dritto sul viso, quindi mi girai verso la ragazza e notai che stava tremando: per quanto avessi freddo anche io, desideravo che lei si sentisse meglio perciò mi sfilai la giacca dalle spalle e l’appoggiai su quelle di Evie che alzò la testa, aggrottando le sopracciglia.

«E tu? Non hai freddo? Ci saranno due gradi!» disse preoccupata.

Feci spallucce, avvolgendole un braccio intorno ai fianchi. «Non morirò, tranquilla.»

La ragazza arricciò il naso alle mie parole ma non disse altro, limitandosi ad appoggiare la testa sulla mia spalla e ad incamminarsi verso la mia macchina parcheggiata in fondo alla via. Il vento gelido mi fece rabbrividire ma mi costrinsi a resistere: nel giro di pochi minuti sarei salito sulla mia auto e avrei acceso il riscaldamento al massimo, non era il caso di peggiorare la mia salute. Stranamente però il mal di testa era sparito e lo attribuii alla fame, dato che non avevo fatto in tempo a fare colazione prima di andare al lavoro, ma sentivo la mia fronte farsi sempre più calda e non era un buon segno.

Era da circa cinque anni che non mi ammalavo seriamente; l’ultima volta che mi era venuta la febbre era stata al matrimonio di mia zia quasi sette anni prima, ed era stata una vera e propria catastrofe. Io ero proprio come Robin: non sopportavo di rimanere rinchiuso nel mio attico a dormire o guardare la televisione, avevo bisogno di fare qualcosa, di rendermi utile per qualcuno ma sapevo anche che, con 38 di febbre, non sarei riuscito a fare altro se non a girarmi sul materasso.

«Stai bene?» chiese Evie, alzando la testa.

Annuii brevemente, infilando una mano nella tasca posteriore dei miei pantaloni per poter prendere la chiave automatica con cui aprii la mia auto. La bionda non distolse mai lo sguardo dal mio viso, forse preoccupata per la mia espressione stanca, ma la rassicurai con un sorrisetto e le passai una mano fra i capelli biondi. Quando le mie dita sfiorarono le guance morbide di Evie, lei sbatté le palpebre e strofinò il suo viso contro il palmo della mia mano, osservandomi con attenzione.

«Certo, sono solo un po’ stanco. – risposi, sporgendomi verso di lei – Sali in macchina, ti accompagno a casa.»

Evie mi baciò il pollice e poi si liberò dalla mia presa, facendo il giro dell’auto. Aprì la portiera e salì sul suo sedile, allacciandosi poi la cintura di sicurezza. Io la imitai e infilai le chiavi sotto il volante, accendendo il motore che rombò sotto di noi, facendo sorridere la bionda. Ricordavo perfettamente l’espressione scioccata sul suo viso di due giorni prima quando era salita per la prima volta sulla mia Audi: le sue labbra si erano aperte e i suoi occhi si erano così spalancati da uscire dalle orbite, ma era eccitata e felice. Forse non era mai stata su una macchina come la mia, pensai.

«Puoi lasciarmi davanti all’ingresso del Campus. – disse Evie, sfilandosi la mia giacca dalle spalle per poi piegarla con cura sul cofano dell’auto – E grazie per il pranzo. Non dovevi offrirmelo, avrei potuto pagare anche io.»

Scossi il capo con vigore, sorridendo.

«Non ti preoccupare, consideralo come un ringraziamento per ieri.»

Evie arrossì e si coprì una guancia con la mano destra, sospirando. «Signor Stiles..»

La interruppi, guidando verso il Campus. «Chiamami Leonard, mi fai sentire vecchio.»

«Ah perché, non lo sei?»

E subito dopo, la bionda scoppiò in una fragorosa risata mentre io la fissai scioccato. Aveva fatto una battuta divertente, dovevo ammetterlo, e sentirla ridere in quel modo mi fece gonfiare il cuore nel petto. Era così bella: i suoi occhi si illuminavano e la sua bocca si spalancava, mentre il petto le si abbassava e rialzava rapidamente e batteva piano la mano contro alla portiera dell’auto. Scossi il capo senza riuscire a smettere di sorridere e mi girai verso di lei per un momento, divertito.

«Ma quanto sei simpatica, Evie?» domandai, fermando l’auto ad un semaforo.

Lei alzò le spalle, appoggiando la sua mano sul mio ginocchio. «Ammettilo, non te l’aspettavi.»

Scossi di nuovo la testa, sorridendo. «No, di solito sei sempre così educata e posata con me.»

