Capitolo 13. Il mostro che ha scelto di diventare

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Malgrado le sue capacità sovrannaturali fossero completamente sopite durante le ore del giorno, Charlotte si trovava a suo agio nell'oscurità. Doveva procedere a tentoni attraverso i corridoi bui del secondo piano, ma i suoi occhi non ci misero poi troppo ad abituarsi alla mancanza di luce. Anche i piani superiori della villa, come l'ingresso, erano permeati di quel misto di ricchezza borghese e decadenza che le fecero tornare in mente molti ricordi vecchi di una vita intera.

Sovrappensiero, si avvicinò con passo leggero a una porta e la spinse per accedere a una spaziosa camera: una delle tende, una volta candida, era scostata di lato e una lama di pallida luce si era insinuata all'interno, andando a colpire la grossa struttura metallica di un letto, appoggiata contro la parete opposta. Charlotte fece un timido passo all'interno, osservando con sguardo pensieroso uno dei quadri che si era staccato dal supporto ed era caduto sul pavimento di parquet. Raggiunse la tenda tirata e guardò all'esterno: la finestra si affacciava su una terrazza del piano terra, costruita come una sorta di palafitta sulla riva del lago. Le acque erano increspate a causa del forte vento e della pioggia e in lontananza, oltre le montagne, il bagliore di un lampo rischiarò per un istante l'uggioso panorama.

Anche quel giorno di tanti anni passati, un violento temporale stava flagellando la città.

Era il 4 giugno del 1627 e Parigi giaceva silenziosa sotto quel violento acquazzone. Marie era distesa nel suo letto, sudava copiosamente e la vista le si era ormai appannata; le persone che circondavano il suo capezzale erano solo delle sagome scure e poco definite. Stava morendo, ma non si capacitava di come fosse possibile: era sempre stata benissimo, non aveva mai avuto alcun problema di salute, e il parto non era stato per nulla complicato. Eppure, dopo la cena del giorno prima, aveva iniziato ad avere degli strani malori e disturbi e aveva passato gran parte della notte a vomitare per poi finire in quel letto, sull'orlo della morte.

No, non poteva essere un caso, Marie ne era sicura: qualcuno la voleva togliere di mezzo, subito dopo aver dato alla luce la piccola Anne Marie. Non si era mai curata delle cospirazioni e dei giochi di potere intorno a lei, era sempre stata una donna semplice ed era stato un immenso onore per lei essere scelta come consorte del fratello del Re. Sapeva che Gaston si era opposto al matrimonio, ma non perché lui non la volesse davvero; voleva solo evitare di divenire uno strumento politico in mano a quell'uomo... quell'orribile uomo che manovrava tutti quelli che lo circondavano. Richelieu e Re Luigi volevano che Gaston la sposasse soltanto per avere diritti sulle ricchezze che il padre di Marie le aveva lasciato: i suoi possedimenti erano ingenti e chiunque ne fosse entrato in possesso sarebbe diventato un uomo molto potente. Far ricadere la scelta sul fratello del Re poneva la famiglia reale in un'ottima posizione, ma Gaston rifiutava da sempre l'idea di essere un mero mezzo per l'accrescimento del potere del Re e, per riflesso, del suo spregevole consigliere.

Gaston aveva organizzato una specie di piccola ribellione contro quel cosiddetto Cardinale, ma scelse gli alleati sbagliati e il suo piano per uccidere il consigliere del Re era stato scoperto e sventato. Messo con le spalle al muro, non poté che accettare infine il matrimonio.

Per quanto sapesse di essere soltanto una pedina politica, Marie non era infelice per l'unione, non quanto Gaston almeno. Fu soltanto con il passare dei mesi e con l'avanzare della sua gravidanza, che Gaston si sciolse appena con lei: nonostante il suo duro cipiglio, rivelò il suo latto protettivo e, ben nascosto, persino affettuoso. Certo, era solito guardare a Marie come si guarda a uno sfortunato animaletto, ma lei era comunque felice delle sue attenzioni, seppur sporadiche. Dopo la nascita della loro bambina, Marie ebbe ben poco tempo per prendersene cura: solo cinque giorni dopo, quell'improvviso malore la colse e la costrinse a letto. Per l'ultima volta.

