Capitolo 21.

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You say that the past is the past, you need one chance.
It was a moment of weakness and you said "Yes".
You should've said "no", you should've gone home
You should've thought twice before you let it all go
You should've know that word, with what you did with her
Get back to me, get back to me
And I should've been there in the back of your mind
I shouldn't be asking myself "why?"
You shouldn't be begging for forgiveness at my feet
You should've said "no", baby, and you might still have me


24 Maggio.
Evangeline.

«Perché hai deciso di fare shopping proprio oggi? – borbottò Melanie, infastidita – Mi avevi promesso che saremmo andate insieme in settimana e invece mi hai mentito! Me ne ricorderò, sappilo!»

Sorrisi, tenendomi il telefono all'orecchio. «Scusami, hai ragione, avrei dovuto avvertirti. Ma tu sembravi così impegnata con Francisco che non avevo il coraggio di staccarvi!»

La mia migliore amica sbuffò. «Bugiarda, non volevi uscire con me e basta.»

Soffocai una risata, aggrappandomi al palo di metallo. «No, smettila. Sabato pomeriggio usciremo di nuovo, okay? Ci sono i saldi di fine mese qui ed è un paradiso, credimi. Non comprerò niente, d'accordo?»

«Ecco, brava! Se torni qui con una borsetta, anche di Mac, ti caccio!» strillò Melanie.

Sollevai per un momento lo sguardo verso l'alto, notando che la mia fermata si stava avvicinando. «Va bene! Ora devo andare, ti chiamo quando riparto.»

«Va bene, ma fai attenzione. Sei da sola.» rispose lei con voce preoccupata.

Le mie labbra s'incurvarono in un sorriso. «Tranquilla Mel, so cavarmela benissimo. È ancora giorno, mi basta gridare per attirare l'attenzione di almeno metà folla.»

«Mi fido di te, però mi preoccuperò in ogni caso. – disse la mia migliore amica – Ti voglio bene, a dopo.»

Chiusi la chiamata e infilai di nuovo il cellulare nella tasca posteriore dei miei pantaloni, aggrappandomi saldamente ai pali di metalli nel mezzo della cabina della metropolitana colma. Erano le quattro del pomeriggio ed erano appena finite le lezioni di quel giorno, ma quando ero ritornata in camera per potermi cambiare e uscire a fare una corsetta nel cortile, avevo trovato Melanie e Francisco nel bel mezzo del suo letto intenti a baciarsi e a fare ben altro perciò ero scappata via. Non era il caso che rimanessi a disturbarli, non volevo interrompere la loro scopata quindi decisi di uscire a fare un giro in centro per fare shopping.

Scesi dalla metropolitana dopo venti minuti di continue gomitate nelle costole da parte della folla ammassata nella cabina, schiacciate contro di me a causa dei vagoni colmi, mi diressi rapidamente verso l'uscita con una mano infilata nella tasca dei pantaloni. Avevo paura che qualcuno potesse rubarmi sia il portafoglio che il cellulare, si sa che la metropolitana è il posto migliore per il furto di questi oggetti; non mai mi era successo, ma questo non significava che desideravo provare l'ebbrezza di un furto. I miei genitori non mi avrebbero mai perdonato se qualcuno avesse tentato di derubarmi, perciò dovevo assicurarmi che nessuno provasse anche solo a sfiorare le tasche dei miei pantaloni. Non ero mai stata una grandissima amante della metropolitana, di solito preferivo i pullman urbani che giravano da una parte all'altra di Londra ma quel giorno avevo dimenticato l'abbonamento perciò ero stata costretta ad utilizzare la tessera della metro. Ma forse non avrei dovuto.

In realtà non sarei andata a fare shopping come invece avevo raccontato alla mia migliore amica, perché la fermata da cui ero scesa era proprio davanti all'edificio dove Leonard lavorava. E perché avevo deciso di andare da lui e non a comprare qualcosa per sfogare la tensione? Perché ero una povera idiota a cui mancava il suo fidanzato che non le parlava da tre giorni. Una parte di me desiderava scappare via e picchiarsi per aver anche solo pensato di raggiungerlo ma l'altra, che prevalse, mi spedì dritta sul vagone della metro pronta a raggiungere il suo edificio. Avevo bisogno di chiarire con lui una volta per tutte, dato che non parlavamo da tre giorni, e desideravo anche capire se l'invito per la cena di venerdì sera non fosse stato cancellato a causa della sua cazzata. Non avevo più ricevuto alcun messaggio da parte di Leonard, cosa che mi preoccupò dato che di solito mi cercava anche venti volte in una sola mezz'ora. E se gli fosse successo qualcosa di brutto e non fossi stata messa al corrente? Il mio cuore si strinse in una morsa dolorosa: l'ultima volta che l'avevo visto era una maschera di tristezza e vergogna, proprio come l'espressione che io avevo dipinta sul viso dalla domenica della settimana precedente. Ormai non facevo altro che pensare a come poterlo perdonare nonostante ciò che aveva fatto perché mi mancava, avevo bisogno del mio fidanzato e di passare il tempo con lui per distrarmi dall'Università. Melanie era contenta che io provassi a contattarlo, ma non aveva la minima idea che quel pomeriggio sarei andata direttamente da lui invece di chiamarlo; pensava che non ne sarei stata capace, che non sarei riuscita ad affrontare tutti i suoi colleghi. E in parte aveva ragione, dato che la sera del suo Galà di aprile gli occhi di tutti erano puntati su di me ma non m'importava: io dovevo assolutamente parlare con lui e chiarire, risolvere la situazione e tornare come prima.

Avevo trascorso tre lunghi giorni a rimuginare più e più volte su ciò che era successo fra di noi, non riuscendo ad ascoltare le voci dei miei professori che parlavano durante le lezioni. Ero troppo concentrata a riflettere sul da farsi perché da un lato non volevo perdonarlo così in fretta, ma dall'altro avevo paura di perderlo per il mio continuo temporeggiare su tutto questo. Alla fine, dopo aver parlato con Melanie a cuore aperto la notte precedente, avevo deciso di affrontare Leonard senza dirlo alla mia migliore amica e mettere in chiaro i miei sentimenti e i miei desideri. Era così sbagliato essere tanto innamorata da perdonarlo così velocemente o avrei dovuto continuare a tenergli il muso, rischiando di stancarlo e quindi di farmi lasciare?

