Prologo

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A mano a mano, mi perdi e ti perdo
E quello che è stato mi sembra più assurdo
Di quando la notte eri sempre più vera
E non come adesso nei sabato sera.

- Rino Gaetano, A mano a mano -





Dopo...

Ho perso mio padre quando ero ancora così piccola da non ricordare neanche il tono della sua voce, l'essenza del suo profumo, il suo modo di camminare.

Ricordo i calli sulle sue mani, però. Aveva le mani frastagliate da calli e ferite che si procurava a lavoro, nella sua officina. D'altra parte le macchine erano tutta la sua vita. Le amava più di me, più di mia madre. Più di sé stesso.

Ricordo le sue mani perché quando tornava a casa, la sera, ed io ero già a letto da un pezzo e fingevo di dormire, lui entrava silenziosamente nella mia stanza e mi accarezzava le guance. Tutte e due contemporaneamente, con entrambe le mani, come se fossi un tesoro prezioso.

Durava solo un istante, dopodiché tornava in salone e si metteva davanti alla tv con una birra in mano ed un canale sportivo a fargli compagnia.

Probabilmente non si è mai reso conto che ero sveglia, che sapevo di quel suo gesto affettuoso.

Mio padre non era proprio il tipo d'uomo che silanciava in simili accortezze. In sei anni che abbiamo vissuto insieme, mi avrà rivolto sì e no dieci parole in tutto. Monosillabi, più che altro.

Ma io non ci facevo troppo caso, mi andava benissimo così.

E poi una mattina, mentre facevo colazione davanti ai cartoni animati con una tazza di latte caldo e cacao, lui è venuto da me, mi ha messo cento euro tra le mani, mi ha detto di farne buon uso, si è voltato verso la porta e se n'è andato. Non è più tornato.

A chi me lo chiede racconto che è morto. Un incidente sul lavoro, una tragedia. E' molto più semplice dire una bugia, piuttosto che ammettere di essere stata abbandonata da lui. Non c'è delusione più grande, per un figlio.

Non mi ricordo neanche i suoi occhi, visto che mia madre ha strappato tutte le sue fotografie, eppure quando arriva la sera e mi metto a letto, mi capita di avvertire ancora la sensazione delle sue mani ruvide sulla mia pelle e mi sembra di tornare bambina per un istante.

Forse perché una carezza io non l'ho più ricevuta da nessuno, dopo di lui.

Tranne che da te, che con prepotenza ti sei imposto nella mia vita, mi hai afferrata e poi buttata via, lasciandomi segni invisibili ma percettibili sulla pelle, che ora bruciano più del fuoco.

E per ironia della sorte, stasera qualcuno ha lasciato su di me anche delle tracce fin troppo visibili. Mi fa male la faccia, le costole, le ossa e l'anima. E ti odio così tanto, in questo momento, che vorrei non averti mai dato il permesso di avvicinarti a me, perché ho bisogno di te e tu semplicemente non ci sei.

E' quasi l'alba, ormai, tra poco il buio lascerà spazio al sole.

Con non poca fatica salgo le scale del mio palazzo, sorreggendomi al corrimano in ferro battuto e barcollando sui tacchi entrambi spezzati. Noto che mi tremano le mani, mentre infilo la chiave nella toppa e cerco di far scattare la serratura. Entro in casa e mi richiudo la porta alle spalle, dopodiché mi sostengo al muro e lentamente arrivo in bagno.

Accendo la luce e mi osservo allo specchio che si trova sopra al lavabo. Ho gli occhi gonfi di pianto, il mascara colato sulla faccia, i capelli bagnati di pioggia, il rossetto rosso sbavato sul mento. L'occhio viola, gli zigomi tumefatti, il sangue rappreso tra le narici...

Mi lavo accuratamente le mani, poi prendo un dischetto di cotone imbevuto di acqua micellare e me lo strofino attentamente sul viso, portando via trucco, lacrime e sangue. Magari si potesse fare la stessa cosa con i sentimenti, una passata di cotone sull'anima e tutto torna in ordine.

Mi lego i capelli umidi e cerco di sorridere al mio riflesso nello specchio, ma la bocca mi fa talmente male che invece mi esce una smorfia di dolore, seguita da un lieve lamento che non riesco a trattenere.

Lascio tutto in disordine sul mobile del bagno, la luce accesa e le scarpe gettate in un angolo accanto alla porta. Non le indosserò mai più. Entro nella mia camera e mi sdraio sul letto ancora vestita, mettendomi su un fianco - quello che fa meno male -, dopodiché mi copro le gambe ancora avvolte dai collant strappati con una coperta di cotone.

Chiudo gli occhi, invocando un sonno che non vuole arrivare. Allora fingo di avere di nuovo sei anni. Fingo di essere nel mio lettino. Fingo di sentire il materasso abbassarsi sotto il peso di qualcuno. Fingo di aprire gli occhi e trovare mio padre davanti a me.

Le sue mani sulle mie guance, a coprire i lividi.

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