Sepolta sotto quelle pesanti coperte, a Marie sembrava di soffocare. La luce smorta delle lampade si faceva sempre più spenta e soffusa, e le voci sommesse delle persone che circondavano il suo capezzale erano vaghe e lontane. Gaston era lì con lei, sentiva la sua voce. Il suo più grande rammarico era di non essere riuscita a stargli vicino per crescere loro figlia. Anne Marie sarebbe diventata l'ennesimo strumento politico nei giochi di potere della corte reale, lo sapeva Marie così come lo sapeva Gaston. Non che vivendo avrebbe potuto evitarlo, ma, forse, avrebbero potuto trovare una soluzione insieme, una via di fuga lontano dalle grinfie di Richelieu, che avrebbe loro permesso di vivere come una normale famiglia. Non li voleva lasciare... lì, sdraiata su quel letto ricoperta di sudore gelido, mentre sentiva il buio della morte fagocitarla, avrebbe fatto qualsiasi cosa per avere altro tempo con suo marito e con sua figlia. Non ci sarebbe mai stato prezzo troppo alto da pagare.

Era nel letto, si sentiva fradicia di sudore e gli occhi erano velati di lacrime, quasi ciechi. I suoni dell'ambiente che la circondavano erano ovattati e giungevano da un mondo lontano e dimenticato. Tremando, spostò la testa verso il lato sinistro del letto, dove una donna si era chinata su di lei: era vestita con un abito nero e dei lunghi capelli corvini le ricadevano sciolti lungo tutto il corpo, fin oltre i fianchi. Le lacrime le appannavano la vista e Marie non fu capace di scorgere il volto della dama che si era avvicinata per sussurrarle all'orecchio. Si chiese chi fosse, forse una donna della servitù? Non ve n'era nessuna con quella capigliatura poco consona.

«Qualsiasi cosa?» le chiese la donna. La voce era bassa, quasi un sussurro suadente.

Marie spalancò gli occhi, provando a carpire i lineamenti del volto, ma le fu impossibile.

«Faresti qualsiasi cosa per avere altro tempo con loro,» mormorò la sconosciuta. Le appoggiò una mano sull'avambraccio; le dita erano ossute e fredde, e Marie sentì un brivido scuoterle con violenza tutto il corpo.

«Chi... chi sei?» chiese la giovane, strizzando gli occhi e ansimando.

«Io sono la Signora e ti darò quello che necessiti per proteggerli,» rispose. Il suo volto era sempre più vicino, ma i lineamenti erano confusi e vorticanti, come se mille facce si sovrapponessero, facce che giungevano dal suo passato e dai suoi ricordi. «Che cosa sei disposta a dare tu?»

«Tutto...» fu il flebile sussurro di Marie.

La donna attese qualche secondo, poi le sue dita si strinsero con forza sulla pelle candida della moribonda.

«Lo accetto,» constatò la sconosciuta. «Combatti per me, fino al giorno in cui non verrai richiamata al mio cospetto.»

La ragazza annuì appena.

«Quando avverrà?» chiese.

La donna dai lunghi capelli prese fiato per un istante.

«Quando colui che non mi conosce uscirà allo scoperto, tu ti ergerai a baluardo per la salvezza del mondo,» esalò, con uno sinistro tono profetico. «Quando giungerà il giorno in cui il fantasma di Inbhir Nis si rivelerà per ciò che è, il tuo mandato potrà finire e, insieme, tornerete al mio cospetto.»

Marie non capì. La donna aveva parlato di cose che andavano ben oltre la sua conoscenza. In quel momento la sua mente era occupata da un solo pensiero: avrebbe avuto un modo per proteggere Gaston e Anne Marie da lui.