Inspirai profondamente e salii rapidamente la rampa di scale che conduceva alla strada sopra la metropolitana, prendendo il mio cellulare; controllai di non avere messaggi e poi lo spensi, evitando che qualcuno potesse chiamarmi o scrivermi durante la mia conversazione con Leonard. Sollevai poi lo sguardo sull'enorme palazzo davanti a me e rabbrividii: era alto almeno dieci piani ed era praticamente tutto costruito in vetro, se non per i pavimenti di ogni piano che erano di marmo bianco. Se da fuori sembrava un castello di cristallo, non avevo idea di che cos'aspettarmi dall'interno. Mi sentivo una schifezza in confronto, un moscerino. Era un palazzo così imponente ed elegante. Sapevo quanto Leonard fosse ricco e quanto la Crown Enterprise fosse un'impresa fondamentale per l'economia della capitale ma non avrei mai pensato che potesse possedere un palazzo con tutti gli uffici come quello. Sembrava davvero un castello di cristallo perché era tutto di vetro, tranne i pavimenti che dividevano ogni piano. Io non ero né vestita nel modo adatto, né la persona adatta. Come potevo entrare in un edificio simile, sentendomi a mio agio quando la maggior parte dei dipendenti di Leonard erano ricchi almeno la metà di lui? Io ero solo una misera studentessa dell'Università che lavorava come spogliarellista.

Mi feci coraggio e riposi il cellulare nella tasca posteriore dei miei jeans, incamminandomi verso l'ingresso del palazzo quando le porte di vetro si aprirono; nel momento in cui misi piede nella Hall, alcune donne vestite elegantemente mi passarono davanti e mi squadrarono dalla testa ai piedi, superandomi con una risatina divertita. Il mio cuore sprofondò: indossavo dei jeans stretti strappati sulle ginocchia e una canottiera bianca con una camicia nera sulle spalle, non ero per niente bella come loro ma io andavo in un'Università, non lavoravo in un palazzo come quello. Non avevo tutti quei soldi nonostante fossi la fidanzata di Leonard. Attraversai quindi il salone dell'ingresso per raggiungere l'ascensore e lessi rapidamente la suddivisione dei piani per individuare quello dove si trovava l'ufficio di Leonard: era all'ultimo piano, il quindicesimo, perciò salii sull'ascensore e premetti il tasto con il numero '15'. Una strana sensazione di disagio cominciò ad assalirmi lo stomaco nell'istante in cui cominciai a salire ma mi convinsi che fosse solo l'agitazione e la paura: e se mi avesse cacciato? E se avesse deciso di lasciarmi? E se non fosse in ufficio? E se si fosse trasferito chissà dove, sfuggendomi per sempre? Non sapevo cos'era successo in quei tre giorni,magari lui si era stancato di contattarmi tanto da cancellare il mio numero o chissà che altro. Ero pronta sia a litigare furiosamente sia a chiarire, desideravo solo vedere Leonard almeno un'altra volta per discutere di tutto ciò che era successo fra di noi. Rabbrividii a quei pensieri e mi appoggiai con il sedere alla sbarra di metallo dietro la mia schiena, aspettando di raggiungere il decimo piano. Il cuore mi batteva così rapidamente nel petto da poter scoppiare, ma riuscii a mantenere la calma e a mettere un finto sorrisetto sulle mie labbra per evitare di impazzire.

Lasciai vagare il mio sguardo sul bellissimo paesaggio di Londra che faceva da sfondo all'immenso palazzo in cui mi trovavo e sospirai appena: era la stessa bellissima visuale che Leonard aveva in casa sua, pensai. Era davvero innamorato di quella città e qualcosa mi diceva che anche il suo ufficio, probabilmente il più bello di tutto l'edificio, sarebbe stato rivolto verso il centro della capitale, quindi sul Tower Bridge oppure sul London Eye.

Una volta che le porte di metallo si spalancarono, rivelando l'ingresso del decimo piano, m'incamminai a passo svelto all'interno del corridoio con le braccia incrociate al petto. Mi girai verso un bancone di marmo alto che nascondeva una donna dai capelli castano scuri raccolto in uno chignon elegante e un completo verde che risaltava perfettamente la sua pelle abbronzata. Mi avvicinai perciò a lei con passo esitante e aspettai che alzasse la testa, riconoscendola immediatamente: era l'assistente personale di Leonard, Zoe, se non mi sbagliavo. Se non ricordavo male, l'avevo conosciuta al Galà che Leonard aveva organizzato nel suo Hotel nel centro della città, ma non avevamo parlato più tanto. Sapevo solo che era una delle sue prime dipendenti, che l'aveva visto negli anni peggiori che seguirono il divorzio con Diana. Ma nel momento in cui i suoi occhi incontrarono i miei, la sua espressione cambiò completamente e passò da rilassata a terrorizzata, come se un fantasma le fosse appena comparso davanti. Ero capitata in un brutto momento? Avevo fatto qualcosa di male di cui non me n'ero resa conto? Le rivolsi un piccolo sorriso e mi appoggiai con il braccio al bancone.

«Ciao, sono Evie. So che non ho contattato nessuno, ma avrei bisogno di parlare con Leonard.» dissi, portandomi una mano dietro la nuca

Zoe deglutì alla mia richiesta, premendo un tasto sulla sua scrivania. «Uhm, in questo momento il signor Stiles è impegnato quindi ti conviene tornare più tardi, verso le sei.»

Io aggrottai le sopracciglia, perplessa. «Non puoi chiedergli di uscire cinque minuti? Ti prometto che poi me ne andrò, ma è davvero molto importante.»

La ragazza si alzò dalla sedia, rivolgendomi un sorrisetto nervoso. «Evie, Leonard è impegnato in una riunione, non può uscire..»

