CAPITOLO 32

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Ero seduta sulla panchina del parco, stringendomi l'addome con forza nella felpa di Matt. Ormai eravamo quasi agli inizi di marzo e si cominciava a sentire un dolce tempore che riscaldava piacevolmente l'aria, mentre il freddo vento invernale era scomparso quasi del tutto.
Avevo chiamato Logan, dicendogli che dovevo dirgli qualcosa di abbastanza importante, e che, se riusciva, dovevamo incontrarci il prima possibile; lui aveva risposto di vederci da lì a mezz'ora dopo sulla panchina vicino al nostro posto speciale, lui sarebbe arrivato il prima possibile. Quando finalmente lo vidi arrivare, Logan aveva un'aria del tutto preoccupata, le spalle tese e le mani in tasca; con quella telefonata l'avevo proprio lasciato sulle spine.
"Che succede Vanessa?" Chiese ansioso una volta che si fu avvicinato a me, sedendosi di fianco sulla panchina.
"Logan, dobbiamo parlare di una cosa seria." Cominciai, vedendo che lui sbiancava a quelle parole. "E no, non è per il fatto che voglio lasciarti." Lo rassicurai, notando che faceva un sospiro di sollievo. "Senti... È successa una cosa la settimana scorsa..." Non sapevo proprio come dirglielo, avevo in mente di girarci intorno, anche a costo di tenerlo sulle spine per chissà quanto tempo.
"Che tipo di cosa? Negativa o positiva?" Volle informarsi, cercando il mio sguardo, che ostinavo a non far incontrare.
"Negativa." Feci una pausa, respirando a fondo, prima di continuare: "Mi sono sentita male e Matt mi ha portato all'ospedale. Avevo un forte mal di pancia e i medici mi hanno fatto un ecografia, perché il dolore proveniva da qui." Mi raddrizzai, facendo vedere il luogo preciso in cui avevo provato dolore. "E..." Non riuscivo a dirglielo, avevo troppa paura. "Ti ricordi quando ci siamo ubriacati un mese prima?"
"Vanessa, vuoi dirmi cosa sta succedendo, o no?!" Esclamò irritato Logan, mentre io scoppiavo a piangere e, finalmente, lo guardavo negli occhi, trovando quel briciolo di coraggio sotto la polvere di paura.
"Sono incinta Logan, cazzo!" Sbottai, vedendo la sua reazione un secondo dopo: spalancò la bocca, per poi scuotere la testa e mettersi a ridere.
"Vanessa, non è divertente come scherzo; si può sapere che cos'hai?" Ritirò il sorriso appena lesse sul mio volto che non stavo scherzando. "Certo, non scherzeresti mai su queste cose." Si rese conto, correggendosi della cazzata che aveva appena detto e prendendosi la testa fra i capelli.
"Com'è possibile?" Domandò più a se stesso che a me.
"Noi esseri umani siamo fatti per incastrarci gli uni con gli altri." Dissi; ormai mi ero rassegnata, non avrei abortito, ma sembrava ancora una cosa un po' surreale, in cui io non ne ero la protagonista. "Sapevi cosa pensavano i greci? Che una volta, all'inizio di tutto, uomini e donne erano un corpo solo; quando si sono ribellati per spodestare Zeus, lui gli ha divisi a colpi di saette. È per questo che ognuno cerca la propria 'anima gemella', per sentirsi di nuovo completo." Trassi un respiro profondo, passandomi una mano tra i capelli e guardandomi l'addome, che era ancora piatto.
"Che stupidi che siamo stati." Sussurrò ad un certo punto Logan, scuotendo la testa e raddrizzandosi con la schiena, per guardarmi meglio.
"Lo so Logan, credi che non continui a ripetermelo anch'io?" Sbottai irritata, incrociando le mani in grembo e stringendole, cercando di non scoppiare. "È questa la realtà dei fatti: ci siamo ubriacati, abbiamo fatto sesso e io sono rimasta incinta. E il bambino che ho in grembo è tuo figlio."
Lui si alzò in piedi di scatto, continuando a scuotere la testa. "Ma io non sono pronto a diventare padre." Disse lui, prima di girarsi e correre via, lasciandomi da sola.
Mi alzai dalla panchina, mentre le lacrime continuavano a rigarmi il volto, quelle nuove mischiarsi a quelle vecchie. Mi incamminai per tornare a casa, mentre una vocina interiore mi risuonava nella testa con le parole: 'L'avevo detto io'. Tirai le maniche della felpa, che mi arrivavano fin dopo la punta delle dita; si alzò un venticello, che mosse appena le piccole ciocche di capelli che erano sfuggite dalla coda. Non appena entrai in casa, la voce di Matt si fece sentire, come un gallo canta alle prime ore del mattino: "Allora? Com'è andata?" Mi raggiunse alla porta d'ingresso, scuotendo la testa e sussurrando un: "Oh, Vane" non appena mi vide. Mi si avvicinò marciando, cercando di fare il prima possibile, e mi strinse a sè, accarezzandomi i capelli. Piansi sul suo petto in un modo disperato che non mi apparteneva, ma che era in qualche modo liberatorio; strinsi la presa sulla sua maglia, mentre le parole risultavano soffocate per la bocca premuta contro il suo petto: "Se n'è andato." Dissi tra un singhiozzo e l'altro. "Appena gliel'ho detto non ci ha creduto; abbiamo parlato, ma alla fine ha detto di non essere pronto e se n'è andato." Ripetei, come se quelle parole potessero fare meno male se pronunciate ad alta voce.
"Shh, basta piangere, troveremo una soluzione; per adesso, ti accompagno io domani, per l'ecografia, e di sicuro Tamarra vorrà dare una mano." I tentativi di tranquillizzarmi non portarono a molti risultati: il pianto non cessò o diventò meno forte, i singhiozzi non diedero segno di voler smettere. Mi staccai da lui, andando verso la cucina e aprendo il lavandino, per poter rinfrescarmi la faccia dalle lacrime e cercare di svegliarmi da quel mondo, come se fosse tutto solo un sogno che si era trasformato in incubo e da cui volevo uscire, a causa della piega presa.
"Gli hai anche detto dell'ecografia di domani?" Chiese all'improvviso Matt, raggiungendomi.
Io scoppiai in una piccola risata e scossi la testa, comprendendo come ridicola quella domanda. "No Matt, non ho avuto tempo; sai com'è, è scappato via." Sbottai, colpendo il lavandino e voltandomi verso di lui; chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, riaprendoli solo quando fui sicura di essermi calmata del tutto. "Scusa," dissi alla fine, sforzando un mezzo sorriso. "non devo prendermela con te, non è colpa tua niente di tutto questo." Mi gettai di nuovo tra le sue braccia, che lui aveva allargato per darmi ancora calore ed accoglienza.
"Lo so, è normale che sei arrabbiata, ma io ci sarò, non dimenticarlo; anche se mi urlerai addosso di andarmene, io rimarrò." Mi rassicurò lui, stringendomi più forte, consolidando in maniera grossolana i pezzi del mio cuore infranto.

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