Evie si slacciò la cintura, girandosi verso di me con le gambe incrociate sul mio sedile. Fui tentato di gridarle contro di riallacciarsi le cinture, visto che non era il caso di essere fermati per colpa sua né di vedere striscioni di scarpe sulla pelle nera del mio sedile, ma decisi di tacere.

«Ormai sono due giorni che ci vediamo, credo sia il caso di cominciare ad aprirci l’un l’altro. – replicò lei in tono deciso, risalendo con la mano sul bordo dei miei pantaloni – Tra quanto arriveremo, signor Stiles?»

Trattenni il respiro per qualche istante, ripartendo con la mia auto. Non era il caso di fare incidenti perché lei aveva deciso di torturarmi con la sua mano, eppure Evie sembrava così tranquilla e divertita dalla situazione che mi venne voglia di accostare da qualche parte, salire su di lei e scoparla fino a farla piangere. Le sue dita mi stuzzicarono da sopra i pantaloni e percepii la mia erezione indurirsi sotto al suo tocco delicato, perciò mi leccai il labbro inferiore e cercai di non gemere, altrimenti lei non si sarebbe fermata. Ed io avevo bisogno di concentrazione, non volevo né morire per colpa sua né rovinare la mia splendida auto. Riuscii a trattenermi e inspirai bruscamente, scostando la sua mano con un piccolo schiaffo che la fece ridacchiare; Evie si sistemò con la schiena premuta contro il sedile e aprì le sue gambe, infilandosi la mano sotto il vestitino corto nero mentre usò l’altra per stuzzicarsi i seni coperti dall’abito.

Aveva davvero voglia di giocare in quel momento, al pomeriggio, dopo aver pranzato? Mi costrinsi a non posare lo sguardo su di lei altrimenti non sarei riuscito a trattenermi, quando finalmente raggiunsi il viale del Campus in cui lei alloggiava. Tirai dritto, raggiungendo nel giro di poco tempo il viale del Strand Campus del King’s College, e nel momento in cui fermai la macchina davanti al cortile, Evie si allontanò da me e aprì la portiera, raccogliendo il suo zaino.

«La mia coinquilina sarà via fino alle sette della sera per studiare in biblioteca. – mormorò Evie, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio – Potresti venire con me, se ti va.»

Aggrottai le sopracciglia, arricciando le labbra. «Non è contro le regole del Campus?»

Lei fece spallucce, scendendo dalla macchina e piegandosi verso il finestrino. «Mi importa?»

Ero combattuto: avrei dovuto fregarmene delle regole dell’Università e seguirla nella sua stanza, oppure rinunciare ad alcune ore di meraviglioso sesso per tornare a casa e riposarmi al meglio? Mi mordicchiai il labbro inferiore e picchiettai le dita sul volante, ma alla fine decisi di non rischiare. Avrei avuto tutto il tempo di fare sesso con lei a casa mia, o magari di nuovo nella macchina, subito dopo uno dei suoi spettacoli nel weekend. Poi mi ricordai che per il resto della settimana non sarei potuto andare al Secret Dreams per via del lavoro, ma riuscii a trattenere i miei istinti e riaccesi il motore della macchina. Era meglio tornare a casa, mettersi in forze per lavorare il giorno successivo e organizzarmi con un serie di impegni con i miei soci, per poi sfogare tutta la mia ansia, la mia tensione e lo stress nel sesso di sabato e domenica.

Avrei dato così tanti soldi a James da permettere ad Evie di non lavorare per tutta la giornata di domenica, in modo da portarla a casa con me oppure in qualche motel e scoparmela fino allo sfinimento. Sussultai: ero davvero disposto a sprecare denaro per fare sesso con una donna? Mi morsicai il labbro inferiore. Sì, per Evie ero disposto a tutto. Credo. Che cosa?

«Ci vedremo sabato, principessa. – mormorai, notando la sua espressione cambiare – Spero che riuscirai a resistere senza di me per qualche giorno, no?»

Alzai il finestrino e senza aspettare una sua risposta, ripartii.

**

Evangeline.

Chiusi di scatto la porta della mia camera con un tonfo e appoggiai la mia borsa sulla scrivania, aprendo la finestra per far girare l’aria. Mi sedetti sulla poltroncina accanto al mio computer e mi passai entrambe le mani sul viso, ancora scossa dall’incontro di quel pomeriggio. Una parte di me si aspettava una visita da parte del signor Stiles quel giorno, visto che avevo trascorso l’intera conversazione al telefono con lui quella mattina a lanciargli messaggi subliminali per convincerlo a venire da me, ma un’altra parte di me era convinta che lui non avrebbe mai avuto tempo per una ragazza come me. Insomma, lui era un uomo d’affari più ricco di Donald Trump mentre io ero una studentessa di lettere che lavorava come spogliarellista e barista in uno dei night club più esclusivi di Londra.