Sollevai un sopracciglio, guardando la ragazza che arrossì. «Una riunione? Per favore, non ho molto tempo. Fra un'ora devo tornare al Campus per il coprifuoco e stasera sono a lavoro. Solo cinque minuti!»

Zoe scosse la testa, premendo di nuovo un tasto sulla sua scrivania. «No, mi dispiace. Torna fra un'ora.»

La fissai con gli occhi spalancati. «Sul serio? Sono la sua ragazza, ho bis..»

E subito dopo, un gemito di piacere riecheggiò nel corridoio. Il mio cuore minacciò di schizzare fuori dalla mia cassa toracica perché riconobbi la voce di Leonard: si stava forse masturbando nel suo ufficio durante le ore di lavoro? E Zoe lo stava coprendo? Tra loro c'era sempre stato uno strano rapporto, come mi aveva raccontato Leonard in più di un occasione, però non pensavo che si sarebbe addirittura spinto a masturbarsi nel suo ufficio con la porta socchiusa. Non aveva un po' di pudore? Arrossii, sapevo che Leonard aveva già fatto una cosa simile a causa delle foto che gli mandavo io durante la pausa pranzo ma non pensavo che potesse masturbarsi così tranquillamente, chiedendo alla sua segretaria di impedire a qualsiasi persona di avvicinarsi. E se non mi fossi presentata io ma sua madre? O sua sorella? Sarebbe stato decisamente più imbarazzante, almeno io l'avevo già visto nudo e avevo già usato quella meraviglia che giaceva fra le sue gambe. Però era assurdo che Zoe lo coprisse in quel modo, perciò mi spostai dal bancone di marmo dove si trovava lei e mi incamminai verso la porta infondo al corridoio. Dovevo vederlo, mezzo nudo o interamente vestito. Le mie scarpe nere di vernice cigolarono ad ogni passo che facevo e il mio cuore palpitava così rapidamente da risalirmi lungo la gola, mentre la sensazione di disagio di prima assalì di nuovo il mio stomaco.

«No, aspetta! Evie, non aprire!» strillò Zoe.

Io non l'ascoltai nemmeno per un secondo e spalancai subito la porta dell'ufficio del mio fidanzato da cui provenivano i gemiti di piacere che non si erano fermati,ma la visione che mi si parò davanti non fu di Leonard girato di spalle intento a masturbarsi. No, proprio per niente. Il mio ragazzo, colui che giurava di amarmi e lo stesso che si era dispiaciuto per aver pronunciato il nome dell'ex moglie durante un amplesso, era avvinghiato a Diana seduta sulla scrivania con le gambe strette intorno ai suoi fianchi. E si stavano baciando. E non solo.
Il mio cuore piombò nel mio stomaco e cominciai a piangere senza che nemmeno me ne accorgessi. E così io mi ero fatta mezza Londra, mentendo spudoratamente alla mia migliore amica e rischiando di litigare anche con lei, perdonare un ragazzo che si stava scopando di nuovo la sua ex? Era quello il motivo per cui non si era più fatto sentire per tre giorni? Aveva cambiato idea su di me e deciso di ritornare insieme a lei? Mi portai una mano alla bocca e restai sulla porta con gli occhi sbarrati, quando finalmente Leonard si accorse della presenza mia e di Zoe che si coprì il volto con entrambe le mani, imbarazzata. In quel momento desideravo che il pavimento si aprisse e m'inghiottisse, uccidendomi all'istante per evitare di soffrire ancora.

Io sbattei il piede sinistro sul pavimento di marmo e il ragazzo cacciò Diana per terra, coprendosi le parti intime con la giacca nera che gli pendeva dalle spalle mentre il suo viso era una maschera di terrore. Non sapevo che cosa dire, ero così scioccata e disgustata che la mia mente era completamente vuota.
«Cazzo, Evie..»

Zoe mi prese per un braccio ma io mi liberai. «È per questo che non mi hai più chiamata?»

Leonard tacque e mi guardò con gli occhi lucidi, mentre io scossi la testa, delusa. Avevo appena scoperto il mio fidanzato intento a tradirmi con la sua ex moglie, lo stesso che aveva fatto di tutto per cercare di farsi perdonare, addirittura presentandosi alla mia camera nel dormitorio della mia Università. Era ridicolo. O forse ero io ad esserlo, ancora convinta che potesse provare qualcosa per me. Convinta che fosse innamorata di me. Ero solo una povera idiota, una stupida ragazzina innamorata che sarebbe dovuta fuggire via al primo segnale di pericolo.

«No no, ti posso spiegare! Lo giuro!»

Sollevai una mano a mezz'aria, pronta a schiaffeggiarlo se avesse anche solo tentato di avvicinarsi più di qualche metro senza alcun indumento addosso. Aveva addirittura il coraggio di dirmi che si sarebbe potuto spiegare, era davvero assurdo. Credeva che mi sarei bevuta ancora le sue bugie? No, basta. Aveva detto di amarmi ed io gli avevo creduto. Aveva detto di voler restare per sempre con me ed io gli avevo creduto. Mi aveva addirittura chiesto di sposarlo qualche giorno prima ed io avevo quasi accettato, convinta che fra di noi ci fosse qualcosa di serio, un amore forte e meraviglioso quando in realtà per lui non ero nessuno. Solo una povera ragazzina con cui scopare quando ne aveva voglia.

«Basta, non voglio più sentire niente. – dissi furiosa – Venerdì farò finta di niente.»

Diana si alzò da terra completamente vestita con il suo solito sorrisetto divertito sulle labbra, quindi si avvicinò a Leonard e gli fece una carezza alla guancia a cui lui rispose con una smorfia; poi gli baciò la spalla nuda, lasciando lo stampo del suo disgustoso rossetto rossiccio, e passeggiò davanti a me. Io fui tentata di allungare la gamba verso di lei per farla inciampare ma decisi di trattenermi, non era il caso di beccarmi una denuncia da lei. Avevo già abbastanza problemi.