Aprendosi in un pallido sorriso, la giovane chiuse gli occhi stanchi e brucianti. La luce intorno a lei si era oscurata del tutto, scagliandola infine verso l'ultimo tenebroso viaggio.

Quando riaprì gli occhi si trovava all'esterno. Era notte e una pioggia torrenziale si scagliava contro di lei; il lungo abito bianco era appesantito dall'acqua e dal fango, e sembrava quasi ancorarla all'umido terriccio su cui stava sdraiata. I suoi ricordi erano offuscati e frammentati: ricordava la Signora, ricordava Gaston e Anne Marie, ricordava di essere fuggita da quella chiesa dove l'avevano...

Marie si ribaltò nel fango in preda a un forte conato. Rimase in quella posizione per una buona manciata di minuti, mentre l'acqua le colava dai lunghi capelli biondi, tracciando larghi rivoli su tutto il volto. Rimase immobile il tempo necessario per accettare pienamente la realtà dei fatti: Marie de Bourbon era morta alla giovane età di ventidue anni. Non c'era alcun dubbio sulla sua condizione: si sentiva i polmoni vuoti e il cuore immobile; non percepiva più nessuna delle sensazione che avrebbe dovuto provare, che fosse il freddo o il disagio per la pioggia battente che la stava percuotendo. Lei era morta, eppure le era stata data l'opportunità di continuare a camminare sullo stesso suolo che percorrevano le persone da lei amate. Ripensò alla Signora e si accorse di capire tutto alla perfezione, come se le conoscenze di cui aveva bisogno le fossero state inculcate a forza nel cervello. La Morte stessa si era palesata e aveva stretto un patto con lei. Che cosa la Signora potesse guadagnare da quell'accordo, Marie non se lo chiese; l'unica cosa che le importava era avere altro tempo a disposizione e una nuova forza per proteggere la sua famiglia. Non avrebbe gettato via quel dono.

Gli anni passarono come fossero stati giorni, per Marie. Aveva atteso di conoscere e controllare la sua nuova condizione prima di palesarsi agli occhi di Gaston, che era quasi morto dal terrore quando l'aveva vista fare irruzione nella sua stanza da una delle finestre del palazzo. L'aveva chiamata mostro, ma lei non se l'era presa: mostro era esattamente ciò che aveva scelto di diventare. Per fare in modo di stare al fianco di suo marito, Marie si tagliò i lunghi boccoli dorati che aveva tanto amato in vita e si conferì un falso nome, diventando Charlotte Boucher.

Gaston sapeva che non si sarebbe mai sentito al sicuro finché lo spregevole primo ministro del Re fosse rimasto in vita; il cardinale Armand-Jean du Plessis de Richelieu aveva manipolato la sua vita e quella di molti altri, trasformando lui e quelli che gli gravitavano intorno in meri burattini nei suoi giochi politici. Re Luigi sembrava non rendersi conto di quanto infido fosse quell'uomo, forse perché la monarchia era sempre uscita rafforzata da ogni macchinazione che Richelieu aveva elaborato. La realtà dei fatti era che più potere il Re toglieva ai nobili, più potere il suo primo ministro otteneva: le sue politiche si stavano rivelando devastanti per il loro paese, soprattutto la sua ultima decisione di impegnare la Francia in una guerra contro la Spagna. Quel conflitto non avrebbe portato nulla di buono e Gaston sapeva che era stata una scelta dettata unicamente dalla sete di potere dell'uomo, che sembrava non esaurirsi mai.

Quella nuova vita come Charlotte, per quanto resa complicata dalle ingerenze dettate dalla sua terribile condizione, le stava dando l'occasione per stare al fianco di sua figlia: vederla crescere, anche se a distanza, la riempiva di una gioia che non aveva mai provato prima di quel momento. Non si dimenticò mai, comunque, il suo scopo e non passava giorno senza che la rediviva non sviluppasse i suoi poteri sovrannaturali e le sue capacità di combattimento; tutto aveva un unico scopo: uccidere Richelieu ed eliminare così l'ombra minacciosa che copriva la sua famiglia.