Provenivo da un mondo totalmente diverso dal suo, non ero alla sua altezza. Lui di sicuro preferiva le bamboline di plastica come le mie colleghe al Secret Dreams e forse passava del tempo con me solo perché prova pietà nei miei confronti. Ma allora perché mi aveva cercata dopo la nostra notte insieme la domenica? La scusa delle mutandine e del numero di telefono non reggeva. E se gli interessassi davvero? Se gli fossi così simpatica, o magari mi trovasse attraente? L’idea di poter frequentare un uomo come lui mi preoccupava per due motivi: come avrei spiegato alla mia coinquilina che ero finita a letto due volte con Leonard Edward Stiles, uno degli scapoli più desiderati di Londra? E secondo, come avrei spiegato ai miei genitori che il mio partner era più ricco di Dio?

Mi sfilai le scarpe dai piedi e slacciai la cerniera del mio vestito che cadde sul pavimento, quindi lo raccolsi e lo piegai con cura, sdraiandomi sul letto. Io dovevo ammettere che il signor Stiles era estremamente bello e che le foto che lo ritraevano sui giornali non gli rendevano affatto giustizia, anzi. Io avevo avuto la fortuna di percepire la sua pelle calda sulla mia, di gustare la sua bocca e le sue labbra ovunque sul mio corpo, di aver accarezzato e tirato i suoi morbidi capelli riccioli scuri, di aver toccato ogni centimetro della sua pelle e di aver sentito la sua grossa erezione dentro di me. Gli avevo permesso di prendermi per ore ed ore, gli avevo permesso di baciarmi e toccarmi a suo piacimento, di picchiarmi e di usarmi come lui preferiva senza mai lamentarmi un istante perché il suo tocco mi aveva fatto impazzire, riducendomi ad un ammasso di muscoli e piacere. Erano state le due notti più belle di tutta la mia vita, indimenticabili ed eccitanti più della mia prima volta. Com’era possibile che avessi perso il controllo solo grazie a lui?

Mi ero sforzata di rimanere lucida ma nell’istante in cui le sue dita avevano accarezzato la mia pelle e le sue labbra avevano sfiorato il mio collo, ero crollata fra le sue braccia e mi ero abbandonata al piacere più profondo. Il desidero aveva preso il sopravvento di me stessa ed io ero così felice, non mi ero mai sentita così bene prima d’ora in tutta la mia vita. Erano due notti di fila che sognavo di stare ancora al suo fianco, di poter accarezzare la sua pelle con la punta delle mie dita e di svegliarmi nel suo letto, magari con lui addosso. Sospirai, non potevo pensare quelle cose.
Lui non era adatto a me, lui era troppo per me ed io non ero abbastanza. Lui voleva donne ricche e bellissime, tutto l’opposto di me. Eppure oggi durante il nostro pranzo sembrava davvero interessato alla mia storia, alle mie parole, alle mie opinioni; aveva continuato a farmi domande e si era addirittura interessato al mio sogno di diventare scrittrice.

Era la prima persona che conoscevo, diversa da Melanie, che non mi aveva presa per una stupida solo per la mia voglia e il mio desiderio di scrivere libri. Anzi, Leonard sembrava davvero felice per me e quasi voglioso di aiutarmi, ma l’idea di permettergli di comprare chissà quali editori per convincerli a lavorare con me – qualcosa nei suoi occhi mi aveva fatto capire che i suoi soldi mi sarebbero stati utili – era stupida. Non volevo che spendesse denaro per me. infatti, ero così furiosa quando, ritornata dal bagno, aveva deciso di pagarmi il pranzo che nel momento in cui mi appoggiò la sua giacca sulle spalle, gli riposi nella tasca una banconota da venti sterline che si sarebbe trovato più tardi. Mi sentivo in colpa quando qualcuno, pur per gentilezza, spendeva denaro per me.

La suoneria del mio cellulare interruppe il mio flusso di pensieri perciò scesi dal materasso e rovistai nella mia borsa, afferrando il telefono che mi portai subito all’orecchio; mi sdraiai di nuovo sul mio letto e appoggiai la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi. Non avevo nemmeno letto il numero che mi stava chiamando, ma o era Melanie oppure mia madre.