«Evangeline, per favore, devi ascoltarmi. – rispose Leonard, infilandosi i boxer – Giuro che ho una spiegazione per ogni cosa, devi solo..»

Mi avvicinai a lui e gli tirai uno schiaffo così forte che la mia mano bruciò, e sulla sua guancia comparvero gli stampi delle mie dita sulle sue pelle. Ero furiosa, non mi ero mai sentita così prima d'ora. Se Zoe non mi avesse trascinata via il prima possibile da quell'ufficio, avrei rischiato davvero di uccidere qualcuno e quindi rischiare il carcere per colpa delle cazzate che aveva combinato Leonard. Una dopo l'altra, pensai disgustata.

«Non provare ad avvicinarti mai più a me, hai capito? – dissi con voce spezzata – Mi fai schifo, Leonard.»

I suoi occhi si fecero lucidi e afferrò la mia mano. «Piccola, ti prego..»

Mi sciolsi a quel contatto che mi era mancato come l'aria. Le sue dita sfiorarono il dorso della mia mano ma erano le stesse che avevano graffiato e marchiato il corpo di Diana qualche secondo prima perciò mi allontanai di scatto, come se mi avesse appena bruciata. Mi veniva da vomitare, aveva davvero il coraggio di dirmi di avere delle spiegazioni? Deglutii a vuoto e distolsi lo sguardo dal suo viso con il cuore che mi batteva nel petto. Perché Diana era ancora a Londra? E perché era da Leonard, quando lui mi disse che aveva cancellato e bloccato il numero in modo che non potessero rimanere in contatto? Mille domande affollarono la mia mente ma in quell'istante volevo solo sparire.

«Mi farò portare nel tuo ristorante venerdì alle otto, indosserò un vestito elegante.» risposi sottovoce.

Leonard abbassò lo sguardo, asciugandosi una guancia con il dorso della mano. «Posso mandarti una limousine, se preferisci, non voglio..»

«Stai zitto, stai zitto cazzo! – strillai, sollevando una mano a mezz'aria – Basta.»

E prima che lui potesse rispondere, scappai in lacrime dal suo ufficio.

***

25 maggio.
Evangeline.

Mi sedetti sullo sgabello di velluto con le braccia appoggiate sul bancone mentre Melanie si sporse in avanti, afferrando la pinta di birra che il cameriere le consegnò. Georgia e Kylie s'incamminarono verso il bagno della discoteca mano nella mano, chiudendo la porta alle loro spalle. Io mi girai verso la mia migliore amica che sorseggiò la sua birra con gli occhi chiusi e poi si leccò le labbra sporche di schiuma, attirando l'attenzione di qualche ragazzo intorno a noi. Io accavallai le gambe sotto al bancone e ringraziai il cameriere che mi diede un bicchiere colmo di Coca Cola e Rum. non ero un amante dei drink ma in quel momento avevo un disperato bisogno di ubriacarmi, perché non avevo la minima idea di cos'avrei affrontato la sera successiva. Come mi sarei comportata davanti alla famiglia di Leonard, dopo ciò che aveva fatto nei giorni precedenti? Ero certa che Gemmaavrebbe intuito qualcosa, ma avrei fatto di tutto per fingere che fosse tutto normale e che la nostra relazione proseguisse nel modo migliore, anche se era finita nell'istante in cui Leonard aveva pronunciato il nome dell'ex moglie. Odiavo il fatto di non riuscire a togliermelo dalla mente perché non facevo altro che piangere e disperarmi, ma quella sera avrei fatto qualsiasi cosa pur di levarmi Leonard dalla testa. Avrei trascorso una serata tra donne, con le mie amiche più intime in una delle discoteche più belle di tutta Londra e niente mi avrebbe rovinato la serata.

Iniziai a sorseggiare il mio drink con lo sguardo perso in mezzo alla folla che ballava nella pista da ballo e dondolai il piede sinistro a ritmo di musica, roteando il liquido all'interno del bicchiere per poi girarmi verso la mia migliore amica che appoggiò la pinta di vetro sul bancone. Melanie mi lanciò un'occhiata preoccupata a cui risposi con un sorriso smagliante. Non volevo rovinare la nostra serata, volevo divertirmi e tenere Leonard fuori dalla mia testa, dai miei pensieri.

«Stai bene? – domandò la mora, avvicinandosi a me – Sembri..»

La interruppi prima che potesse continuare. «Mai stata meglio! Che ne dici di ballare un po'?»

Lasciai il mio bicchiere sul bancone del bar e senza aspettare una risposta da parte della mai migliore amica, mi lanciai nel bel mezzo della folla che si muoveva a ritmo di musica. Camminai con fatica sui tacchi vertiginosi che Georgia mi aveva prestato ma riuscii a non uccidermi, cominciando a scuotere il sedere e a scuotere i capelli sciolti sulla mia schiena. Chiusi gli occhi e portai la mia testa all'indietro, ballando senza pensare alla situazione al di fuori della discoteca. Ero stanca di dover star male per la persona che amavano farmi soffrire, a partire da tutta la mia famiglia in Norvegia fino ad arrivare all'uomo che aveva rovinato la mia felicità in meno di una settimana. La musica prese il controllo del mio corpo e mi lasciai andare proprio come facevo sul palco del Secret Dreams nei weekend, scuotendo i fianchi e attirando l'attenzione di alcuni ragazzi che si avvicinarono a me.

Io mi girai verso di loro ed esitai per qualche secondo, facendo alcuni passi all'indietro ma poi pensai: "Leonard non è più il mio fidanzato, io sono single e giovane" perciò mi gettai letteralmente fra le braccia del ragazzo più carino, dai capelli biondi tirati leggermente all'indietro e gli occhi scuri. Lui circondò il mio bacino con le sue braccia ed io scossi il sedere, strusciandomi appena contro di lui con la musica che risuonava a tutto volume nella mia testa e l'alcool scorreva nelle mie vene. Ero arrivata in discoteca da circa un'ora e avevo bevuto un Long Island, un Malibu insieme a Georgia e la Coca-Rum che avevo abbandonato sul bancone a metà. Non avevo mai bevuto così tanto prima d'ora ma non m'importava perché fortunatamente le lezioni del giorno successivo erano state cancellate, perciò avrei potuto trascorrere tutta la mattina a vomitare e a piangere ancora un po' prima di umiliarmi del tutto durante la cena della sera.

