CAPITOLO 28

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Mi appoggiai al lavabo del bagno di casa, con addosso solo la biancheria e con la maglia che Logan mi aveva regalato ancora per il mio compleanno dell'anno prima; lui nel frattempo si era rivestito ed era tornato a casa. Non riuscivo ancora ad elaborare ciò che era successo, era come se la mia mente respingesse quel fatto come inutile e falso, anche se ero consapevole che non fosse così. Provavo una paura immane, le budella mi si contorcevano, provocandomi un mal di pancia terribile; mentre la testa aumentava le fitte di dolore minuto dopo minuto, facendomi reclamare un po' di tranquillità interiore. C'era una tempesta dentro di me, che imperversava e distruggeva tutte le mie convinzioni e sicurezze, lasciando dietro di sè solo macerie e polvere. Mi sciacquai la faccia con dell'acqua fredda, sperando di potermi svegliare in qualche modo da quell'incubo in cui ero intrappolata, ma senza alcun risultato. Mi sentivo rinchiusa in una realtà che non sentivo mia, un errore irrimediabile, dato che l'unica soluzione sarebbe stata quella di tornare indietro nel tempo, cosa impossibile, non ero mica in un libro o film di fantasia, dove anche l'impensabile è possibile. Strinsi forte le mani intorno al bordo del lavandino, mentre facevo la stessa cosa con gli occhi, cercando di non ricominciare a piangere. Qualcuno bussò alla porta, gridando il mio nome e chiedendomi di uscire per parlare, ma io non volevo, non me la sentivo di discuterne con qualcuno che non fosse stato Logan, neanche con Matt; è lui che urlava il mio nome sbattendo sulla porta e chiedendomi con insistenza di andar fuori da quel maledettissimo bagno.
"Vattene via..." Queste sono le uniche parole che riuscii a sussurrare, sperando che lui mi avesse sentito, anche se con poca probabilità.
Finalmente, da quando ero entrata in bagno, alzai lo sguardo ed osservai il mio riflesso: i capelli castani erano spettinati in un modo assurdo; gli occhi scuri erano rossi e gonfi per il pianto di poco prima, mentre il trucco sbavato segnava delle linee nere lungo le guance. Accarezzai con leggerezza quei segni scuri, prendendo poi lo struccante per potermi sistemare; quando sarei uscita non avrei voluto un interrogatorio da nessuno, ero stufa di ricevere tante domande senza alcun valore, ricevendo scuse che non potevano servirmi a niente.
Era il momento di smetterla.
Avevo passato la maggior parte della mia vita come un periodo di difficoltà, le persone pretendevano tutto da me, ma io non potevo chiedere nulla in cambio, dovevo cavarmela da sola. L'unica persona che era stata sempre al mio fianco, si era rivelata come colei che mi aveva fatto più soffrire; avevo scoperto solo in seguito che parte dei miei segreti e delle prese in giro erano partite tutte da lei, obiettivi per raggiungere i suoi scopi, ovvero di avvicinarmi di più a lei visto che mi consolava, conquistare la mia fiducia. Voleva distruggermi, mi aveva tradito, ferita nel più profondo, facendomi considerare l'idea del perché continuassi a lasciarmi usare dagli altri.
Era il momento di dire basta.
Non avrei più lasciato che qualcuno mi mettesse i piedi in testa, che la prendessero ancora in giro o simile: sarei cambiata, diventando meno ingenua di quanto fossi stata prima. In quel momento, mi sembrò di essere intrappolata in uno di quei tipici film che trasmettono alla televisione; mi comportavo perfettamente come quelle donne, protagoniste della storia principale: vengono ferite, fatte a pezzi da eventi o persone che le circondano, frantumandole; poi però, sorprendono tutto e tutti, si rialzano, si sitemano il trucco sbavato e sorridono, andando avanti, diventando più forti di prima. Così volevo fare io, alzare lo sguardo e guardare negli occhi colei che mi aveva fatto soffrire, sorriderle e proseguire a testa alta; questo però, non poteva accadere se mi lasciavo abbattere da uno stupido incidente, ma dovevo continuare a camminare, senza soffermarmi.
Raddrizzai la schiena, inarcando le spalle e facendole fare un paio di giri, prima di riindirizzare la mia attenzione sul mio riflesso. Feci qualche prova sul sorriso che avrei sfoggiato a Matt, sarebbe dovuto risultare il più vero possibile, sperando che lui ci cascasse; intanto continuava a chiamarmi, senza dare segno di voler smettere.
"Un attimo, ho quasi finito." Pronunciai questa frase con più sicurezza e con il tono più forte possibile, cercando di essere il più convincente possibile; parve funzionare, dato che calmò un po' la sua insistenza. Ci misi un po' per capire come fare per sorridere nel modo migliore possibile. Rimasi anche qualche secondo a fissare la mia immagine nello specchio, riflettendo sulla mia decisione: era davvero ciò che volevo? Quella scelta avrebbe comportato bugie anche a persone a cui volevo bene, compreso Matt, con il quale probabilmente avrei cominciato per primo; era davvero ciò che desideravo?
Forse era sbagliato, stupido ed incoscente, ma era l'inizio migliore per il percorso che volevo intraprendere, al quale non avrei potuto rinunciare facilmente dopo la mia decisione definitiva, o tutto sarebbe crollato al suolo al primo soffio. Mi lavai una seconda volta il viso, ripulendomi la faccia dagli ultimi residui di struccante e trucco, riprovando un ultima volta quale fosse il sorriso migliore da indossare come maschera, ed alla fine lo trovai: nè troppo forzato nè troppo finto, la giusta via di mezzo che non pone domande nella gente e inganna tutti, non facendo capire nulla di nulla. Mi pettinai anche i capelli, riordinandoli un po' dallo stato pietoso in cui si trovavano, ultimo segno visibile della notte appena passata. Tirai lo sciacquone del water, sperando di dare l'impressione di essere andata al bagno per bisogni essenziali, e non per altri motivi.
Aprii la porta del bagno, trovandomi di fronte il viso preoccupato di Matt, che subito chiese: "Stai bene?"
"Sì, perché non dovrei esserlo?" Domandai con finta innocenza, scrollando le spalle.
"Beh, dopo quello che è successo con Logan..." Cominciò lui in imbarazzo, ma lo bloccai subito con un sorriso. "Non preoccuparti, sto bene. Davvero." Aggiunsi alla fine, quando vidi sul suo viso un'espressione dubbiosa. "Andiamo a fare colazione ora, che c'ho fame." Lo trascinai con me, sentendomi sollevata appena comparve sul suo viso un sorriso.
Non mi ero mai sentita tanto bugiarda come in quel momento.

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