«Pronto?»

La voce della mia coinquilina trillò nelle mie orecchie. «Tu mi devi alcune spiegazioni, Rønning.»

Quando mi chiamò per cognome, mi venne da ridere. «Non capisco, per quale motivo?»

«Oh, piccola stronza, tu sai benissimo a cosa mi riferisco. – borbottò – Da quando conosci Leonard Stiles?»

Mi morsicai il labbro inferiore, girandomi su un fianco. «Uh.. da domenica sera? L’ho incontrato al lavoro.»

Ci fu qualche momento di silenzio, seguito da un rumore di pagine. «Sul serio? Ed è venuto a prenderti dopo solo due giorni di conoscenza? Cazzate, sii sincera.»

«Melanie, davvero. Ci siamo conosciuti domenica sera al locale, gli ho preparato un drink ad inizio serata e abbiamo cominciato a parlare. – risposi, riaprendo gli occhi e fissando il soffitto della stanza – Perché sei così curiosa, eh? Sei gelosa?»

La mia coinquilina scoppiò a ridere, ricevendo un rimprovero da qualcuno. «No, non sono gelosa anzi, sono felice per te! Era ora che qualcuno ci provasse con te, hai bisogno di una distrazione dall’Università e dai tuoi casini con i tuoi genitori.»

Arricciai le labbra alle sue parole. «Chi ti dice che lui ci sta provando con me? Ed io con lui?»

«Da quando tieni un ragazzo per mano? Ti conosco dal liceo, Evie, e so che non è una cosa che fai spesso.» disse.

Abbassai per un momento lo sguardo, girandomi a pancia in giù sul letto. «Smettila, è stata la gioia del momento! Non prendere ogni cosa per un tentativo di flirt, cazzo.»

Melanie ridacchiò di nuovo. «Certo, d’accordo, mi dispiace. Ora sei in camera? Com’è andata?»

Sospirai rumorosamente, chiudendo gli occhi. «Sì, sono appena tornata. – non le raccontai della domanda che gli avevo posto – Siamo andati a mangiare da Roadhouse, quello vicino all’Hyde Park, e ha offerto lui. Poi mi ha riaccompagnato qui ed è appena ripartito, è stato molto gentile.»

«Ed è davvero molto bello, Evie. Non pensavo potesse essere così affascinante anche dal vivo, di solito nelle fotografie sui giornali tutte le celebrità sono modificate. – rispose lei ed io arrossii – Diamine, se solo non fossi fidanzata, ci proverei io.»

Alle sue parole, un moto di gelosia cominciò a montare nel mio stomaco. In quell’istante desideravo gridarle che ci ero finita a letto due volte e che se solo non fosse stata per la sua espressione persa nel vuoto subito dopo la mia domanda, probabilmente lo avrei assalito per la seconda volta nella sua macchina. L’idea che Melanie potesse flirtare con Leonard m’infastidiva, speravo che lui rimanesse ancora il mio segreto per un po’.

«Già, è un tipo molto affascinante. – mormorai, ripensando al suo sorriso – Non gli ho detto ancora quanti anni ho, ho paura che possa allontanarsi o pensare che desidero i suoi soldi.»

Melanie tacque un istante. «Ah, non è così?»

«Ma che stronza! No, non m’importa il suo denaro. L’ho riconosciuto solo ieri, a dir la verità. – borbottai – Non pensavo che fosse quel Leonard Stiles, ero convinta che fosse suo padre il proprietario degli hotel, non lui.»

La mia coinquilina ridacchiò.

«Calmati, era solo una battuta. So che non miri ai suoi soldi.»

Tirai un profondo sospiro, rotolando a pancia in su. «Abbiamo dieci anni di differenza.»

«Non credo sia un problema, Evie. E poi non siete ancora fidanzati, quindi che t’importa?» domandò lei
Io arricciai le labbra, aveva ragione.

Magari lui desiderava solo un’amica con cui uscire a pranzo e divertirsi un po’ a letto, cosa gli importava della mia età? Ciò che gli interessava era che non fossi minorenne, altrimenti sarebbe andato nei casini con tutto il suo capitale che avrebbe rischiato di perdere in un istante. Sospirai.

«Giusto, però.. mi sento un po’ male a non averglielo detto. – sussurrai  - E se un giorno dovesse scoprirlo, infuriarsi con me e smettere di rivolgermi la parola?»