«Io sono Justin.» sussurrò il ragazzo al mio orecchio.
Mi morsicai il labbro inferiore, stringendo il braccio al mio corpo. «Minx, piacere.»

Non volevo rivelargli il mio vero nome perché non aveva senso. Non mi interessava conoscere nessuno, desideravo solo ballare e divertirmi fino alle due del mattino perché purtroppo il mio cuore apparteneva ancora ad una certa persona. E soffrivo per questo perché non meritavo un dolore del genere. Mi ero impegnata per far funzionare una relazione che forse non doveva nemmeno nascere ed ero stata ripagata con un tradimento colossale, un'umiliazione terribile. Mi girai quindi verso il ragazzo dai capelli biondi e scossi il bacino che lui strinse con le sue mani, accarezzandomi le cosce perciò io chiusi gli occhi e mi abbandonai a ritmo di musica, sculettando sensualmente e dondolando. Justin mi accarezzò i fianchi e risalì con le mani verso le mie spalle, mantenendo sempre una certa distanza fra i nostri visi. Ero contenta che fosse così rispettoso nei miei confronti nonostante fossi ubriaca, più o meno.

«Minx? Che nome strano! – esclamò Justin, prendendomi la mano – Posso offrirti qualcosa da bere?»

Soffocai una risata, non era il caso che prendessi un altro drink. «Sì, se ti va.»

Ma non m'importava, volevo dimenticare la mia situazione pietosa per qualche ora. Perciò seguii il ragazzo dai capelli biondi verso il bancone del bar quando mi accorsi dello sguardo delle mie tre amiche su di me, perciò le ignorai e mi sedetti su uno degli sgabelli accanto a Justin. Lui chiamò il cameriere, ordinò un drink dal nome impronunciabile e poi si girò verso di me con un sorriso smagliante. Le luci della discoteca erano colorate perciò sfalsavano il suo viso ma era estremamente carino, dovevo ammetterlo. Purtroppo l'unico a cui potevo compararlo era Leonard e non c'era gara fra loro: il mio ex fidanzato era semplicemente meglio. Io accavallai le gambe e abbassai con cura il vestito a tubino nero verso le cosce, coprendole per evitare che si vedessero le mie mutadine di pizzo sotto.

«Come mai sei qui da sola?» domandò Justin
Io mi girai verso di lui, piegando la testa da un lato.

«Uhm.. in realtà non sono da sola. Ci sono delle mie amiche che in questo momento si stanno godendo la serata con altri ragazzi.»

Il biondo si voltò nella direzione dei divanetti, annuendo. «Oh, capisco. Hai un'espressione triste però, cosa posso fare per trasformarla in un sorriso smagliante?»

Il mio cuore si strinse in una morsa. Si stava sforzando di migliorarmi la serata nonostante non mi conoscesse e aveva notato che non ero del tutto felice, perciò decisi che mi sarei impegnata a divertirmi con lui e ad accantonare del tutto i pensieri su Leonard. Ero uscita insieme alle mie amiche per ballare e bere fino a sfiorare il coma etilico, perciò perché dovevo permettere al mio ex di rovinarmi la serata? Mi morsicai il labbro inferiore e strinsi il bicchiere di vetro colmo di un liquido trasparente che il barista mi consegnò, perciò senza nemmeno annusare il drink, bevetti tutto d'un sorso. La mia gola cominciò a pizzicare ma mi costrinsi a non pensare a quella strana sensazione e mi pulii le labbra con il dorso della mano, sbattendo il bicchiere sul bancone del bar. Dovevo divertirmi e bere.

«Sto bene. Sono solo un po' stanca, non ti preoccupare! – risposi con un sorriso, avvicinando il mio sgabello a quello del ragazzo davanti a me – E tu? Sei qui da solo?»

Justin scosse la testa, bevendo la sua birra. «No, è l'addio al celibato di mio fratello ma il resto degli invitati sono così ubriachi da non riuscire a muoversi. Io non ho bevuto così tanto, perciò..»

Lo guardai contenta, dondolando le gambe giù dallo sgabello. «Quanti anni hai?»

«Ne ho compiuti ventitré da poco! – replicò Justin, avvicinandosi ulteriormente a me – E tu invece? Sei piccola.»

Arricciai il naso alle sue parole, sorridendo. «Tra un paio di mesi ne farò venti.»

Il biondo sollevò un sopracciglio, stringendo la pinta di birra nella sua mano. «Davvero? Pensavo ne avessi diciotto o ancora meno, hai il visino di un angelo. I tuoi lineamenti sono così delicati!»

Le mie guance si tinsero di un rosa acceso e percepii il calore fluire sul mio viso. «Uhm, grazie?»

«Sei fidanzata?» chiese Justin senza giri di parole.

Io esitai per qualche secondo perché non avevo alcuna intenzione di andare a letto con lui, anche se avrei fatto qualsiasi cosa pur di togliermi Leonard dalla mente per qualche ora ma poi mi sarei sentita in colpa perché sapevo che, anche se mi fossi nascosta con Justin per scopare, avrei solo pensato al mio ex. Che amarezza, lui aveva pronunciato il nome della sua ex moglie mentre facevamo sesso e quattro giorni dopo se l'era scopata nel suo ufficio. Disgustoso, pensai con rabbia. Come aveva potuto fare una cosa del genere? Mi girai verso il bancone e chiamai il barista, ordinando per me un altro Long Island; quello sarebbe stato l'ultimo drink della serata perché poi mi sarei fatta riaccompagnare al Campus, volevo solo dormire.

«No, felicemente single da circa.. ieri.» risposi con una smorfia.

Justin aggrottò le sopracciglia, fissandomi perplesso. «Oh Dio, mi dispiace.. non credevo, uhm..»