L'occasione per farlo si presentò nei primi mesi del 1642. Charlotte non era interessata agli intrighi politici che Gaston stava intessendo con altri nobili per concludere le ostilità con la Spagna, l'unica cosa che le importava era l'eliminazione del loro avversario. Il piano era semplice: un contingente di soldati spagnoli si sarebbe unito ai cospiratori per sconfiggere la polizia del Cardinale, ma ci sarebbe stato soltanto un modo per concludere quella storia con il minor numero di vittime. Richelieu andava assassinato prima che potesse scoprire il piano e mettere in moto i suoi uomini, e quel compito sarebbe toccato alla vampira; sfruttando le sue capacità, si sarebbe introdotta negli appartamenti del consigliere del Re e avrebbe messo fine al delirio di potere di quell'uomo.

La notte del 16 febbraio, Charlotte eluse la sorveglianza del palazzo e s'insinuò, silenziosa come un fantasma, all'interno delle stanze del Cardinale. Era notte inoltrata e la vampira contava di trovare il bersaglio profondamente addormentato, in modo da concludere la sua missione con un singolo colpo di spada. Nessuno, però, conosceva la verità celata dietro alla figura del cardinale Richelieu.

Lui era sveglio. Quando la vampira spalancò, silenziosa, le porte pesantemente ornate della stanza, la figura alta e spigolosa del Cardinale la stava attendendo: era in piedi al centro della grande e sontuosa camera da letto, la lanterna a olio appoggiata sullo scrittoio disegnava lunghe ombre in tutto l'ambiente e la fiammella, danzando, si rifletteva negli intensi occhi scuri dell'uomo, fissati con insistenza su di lei. Charlotte tremò di paura, una paura che non riuscì a spiegarsi. Come poteva un essere generato dalla Morte stessa, come lei, rabbrividire dinanzi a un uomo?

«Marie,» la salutò lui con tono sommesso. La voce melliflua si propagò, forte come un uragano, in tutta la stanza. «Non credevo che ti avrei rivista, dopo il giorno del tuo funerale.»

Che cosa c'era di diverso in lui? Era sempre lo stesso vecchio diabolico che aveva manovrato le vite di tante persone, eppure Charlotte vedeva delle differenze. Erano i suoi occhi, molto più intensi, vispi e, allo stesso tempo, più antichi, come se avessero visto il trascorrere di innumerevoli secoli. Era la prima volta che incontrava Richelieu da quando aveva stretto il patto con la Signora, possibile che i suoi nuovi sensi fossero in grado di percepire cose che nessun mortale avrebbe potuto notare? No, non era quello il momento per porsi quelle domande: aveva di fronte il suo nemico, non poteva esitare, le vite delle persone che amava dipendevano da lei.

«Sarà l'ultima volta,» ringhiò Charlotte.

Veloce come un lampo fu su di lui, il movimento della spada impossibile da seguire con occhio umano. La lama trafisse il busto dell'uomo all'altezza del cuore, trapassò la cassa toracica e riemerse dalla schiena. Il corpo del Cardinale venne scosso da un tremito e un gemito di sofferenza fuoriuscì dalle sue secche labbra aperte. Era finita, ce l'aveva fatta. Nel giro di poche ore, la polizia del Cardinale sarebbe stata sopraffatta dalle forze dei congiurati e il Re sarebbe stato preso in custodia da Gaston che gli sarebbe succeduto al trono. Nessuno avrebbe più giocato con le loro vite e Anne Marie sarebbe stata libera dal giogo politico della corte reale.

«Ti preferivo con i capelli lunghi, Marie.»

La voce di Richelieu la percosse come uno schiaffo di rovescio. Con un gesto fluido, la vampira ritrasse l'arma e saltò all'indietro di qualche metro. Con gli occhi sbarrati vide il Cardinale portarsi la mano al petto e toccare distrattamente la ferita aperta dalla quale non usciva neanche un rivolo di sangue.