La ragazza sbuffò e ci fu un altro rumore di pagine. «Lo conosci da domenica, non credo sia una catastrofe.»

E ancora una volta, aveva ragione. «Finiremo la conversazione appena tornerai qui, è meglio.»

«D’accordo, arriverò per le sei questa sera. – disse Melanie ed io sospirai, mancavano ancora tre ore – Francisco mi ha lasciato da sola per andare a giocare a calcio, quindi finisco di ripassare il programma di chimica e arrivo.»

«Certo, ti aspetto. Buono studio.»

Bloccai il mio cellulare quando Melanie riattaccò e sbuffai rumorosamente, girandomi a pancia in su sul mio letto con gli occhi rivolti verso il soffitto della mia camera. Come mi era saltato in mente di chiedere a Leonard di fermarsi in camera mia dopo il nostro pranzo, pur sapendo di quell’arpia di Miss Hudson fuori alla reception del Campus in attesa di rimproverare qualcuno? Ero stata una vera idiota ma fortunatamente il signor Stiles aveva rifiutato la mia offerta, anche se dovevo ammettere che speravo venisse con me. Come mai non aveva accettato un altro pomeriggio di sesso, in caso fossimo riusciti ad arrivare nella mia camera senza essere scoperti dalla megera fuori nei corridoi?

Forse si era pentito di avermi addirittura portato fuori a pranzo, perché gli ho raccontato quelle cose della mia vita privata? Mi mordicchiai il labbro inferiore, avevo sbagliato a riferirgli la mia situazione con la mia famiglia ma ero così contenta di passare qualche ora insieme a lui che mi ero convinta che la cosa fosse reciproca. Lo avevo annoiato con le mie chiacchiere? Mi aveva presa per una povera idiota come mia madre per aver scelto una facoltà noiosa come lettere? Aveva cambiato idea su di me, e aveva deciso di frequentare solo il locale per vedermi fare gli show? Sospirai rumorosamente, da quando mi facevo così tante domande per una persona che non conoscevo nemmeno e di cui non sapevo assolutamente nulla se non il denaro presente nel suo portafoglio? James mi aveva avvertito che il cliente per cui avrei ballato era più ricco di Dio, ma chi s’immaginava proprio un uomo come Leonard Stiles? Ero convinta che mi sarei trovata davanti un uomo sulla cinquantina d’anni, con la pelle rugosa e l’espressione da stupratore sul viso anche se nel mio piccolo speravo con tutto il cuore che quel cliente fosse proprio quel ragazzo dai capelli ricci lunghi, gli occhi magnetici di un verde intenso e le labbra rosse,sensuali e piene, tutte da mordere, che aveva trascorso tutta la sera a fissarmi e a sorridermi.

E infatti, i miei desideri si erano esauditi. James mi raccontò una piccola parte dei gusti di Leonard e quando gli risposi che anche io ero interessata alla sottomissione, mi cacciò immediatamente da lui senza alcuna esitazione. Sapevo che le reclute non potevano lavorare nei privè, ma io ero stata un’eccezione solo per Leonard, il che mi portò molto denaro nel portafoglio. Non pensavo che lui fosse disposto a pagare così tanto per un semplice strip tease privato, ma poi James mi disse che lui era l’unico cliente del Secret Dreams ad avere il permesso di toccare le donne. Non volevo sapere i motivi, ma era così. Io ero stata così fortunata da poter finire in uno dei suoi Hotel, forse nella sua Suite privata, a fare sesso con lui per tutta la notte ma alle cinque del mattino, intrappolata fra le sue braccia con la bocca premuta sulla sua, avevo deciso di fuggire perché  mi sentivo una stupida. E se mi avesse pagato dopo quella notte, pensai, lo avrei ucciso. Non ero una prostituta eppure ero finita a letto con un cliente di un night club, diciamo che sembrava quasi un po’ contraddittorio così, per evitare di fare brutte figure, ero scappata come una ladra. Le occhiatacce che le ragazze dietro al bancone della reception sarebbero state difficili da dimenticare, ma camminai davanti a loro a testa alta e con le labbra incurvate in un sorriso smagliante: mentre loro sbavavano dietro a Leonard, io ero stata così fortunata d’averci fatto sesso per tutta la notte. Ma non sapevo che saremmo finiti a letto insieme anche il giorno successivo.