Lo interruppi, sollevando una mano a mezz'aria. «Non ci voglio pensare, sono venuta qui per bere e dimenticarmi un po' di ciò che è successo. È un problema se cambiamo argomento? Non ho intenzione di deprimermi ancora, ho già dato il peggio di me ieri.»

Il ragazzo mi rivolse un sorriso, alzando la sua birra. «Che ne dici di una gara di shots?»

Non ero un'amante della vodka, o dell'alcool in generale, ma ormai per quella sera avevo già combinato un danno enorme al mio stomaco perciò sorso di vodka in più o in meno non sarebbe cambiato nulla. Il giorno successivo avrei occupato il bagno per tutto il mattino a vomitare l'anima e a far uscire tutto l'alcool che avevo ingerito, perciò decisi di accettare. Che avrei perso? Forse un pezzo del mio fegato ma era un prezzo accettabile, il mio cuore era già fuori uso perciò un organo in meno non mi avrebbe di certo ucciso. Maledetto Leonard.

«Direi che va benissimo. – risposi con un sorriso – Spero di riuscire a uscire di qui sulle mie gambe.»

Justin si lasciò sfuggire una risata, richiamando il barista. «Ti porterò io in braccio, in caso non ce la facessi.»

Gli lanciai un'occhiataccia, scoppiando subito dopo a ridere. «Sempre se saprai reggere!»

«Non mi sfidare, biondina. – replicò il biondo, sorridendo – Offro io.»

Afferrai il bicchiere che mi arrivò dal barista di quella sera che ringraziai con un cenno del capo e sorseggiai il mio Long Island, percependo il liquido freddo colare nella mia gola e iniziare a bruciare. Forse accettare di fare quella gara di shots non era stata un'idea molto intelligente, visto che sentivo già lo stomaco sottosopra e non volevo rischiare di vomitare sulla macchina di Georgia, però.. avevo bisogno di dimenticare la mia situazione, fine dei ripensamenti. Il barista si avvicinò a noi con sei bicchierini ancora vuoti e li dispose sotto ai nostri occhi, per poi riempirne due con del rum invecchiato, altri con del rum dorato e gli ultimi con il rum bianco. Sapevo che la mia gola sarebbe diventata di fuoco una volta bevuti quei tre piccoli shots, ma la mia mente era ancora troppo lucida nonostante fossi abituata a bere. Certo, la mia vista era leggermente offuscata ma riuscivo ancora a ragionare e a pensare perciò non ero ancora ubriaca. Era mai possibile? Justin si sistemò con il viso rivolto ai tre suoi bicchierini e mi fissò per un istante con la coda dell'occhio, ridacchiando.

«Allora, sei pronta?» chiese divertito
Io annuii, fissando i miei tre bicchierini di rum.

«Mai stata così pronta.»

E quando Justin cominciò a contare, raggiungendo il tre, afferrai il primo shots di rum che buttai giù tutto d'un sorso; il sapore era disgustoso ma presi subito il secondo bicchierino, bevendo il rum dorato leggermente più gustoso anche se troppo alcolico. Non ero abituata a tutto quell'alcool nel mio stomaco, ma mi convinsi a bere l'ultimo shots, il più forte e quello dal sapore più pungente. Con la coda dell'occhio fissai Justin bere dall'ultimo bicchiere e quasi mi si rovesciò lo stomaco, però riuscii a prendere il mio shots e berlo tutto d'un sorso. Sbattei una mano sul bancone del bar e cominciai a tossire, scoppiando poi a ridere quando Justin fece una smorfia; mi portai una mano alla bocca, percependo la mia gola bruciare come fuoco vivo, e mi leccai le labbra. L'ultimo shot era stato il peggiore in assoluto e in quell'istante capii che non avrei mai fatto un'altra gara di shots con uno sconosciuto in discoteca. Maledizione, non avrei dovuto mescolare un Long Island a tre tipo diversi di rum.

«Oh merda, ho bisogno di un po' d'acqua. – mugolai, massaggiandomi la gola – Cazzo, prendo fuoco.»

Justin rise ancora più rumorosamente, piegandosi verso il bancone. «Hai la faccia bordeaux.»

Feci una smorfia, coprendomi le guance con le mani. «Ti ringrazio per avermelo detto!»

«Vuoi un po' d'acqua? O uscire a prendere una boccata d'aria?» domandò.

Le parole uscirono leggermente biascicate dalle sue labbra e mi venne da ridere. «Sì, forse è meglio.»

Chiamai quindi il barista per poter avere un bicchiere d'acqua fresca e lui me lo portò subito, forse notando la mia pessima condizione. Justin ne ordinò anche uno per sé e poi bevemmo dai bicchieri; la mia gola si rinfrescò all'istante e il mio stomaco ebbe un sussulto. Brutto segno, pensai qualche secondo dopo. E in men che non si dica, mi ritrovai a correre verso il bagno della discoteca con una mano sulla bocca. Spintonai alcune ragazze davanti alle porte delle toilettes e spalancai la prima cabina, piegandomi in due sul water e vomitando gran parte dell'alcool che avevo ingerito. Maledizione, era tutta colpa di Leonard. Se solo non mi avesse tradito, se solo non avesse commesso quei due errori nei giorni precedenti.. Vomitai di nuovo a quei pensieri e mi aggrappai al bordo del water, stringendo le dita sulla ceramica fredda mentre svuotavo il mio stomaco. Mi appoggiai con la fronte alla tavoletta del water, troppo disgustata da ciò che avevo fatta per preoccuparmi di pulire il tutto, e respirai profondamente, percependo il mio stomaco quasi del tutto vuoto. Sentivo la pancia gonfia e il cuore battere rapidamente così mi sedetti sul pavimento con la schiena premuta contro al muro; chiusi gli occhi e cercai di riprendere un attimo fiato. Avevo lasciato Justin da solo fuori come un idiota ma non era il caso di vomitargli addosso, non sarebbe stato affatto carino dopo tutto l'alcool che mi aveva offerto. Dopo essermi sistemata leggermente, mi alzai dal pavimento con una mano appoggiata alla bocca e barcollai fuori dalla cabina della toilette, specchiandomi. Mi sciacquai con cura le labbra e le guance, rendendomi conto di avere la pelle rossa come quella di un peperone soprattutto sulle guance e la punta del naso ma non era il caso di preoccuparmi del mio aspetto. Il mio stomaco aveva bisogno di riposare, sarei dovuta tornare a casa. Uscii quindi dal bagno con l'avambraccio appoggiato sulla bocca e m'incamminai verso il bancone del bar, trovando Justin ancora seduto sullo stesso sgabello con lo sguardo perso.