«È stato un bel tentativo, lo devo ammettere,» continuò l'uomo, un mezzo sorriso si era disegnato sotto i suoi baffetti grigi. «Purtroppo, non otterrai nulla in questo modo.»

Charlotte era paralizzata dalla paura: pensava che, una volta tornata in vita, nulla avrebbe più potuto spaventarla; eppure in quella stanza, osservando i sinistri giochi di ombre sul volto di Richelieu, lei provò terrore. Era anche lui come lei? No, il suo odore era del tutto umano e mortale e poteva sentire distintamente il cuore, anche se trafitto, battere con ritmo regolare e costante. Ma la ferita era chiara e visibile, non aveva mancato il bersaglio.

«Lo so che cosa ti stai chiedendo, Marie,» disse lui, con un pigro passo strascicato in avanti. «La stessa domanda me la pongo anch'io ogni giorno, da lungo tempo. La risposta, purtroppo, non piace a me come non piace a te.»

«Chi diavolo sei tu?» sibilò Charlotte, alzando la sottile spada davanti a sé, in un vano gesto di protezione.

«Voglio essere onesto con te,» esordì Richelieu. Il suo volto non tradiva alcun sentimento. «Credo di dovertelo, dopotutto ti ho uccisa, avvelenandoti poco dopo il tuo parto.»

Aveva imparato in quegli anni che i vampiri non hanno lacrime da versare. I sentimenti continuano a flagellare la loro anima, ma il corpo, ridotto a un mero guscio vuoto senza vita, non è più capace di rispondere agli stimoli fisiologici. Charlotte, in quel momento, avrebbe solo voluto buttarsi a terra e piangere fiumi di lacrime, ma i suoi occhi erano aridi e l'incapacità di lasciarsi andare come poteva fare in vita le dilaniò l'anima stessa. Vide i suoi occhi spenti riflessi in quelli privi di emozioni di Richelieu e la voce di Gaston le sussurrò all'orecchio ciò che era diventata: mostro.

«Il mio nome è Cailean. Mi dispiace dover porre fine a questa tua nuova... vita, se così vuoi chiamarla.» Alzò la mano davanti al viso e un globo di fiamme comparve dal nulla sul palmo, illuminando i lineamenti spigolosi del diabolico vecchio. «Ho già ucciso altri con la tua stessa maledizione. Devi essermi grata, perché ti sto liberando di un enorme fardello.»

Con un bagliore di luce, la palla di fuoco si mosse veloce verso Charlotte. Terrorizzata, sì, ma non abbastanza da non poter reagire, la vampira scartò di lato e si lanciò in un disperata corsa verso i finestroni che si aprivano sulla parete ovest della stanza. Sentì il calore del fuoco che si espandeva a pochi centimetri dalla sua schiena e una nuova ondata di paura l'assalì; il corpo di un vampiro è resistente e impossibile da distruggere con qualsiasi mezzo terreno, fatta eccezione per il fuoco, che lo dilania fino a consumarlo completamente. Richelieu lo sapeva. Non era un normale essere umano, non bastava l'odore a nascondere ciò che era.

«Addio, Marie,» lo sentì urlare, per sovrastare il rumore delle fiamme che stavano crepitando dietro di lei, lambendo le pareti e il pavimento della camera.

Successe tutto molto rapidamente: Charlotte spiccò un balzo verso le finestre chiuse e, nello stesso momento in cui il suo corpo infrangeva i vetri, un secondo proiettile di fuoco la colpì sulla parte sinistra del corpo, investendole il bacino, il braccio e la gamba. Urlò di dolore mentre volava a mezz'aria fuori dalla finestra e cadeva verso il basso per quattro metri, andando infine a scontrarsi contro il duro selciato del cortile interno del palazzo. I vestiti erano ancora in fiamme e la pelle e la carne sotto di essi crepitava in modo sinistro, mentre le lingue di fuoco scarlatto la divoravano. Urlando, il cervello annebbiato da un dolore che mai aveva sperimentato, si rialzò e si lanciò in una corsa sfrenata verso sud. Non si voltò a cercare la finestra delle stanze del Cardinale, sapeva che lui era ancora lì e che scrutava con quei suoi terrificanti occhi la sagoma della vampira sul punto di bruciare viva che stava correndo all'impazzata, fuggendo dalla sua stessa fine.

Il dolore era atroce, insostenibile. Non era una sofferenza fisica, ma spirituale. La sua anima maledetta era stata richiamata e ricacciata a forza dentro quell'involucro terreno che si stava lentamente consumando e sfaldando; il dolore che il corpo morto non poteva provare era invece trasferito al suo spirito, che le rimandava la sofferenza amplificata mille volte. Era peggio di morire, voleva solo che la sofferenza finisse, che la Signora arrivasse e si prendesse per sempre la sua anima. Urlava così forte che tutta Parigi si sarebbe potuta svegliare.

Corse veloce, il fuoco impazzava intorno a lei e si faceva sempre più affamato al contatto con l'aria frizzante della notte. Con una forza d'animo sovrumana, Charlotte mantenne il controllo: sapeva bene dove andare e la sua meta, per fortuna, non era così distante. Le sue gambe correvano a velocità impossibile per un essere mortale e, nel giro di pochi tremendi secondi, la vampira raggiunse l'argine del fiume. Senza indugiare oltre, spiccò un balzo e si gettò nelle gelide acque della Senna.

Perse conoscenza pochi istante dopo aver soffocato le fiamme che lambivano il suo corpo.

Era così immersa in quella rievocazione mentale di quell'orribile notte, che Charlotte non si era neanche resa conto di aver passeggiato per gran parte di villa Archi e di aver raggiunto la taverna nel seminterrato. Il ricordo del suo primo incontro con Cailean Dow era impresso nella sua mente come un marchio stampato con un ferro rovente. Dopo quel giorno nulla era stato più come prima, e lei aveva iniziato a inseguire la misteriosa figura di quell'uomo. Fino a quel momento. Aveva, però, ottenuto la piena consapevolezza su ciò che stava facendo soltanto da pochi giorni e la conferma le era arrivata nella giornata di ieri, grazie a una visita in una casa infestata.

«Colui che non mi conosce...» commentò la francese tra sé e sé, mentre scrutava un angolo buio. «La Signora è stata fin troppo chiara. Avrei dovuto capirlo ben prima.»

Un piccolo corridoio conduceva, dalla spaziosa taverna, in una cucina ampia e moderna, ricordava quasi quella di un ristorante professionale. Non troppo distante dall'imboccatura del corridoio c'era, incassato nella parete, un grosso quadro elettrico; doveva essere da lì che si regolava l'impianto di tutta la casa.

Eppure, qualcosa non tornava in quella faccenda. Perché rapire i due giovani maghi e mettere in allarme tutta la loro comunità? Cailean non aveva mai sbagliato una mossa durante la sua lunga vita, si era alleato con i più potenti e aveva sempre sfruttato le situazioni a lui favorevoli. Quindi perché esporsi in quel modo? E, soprattutto, perché lasciarli fuggire così facilmente?

Charlotte si chinò sul quadro elettrico e alzò una a una le varie levette per ridare energia all'abitazione. Il forte rombo di un tuono esploso all'esterno si propagò fino a lei, segno che l'intensità del temporale non accennava a diminuire.

Non avrebbe sbagliato ancora. Cailean aveva un piano; lui non lasciava mai nulla al caso, ma la vampira era convinta che quella sarebbe stata la volta giusta. Era consapevole, finalmente, di aver raggiunto lo scopo della sua seconda esistenza. Era quello che la Signora voleva da lei: avrebbe dovuto uccidere lo Spettro di Inbhir Nis, colui che non voleva morire.

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