Ed era stato bellissimo anche fare sesso con lui in macchina. Certo, eravamo davvero molto scomodi ed io ero convinta di aver graffiato i suoi sedili con le mie unghie affilate, ma diamine, avrei rifatto volentieri sesso con lui in quelle condizioni altre mille volte. Ci sapeva fare eccome. La Natura era stata molto generosa con lui e lui sapeva anche come utilizzare il suo arnese. Arrossii a quel pensiero, se Melanie fosse venuta a sapere delle mie due scappatelle con il signor Stiles sarebbe impazzita.

**

«E così stai uscendo con Leonard Edward Stiles.» disse Melanie.

Chiuse la porta della camera con un tonfo ed io trasalii, alzando la testa dal cuscino. La mia coinquilina si sfilò il cappotto dalle spalle e lasciò le scarpe accanto all’ingresso, sedendosi sul letto al mio fianco. Io la guardai per un istante e arricciai il naso, mettendomi sdraiata a pancia in su sul materasso dopo aver alzato le coperte fin sotto al mio naso per via del freddo. dovevo davvero discutere con lei della mia situazione nascente con Leonard, quando non sapevo nemmeno io che stava succedendo fra di noi? Magari lui era convinto che io potessi diventare sua amica, o magari desiderava cercare qualche moglie trofeo da riempire di regali e con cui farsi vedere in giro per mettere a tacere i gossip sui giornali? Sospirai, lo conoscevo da appena due giorni eppure mi continuavo a fare mille domande su di lui. Forse avevo preso una cotta per il signor Stiles.

«Non è ancora niente di serio. – risposi, dondolando il piede destro – Come mai tutta questa curiosità ed euforia per il mio pseudo appuntamento, mh?»

La mora fece una smorfia alla mia domanda. «Sono solo felice per te, perché non mi credi?»

Alzai le spalle, rotolando a pancia in giù. «Non ti sei mai interessata così tanto ai ragazzi che mi giravano intorno, ma quando hai visto Leonard ti sei illuminata.»

«E mi chiedi come mai? – domandò lei, scioccata – Ma l’hai visto bene? È un dio greco! Non mi aspettavo di trovarlo nel cortile del nostro Campus, cosa pretendi? E non soprattutto in compagnia della mia coinquilina.»

Mi venne da ridere ma strinsi le labbra, arrossendo. «Già, è molto bello.»

«Vi siete baciati? O almeno, ha provato a baciarti?» chiese la mora, sfilandosi la maglietta.

Non sapevo se dirle la verità, senza per forza raccontarle delle nostre due scappatelle nei giorni precedenti, oppure mentirle e far sembrare i nostri incontri puramente casuali. Avrei anche omesso che ci eravamo conosciuti in un night club, dato che Melanie non sapeva che lavoravo come barista e spogliarellista, ma mi sentivo davvero in colpa per mentirle in modo così spudorato. Era la mia migliore amica dal primo giorno di liceo, come potevo non dirle una cosa così importante? Sospirai, ero un’amica davvero terribile ma certi segreti dovevano rimanere segreti per un motivo. E quello era uno dei miei segreti.

«Sì, l’ho baciato io domenica sera. – mormorai, guadagnandomi un’occhiatina scioccata – E no, non abbiamo fatto sesso, se te lo stai chiedendo.»

Melanie tacque per un momento, studiando la mia espressione con due dita appoggiate sotto il mento, e sollevò un sopracciglio scuro; i suoi occhi guizzarono per un momento sul mio collo e scoppiò in una fragorosa risata, allora io mi coprii il viso fin sotto al naso con le coperte e sospirai. Sapevo di avere alcuni succhiotti sparsi sul corpo ma ero sicura di avere il collo perfettamente pulito, ma forse mi sbagliavo. E dalla sua espressione divertita, sapevo che aveva visto qualche livido. Diamine, mi aveva scoperta.

«Non capisco perché ti ostini a mentirmi, biondina. – disse Melanie, alzandosi dal letto per sfilarsi anche i pantaloni e indossare il suo pigiama di seta – Com’è a letto?»

Le scagliai il mio cuscino addosso, sbuffando. «Non sono affari tuoi.»

Lei fece spallucce, schivando il cuscino che finì sul pavimento. «Ogni cosa che riguarda te, è anche affare mio perciò parla, altrimenti continuerò a torturarti fino a domani!»

Scossi la testa, scendendo dal letto.
«Non ho niente da dire.»

Melanie schiuse le labbra, allacciandosi il bottone della camicia del pigiama sul petto, e fece una smorfia alle mie parole. Si sdraiò sul suo materasso con il cellulare in mano e incrociò le gambe, lanciandomi un’occhiatina preoccupata. Io la fissai perplessa, che aveva capito? Mi mordicchiai il labbro inferiore e andai a prendere il libro che avevo dimenticato nel bagno, tornando a sedermi di nuovo sul letto.