«Hey, perdonami, ero.. – arrossii, facendo spallucce – Un attimo indisposta.»

Il biondo si girò verso di me, sorridendo. «Vomito?»

Annuii imbarazzata, sedendomi di nuovo sullo sgabello. «Sì, non sono abituata a bere così tanto.»

Lui ridacchiò, dondolando le gambe giù dalla sua sedia. «Allora direi che per stasera basta alcolici, che ne dici?»

«Forse è meglio, non penso riuscirei a reggere un altro shot. – risposi con un sorriso, girandomi per un istante verso l'angolo dove le mie amiche stavano ancora bevendo e chiacchierando – Forse è il caso che io ritorni a casa, non mi sento molto bene e domani dovrò andare a lezione.»

Justin mi prese una mano, fermandomi. «Aspetta! Posso avere il tuo numero?»

Lo guardai qualche secondo, indecisa su che cosa fare ma poi annuii. «Certo, va bene.»

Mi consegnò il suo cellulare con lo schermo sbloccato perciò io scrissi rapidamente il mio numero e mi salvai con il mio soprannome, Minx, nella sua rubrica. Poi lui mi fece uno squillo in modo che anche io potessi salvare il suo contatto. Scesi dallo sgabello con un piccolo salto e mi avvicinai a Justin, cercando di abbracciarlo ma la mia vista offuscata mi fece quasi inciampare in avanti e caddi su di lui; allora il ragazzo mi circondò i fianchi con le sue braccia per tenermi in equilibrio e scoppiò a ridere. Un suono soave ma non quanto la risata di Leonard.

«Non reggi proprio, eh?» domandò Justin, accarezzandomi la schiena.

Cercai di rimettermi in piedi, sospirando appena. «Ho bevuto un Long Island, un Malibu e un Rum e Coca. Il mio stomaco era già abbastanza pieno da prima, sono stata stupida io.»

Il biondo fece una smorfia, aiutandomi a rimanere in piedi. «E non sei ancora finita in ospedale?»

Tentai di ridere ma il mio stomaco si strinse. «Probabilmente ci andrò fra poco se non mi riportano a casa.»

Justin arricciò il naso e mi prese entrambe le mani, tenendomi in equilibrio sui miei piedi. Sentivo la testa pesante e il mio stomaco pronto a rovesciarsi di nuovo, ma sarei riuscita ad arrivare fino alla mia camera del dormitorio prima di vomitare per la seconda volta l'anima. Non volevo rovinare la macchina di Georgia.

«Ci sentiamo domani quando sarai sobria.» mormorò il ragazzo al mio orecchio.

Annuii con fatica, rimettendomi in piedi. «Sì, certo, va bene. Grazie per l'alcool.»

Lui posò un piccolo bacio sulla mia guancia e poi lasciò la presa su di me, permettendomi di camminare verso i divanetti che le mie amiche avevano occupato dall'inizio della serata. Non appena Georgia mi vide, capì all'istante che mi avrebbe dovuto portare a casa perché scattò in piedi, si avvicinò a me e mi abbracciò. E prima che me ne accorgessi anche io, scoppiai a piangere per la vergogna. Mi ero davvero ridotta a bere come una spugna, rischiando di rovinarmi il fegato, per colpa di un uomo? Certo, mi ero innamorata di lui ed ero stata ripagata con un tradimento, con un'umiliazione. Perché Leonard aveva fatto sesso con Diana? Perché io ero così presa da lui, nonostante i sentimenti non fossero ricambiati? Perché aveva giocato con me in quel modo, fregandosene di me? Perché diceva di amare me se durante il sesso pensava a lei? Perché non poteva semplicemente stare con lei e non usare me come rimpiazzo?

«Non piangere, Evie. – sussurrò Georgia, dondolandomi piano avanti e indietro – Non puoi rovinarti il trucco, il tuo rossetto costava quasi venti sterline e l'illuminante il doppio o forse più!»

Mi aggrappai alle sue spalle con le braccia strette intorno al suo collo e poi sentii anche Melanie appoggiarsi a me, cosa che mi fece piangere ancora di più. Odiavo mostrarmi così debole e soprattutto odiavo essermi ridotta a bere e a vomitare l'anima in una discoteca per dimenticare il mio ex fidanzato. Ero così monotona e ripetitiva in quei due giorni che mi facevo schifo da sola.

«Esatto, smettila di piangere! – esclamò Kylie, unendosi all'abbraccio con il suo drink in mano – Se Jeffree venisse a sapere che stai piangendo per un ragazzo, ti prenderebbe a borsate in testa insieme a Manny!»

Sollevai la testa per guardare le mie tre amiche, arrossendo. «Grazie..»

Melanie mi fece una carezza sui capelli, poi mi baciò la guancia. «Dai, meglio se ti riportiamo in camera.»

«No, non voglio rovinarvi la serata. – dissi con una smorfia, catturando gli sguardi di tutte – Posso chiamare un taxi o andare a piedi, il Campus non è molto lontano da questa discoteca.»

Kylie fece una smorfia ma Georgia prese la parola. «Non se ne parla, ti porterò a casa io. Non ci metterò molto.»

Io aggrottai le sopracciglia, asciugandomi le guance umide con le mani. «Sei ubriaca, non puoi guidare.»

Melanie tossì alle mie parole, spostandosi verso il tavolo. «Ha ragione, non ti conviene guidare.»

Afferrai la borsetta che avevo lasciato alla mia migliore amica, controllando di avere un po' di soldi nascosti nella cover del mio cellulare e poi presi un respiro profondo. Avevo un disperato bisogno di ritornare in camera, sfogarmi piangendo fino al mattino successivo e finite tutte le lacrime che avevo in corpo. E non era il caso che nessuna delle mie amiche mi vedesse in certe condizioni.

«Non vi preoccupate, farò attenzione con i taxi. – dissi, baciando tutte le mie amiche sulle guance – Vi manderò un messaggio non appena arriverò in casa, d'accordo?»

Loro si scambiarono un'occhiata preoccupata ma poi annuirono, quindi io le salutai ancora una volta e m'incamminai verso la porta d'uscita della discoteca. Superai una coppia intenta a sbaciucchiarsi proprio davanti all'ingresso e mi avvicinai al ciglio della strada per poter chiamare un taxi, quando intravidi Simon e la sua fidanzata Eleanor avvicinarsi seguiti da Niall e Zoe. Io li guardai per un istante e non appena mi accorsi che i due uomini mi avevano notata, accelerai subito il passo e m'intrufolai nel parcheggio. Non volevo parlare con loro, soprattutto non con la segretaria personale di Leonard che l'aveva coperto mentre ci dava dentro insieme alla sua ex moglie nel suo ufficio. Maledetta pure lei, pensai con rabbia. Una fitta di mal di testa mi costrinse a chiudere gli occhi per un secondo ma li riaprii quando una macchina suonò il clacson, perciò mi spostai dalla strada e mi sedetti sul muretto che circondava il parcheggio.

«Evie? Sei tu?»

La voce stridula di Simon mi fece digrignare i denti. Perché avevo proprio incontrato la combriccola di amici del mio ex fidanzato in una discoteca? Non erano troppo grandi per frequentare un posto simile? Mi girai con lentezza e con il cuore pronto a schizzare fuori dalla mia cassa toracica verso Simon che, non appena si accorse della mia espressione infastidita, fece un passo all'indietro, spaventato.

«Sì, sono io. Cosa vuoi da me, adesso? – domandai con voce rauca, sospirando quando un taxi sfrecciò davanti ai miei occhi – Cazzo, ma nessuno può fermarsi per un minuto?!»

Simon appoggiò le mani sui fianchi, osservandomi con attenzione. «Stai bene? Hai bisogno di un taxi per tornare a casa?»

Mi girai verso di lui, fulminandolo con lo sguardo. «Mi arrangerò da sola.»

Lui esitò qualche secondo, poi sospirò. «So cos'è successo con..»

Prima che potesse continuare con la frase, sollevai la mano a mezz'aria. «Lasciami in pace. Vai dalla tua fidanzata e passa una bella serata, d'accordo? Non mi va di discutere adesso, sono troppo stanca e..»

«Ubriaca.»

Feci spallucce e una smorfia, allungando il braccio verso il ciglio della strada quando intravidi un auto con la targhetta bianca illuminata avvicinarsi al parcheggio della discoteca perciò ignorai le parole di Simon per prendere la mia borsetta. Il taxi si fermò proprio davanti a me ed io salii, lasciando da solo il ragazzo che mi fissò dal finestrino quindi chiusi la portiera con un tonfo; mi avvicinai al tassista, sentendo lo stomaco brontolare leggermente.

«Strand Campus, per favore.»

Mi appoggiai con la schiena al sedile della macchina e chiusi gli occhi dopo aver allacciato le cinture di sicurezza, tenendo la mia borsa sulle ginocchia. Ero davvero stanchissima per le lezioni di quel giorno e avevo bisogno di una bella dormita. Una parte di me era dispiaciuta per aver risposto male a Simon ma era l'ultima persona che mi aspettavo di vedere in un posto simile perché, guardando lui, ripensavo alla sua situazione con Diana e quindi a ciò che era successo con Leonard. Strinsi una mano a pugno e sussultai quando percepii il telefono vibrare nella mia borsa, quindi l'aprii senza nemmeno guardarla e sfilai il mio telefono; sbloccai lo schermo e lessi il mittente della chiamata a cui non risposi perché era Leonard. Perché mi stava chiamando? Simon gli aveva forse detto che ero stata in una discoteca il giorno dopo che mi aveva lasciato? Voleva forse farmi il terzo grado perché cercavo di non rinchiudermi in camera a piangere? Sospirai rumorosamente, girandomi verso il finestrino per poter guardare la strada scorrere veloce davanti ai miei occhi, e picchiettai le dita contro la portiera. Il tassista rimase in silenzio per tutta la durata del viaggio e non appena raggiunge l'ingresso del Campus, fermò l'auto davanti al cortile; io pagai con rapidità e poi scesi dal taxi, incamminandomi a passo svelto verso l'entrata del mio dormitorio per poter tornare in camera mia. Mentre salivo le scale che conducevano al primo piano, sentii una voce chiamarmi dall'entrata dal corridoio.

Mi si gelò il sangue nelle vene: cosa ci faceva Leonard nel mio dormitorio alle due del mattino? Il giorno successivo sarebbe dovuto andare a lavorare e poi preparare con cura la cena della sera con la sua famiglia. Appoggiai una mano sul bordo della ringhiera delle scale e mi nascosi sulla rampa che portava al secondo piano, spiando il ragazzo guardarsi intorno; trattenni il respiro in modo che non potesse sentirmi e sperai con tutto il cuore che non alzasse la testa verso l'alto.

«Evangeline? Evie? Sei qui?»
Seguii con lo sguardo ogni suo minimo movimento e il ragazzo si avvicinò alle scale, poi sollevò la testa ed io mi spostai immediatamente verso il muro con il cuore sul punto di esplodermi nel petto. Ero furiosa con lui e vederlo, così bello con la sua tenuta da notte, mi aveva confuso più di prima perché una parte di me voleva rincorrerlo, picchiarlo a sangue e sbattergli la testa contro il muro per ciò che mi aveva fatto ma l'altra desiderava abbracciarlo, piangergli addosso e chiedergli di riprendermi con sé. Stupida Evie, pensai.

«Evie?»

E prima che Leonard potesse salire, corsi nella mia camera.

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