«Non vuoi dirmi niente perché è stato deludente?»

Quasi mi soffocai alla sua domanda. Non aveva la minima idea di quanto era stato bello sentire Leonard dentro di me, percepire la sua bocca bollente sul mio corpo e godermi il suo tocco delicato. Solo a quel pensiero, un brivido mi attraversò dalla testa ai piedi e accese un forte desiderio nel mio basso ventre. Se si fosse fatto vivo anche quella sera al locale, non avrei esitato ad assalirlo com’era successo il giorno prima nello spogliatoio. Mi mancava sentirmi sua per una notte, mi mancava sentire la sua erezione dentro di me, mi mancava il suo corpo schiacciato contro al mio e la sua bocca ovunque sul mio collo.

«Proprio il contrario, credimi. – replica, cedendo allo sguardo curioso della mora – Credo sia stata una delle notti più belle di tutta la mia vita, non ci siamo fermato un attimo.»

Melanie si aprì in un sorriso smagliante. «Ti ha fatto venire?»

Annuii, sedendomi sul letto con le gambe incrociate. «Ho perso il conto degli orgasmi, ma più di quattro.»

La mora mi guardò sognante, scuotendo il capo incredula. «Wow, quanto t’invidio. Sei stata a casa sua? Dove l’avete fatto? E quante volte è successo? Oggi è venuto qui?»

Arrossii alle sue domande ma mi feci coraggio, non potevo tenerle nascosto quelle cose. Lei mi aveva sempre raccontato ogni dettaglio della sua relazione con Francisco, perciò perché io dovevo mentirle? Meritava una spiegazione, una nuova storia a cui pensare e a nuovi affari in cui ficcare il naso. Sapevo quanto adorava questo genere di gossip, e ancora di più se riguardavano me. Lei però non conosceva i miei gusti sessuali, non sapeva che frequentavo un nightclub ed ero stata a letto con un dominatore. Sarebbe sicuramente impazzita se le avessi riferito la verità, perciò decisi di mentirle su alcuni dettagli. Non era il caso che venisse a conoscenza dei gusti privati miei e di Leonard, rischiavo di perdere la sua amicizia e di rimanere da sola.

«Non sono ancora stata a casa sua, ma mi ha portato nella sua Suite privata al Crown Hotel che c’è vicino al London Eye, hai presente? Quello bellissimo, con l’entrata simile ad un tempio. – mormorai con un sorriso e la mora annuì, appoggiando entrambe le mani sotto al mento – Abbiamo fatto sesso anche ieri sera, ma è stato un po’ veloce e sbrigativo perché dovevo.. insomma, volevo chiudere con lui.»

Melanie aggrottò le sopracciglia, perplessa. «Perché? Sei pazza, forse?»

«Diciamo che per un momento ho creduto di fare la cosa sbagliata. Non mi era mai capitato di fare sesso con un ragazzo conosciuto in una sera, capisci? Mi sono sentita male, allora ieri gli ho detto che non volevo più ripetere quell’errore ma un minuto dopo ero dietro al locale a baciarlo.» risposi con le guance rosse.

La mora scoppiò in una fragorosa risata, coprendosi la bocca con il telefono. «Non ci credo, sei assurda!»

«Hey, non è colpa mia se quell’uomo è un dio. E poi non voleva mollarmi, è rimasto tutta la sera a lanciarmi occhiatine tristi da cane bastonato. – dissi in tono divertito – Come potevo abbandonarlo al bancone del bar senza un’ultima volta?»

Melanie scosse il capo, appoggiando il telefono sul suo comodino. «In effetti, un uomo come lui non può essere affatto lasciato da solo in un bar. – io arrossii – Non ci credo, sei andata a letto con Leonard Stiles. Ma ti rendi conto di che hai fatto? Cazzo, vorrei essere al tuo posto.»

Le lanciai il cuscino, sdraiandomi sul materasso. «Smettila! E abbassa la voce, non vorrei che metà del dormitorio venisse a sapere cos’ho fatto. Le pareti delle camere sono di cartongesso.»

La mora si sdraiò al mio fianco, scuotendo la testa. «Scusami, hai ragione. – mi sfiorò il collo con l’indice, toccando il livido appena sotto il mio mento – Diamine, ma è una sanguisuga! È davvero così bravo a letto?»

La sua domanda mi fece arrossire e nella mia mente ricominciarono a scorrere le immagini delle nostre due notti insieme, provocandomi scariche di brividi sulla schiena. Un’ondata di desiderio mi travolse dalla testa ai piedi e mi costrinsi a chiudere gli occhi, passandomi entrambe le mani sul viso, scossa. Avevo ancora bisogno di lui e non riuscivo a capire perché ne fossi già così dipendenti dopo solo due sere insieme, com’era possibile?

«Bravo è dire poco, Mel. È per questo che sono tornata a casa tardi sia ieri che domenica. – spiegai con un sorriso smagliante sulle labbra, arrossendo – Se avessimo avuto a disposizione un’intera giornata, penso non si sarebbe mai fermato un istante. È stato bellissimo.»

Melanie mi guardò con aria sognante. «Cazzo, vorrei che anche Francisco fosse così voglioso. Ultimamente è sempre stanco per via del lavoro, non vuole mai fare sesso. – borbottò lei ed io ridacchiai – Stronza, non è divertente, sono davvero disperata. Ho anche io i  miei bisogni. Non puoi chiedere a Leonard se ha qualche amico carino? Magari potremmo arrangiare qualcosa.»

La fissai scioccata, schiaffeggiandole la spalla. «Tu non tradirai Francisco! No, non te lo permetto.»

«Stavo scherzando, non ti preoccupare! Non lo farei mai, è l’amore della mia vita. – rispose lei con un sorriso, scendendo dal mio letto – Però dovrò parlargli di questo, io ho davvero bisogno di fare sesso qualche volta.»

Arricciai le labbra, massaggiandomi il mento. «Perché non provi a portarlo in qualche night club? O magari non gli fai tu una sorpresina sexy? Tra qualche settimana farete il vostro terzo anniversario, no?»

Melanie annuì, osservandomi con curiosità. «Sì. E a proposito di questo, ho ottenuto il permesso dalla Hudson per partire tre giorni. Francisco mi porterà a Copenaghen per una mini vacanza.»

Schioccai le dita, sorridendo. «Bingo! Preparagli una sorpresa sexy per quanto tornerete in camera da letto, magari un piccolo strip tease personale. Sono sicura che impazzirà.»

«Ma io non so ballare! E poi.. – fece una smorfia – non è imbarazzante?»

Mi venne da ridere: se le avessi detto che io facevo la pole dancer per lavoro, sarebbe impazzita. Forse avrei potuto darle qualche lezione privata per stuzzicare il suo fidanzato, sembrava davvero disperata per la sua situazione ed io desideravo aiutarla. Mi mordicchiai il labbro inferiore e lanciai un’occhiata al cassetto sotto al mio armadio, dove tenevo la maggior parte dei miei completini intimi più sensuali per il locale.

«Sei fidanzata con Francisco da quasi tre anni, sono sicura che avrai fatto cose molto più imbarazzanti di un balletto sexy in lingerie. – replicai, rivolgendole un sorriso – Sabato pomeriggio vai a fare shopping di lingerie in qualche negozio d’intimo, prendi un completo con giarrettiere di pizzo. Insomma, scegli qualcosa di molto sensuale che possa piacere anche a Francisco.»

Melanie incrociò le braccia al petto, piegando la testa da un lato. «Tu dici che gli piacerà?»

Annuii con vigore. «Ma certo che gli piacerà! Nessun ragazzo disprezza uno spogliarello da parte della propria fidanzata, soprattutto se poi conduce ad una notte di sesso meravigliosa. E poi, anche se sarai un po’ goffa con il tuo balletto, sono sicura che Francisco penserà solo ad un modo in cui scoparti alla fine della canzone.»

La mora si lasciò sfuggire una risata con le guance rosse. «D’accordo, mi hai convinta. Ci proverò.»

«E comunque non devi diventare una pole dancer professionista per Francisco. Ti basterà scuotere un po’ il sedere e ondeggiare i fianchi, iniziare a toccarti da sopra l’intimo e spogliarti. – replicai convinta – Impazzirà, fidati.»

Melanie esitò un momento. «L’hai già fatto?»

Sbattei le palpebre con le guance rosse, annuendo. «Sì, ma non è importante. Se vuoi ti posso insegnare qualche passo, ma non ne avrai affatto bisogno. Secondo me Francisco ti assalirà nel momento in cui ti vedrà uscire con la lingerie addosso, fidati.»

E in quel momento, pensai che sarebbe stato divertente seguire anche il mio consiglio per far divertire Leonard.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro