Capitolo 19. L'invitato inaspettato

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Una volta concluso il racconto, le parole di Michela vennero seguite soltanto da un silenzio carico di imbarazzo. Era stata chiara ed esaustiva e si era presa tutto il tempo necessario per spiegare la situazione al meglio, senza sorvolare su alcun particolare dell'intricata vicenda. In quei lunghi attimi di quiete, la maga si ritrovò a chiedersi con angoscia quale sarebbe stata la reazione delle persone dinanzi a lei; la risposta non tardò ad arrivare per mezzo di Francesco Fieschi.

«Sembra un fantasioso racconto,» disse il giovane capofamiglia, rompendo il silenzio.

Gli occhi di Michela saettarono verso il suo volto spigoloso e aprì la bocca per ribattere, ma suo padre l'anticipò di qualche secondo.

«Stai forse mettendo in dubbio il racconto di mia figlia?» chiese con tono calmo, ma che lasciava spazio a un'appena accennata sfumatura di minaccia.

«Non lo farei mai!» rispose Francesco, alzando entrambe le mani in segno di resa. «Gli altri, però, dovranno ammettere che la storia è alquanto... incredibile.»

«Di preciso, cos'è che non ti convince?» chiese Cassandra Doria con tono seccato.

«Non prendere queste mie parole come un'offesa, Cassandra,» iniziò Francesco, voltandosi verso di lei, «ma la storia dell'essere immortale è difficile da digerire anche per noi. Non può esistere una persona che rompa le leggi della natura a tal punto.»

«È solo una leggenda,» incalzò Erika Guarneri con voce dubbiosa. «Non andrebbe presa così alla lettera.»

«E il racconto di Charlotte?» chiese Michela in un sussurro. L'angoscia di pochi minuti prima stava lasciando spazio all'irritazione, e si conosceva abbastanza bene da sapere che era a un passo dall'urlare addosso a quel raduno di teste di cazzo.

«State confidando in una sconosciuta,» le rispose Erika, corrugando la fronte. «I vampiri non sono esseri mentalmente equilibrati, non avreste dovuto fidarvi di lei a tal punto.»

«Io credo che vi stiate concentrando sull'elemento sbagliato del racconto,» disse Ivan Graziani; si era alzato in piedi e, dall'alto del suo metro e novanta abbondante, sembrava sovrastare come una montagna gli altri presenti. «Non si può negare che qualcuno abbia rapito i due ragazzi e presumo saremo tutti d'accordo nel dire che questo sia un deliberato attacco alla nostra società.»

Era paradossale che fosse proprio un Graziani la principale voce a sostegno di Michela, ma il vero scopo dell'astuto capofamiglia le era ben chiaro. Da anni combatteva perché i maghi uscissero alla scoperto e prendessero il loro posto nella società moderna senza doversi più nascondere, ma si era sempre scontrato con il veto degli altri membri dello Statuto; quell'episodio di Cailean poteva rappresentare per lui la svolta: dimostrare che esisteva qualcuno che stava minacciando lo Statuto poteva aiutarlo a far leva sugli altri maghi perché cambiassero idea sulla necessità di abolire la loro segretezza. Ivan Graziani stava, in sostanza, sfruttando la loro disavventura per fare politica e portare acqua al suo mulino.

«Dove sono Leonardo e il vampiro?» chiese Francesco, ignorando l'intervento di Ivan. «Vorrei sentire anche il loro parere.»

Gli occhi di tutti si posarono su Pamela che sembrò rannicchiarsi nella poltrona, come a volersi nascondere da tutte quelle occhiate torve che la stavano bersagliando. Michela iniziò a sudare copiosamente e cercò con le dita il colletto del maglione scuro che indossava, tirandolo per provare ad allentare la tensione che percepiva sulla gola. Con la coda dell'occhio intercettò lo sguardo imperscrutabile del padre; l'uomo non disse o non fece nulla di particolare, ma lo conosceva abbastanza bene da sapere che cosa le volesse trasmettere.

«Leonardo... non è qui,» rispose Michela, schiarendosi la gola a metà frase per nascondere un colpo di tosse. «È uscito oggi pomeriggio con Kelhatyel, ma non sono ancora tornati. Charlotte è fuori a cercarli.»

Ci fu un lieve brusio ed Erika Guarneri spalancò le braccia, sgomenta.

«E perché non ce l'avete detto subito?» chiese la donna, corrugando il viso paffutello.

«Non volevamo che—» iniziò Michela, ma venne interrotta bruscamente.

«Non volevate che pensassimo che non avete il controllo della situazione,» proruppe Francesco Fieschi, puntando il dito contro di lei, per poi rivolgersi a Giovanni Guelfi. «Sono davvero colpito: alcuni uomini rapiscono tua figlia, lei torna con un racconto discutibile e tu lasci una ragazzina a gestire tutta la situazione?»

Suo papà non rispose, si limitò a sostenere l'astioso sguardo del Fieschi in silenzio. Michela abbassò il capo, più che altro per provare a celare il rossore che le stava infiammando il volto; avrebbe tanto voluto attraversare la sala a grandi falcate e tirare un pugno nella pancia a quello stronzo di un Fieschi! D'altra parte, però, doveva ammettere che l'uomo non aveva tutti i torti: le si stavano sgretolando davanti agli occhi tutti i progetti che aveva fatto insieme ai suoi compagni, persino quel meeting così tanto atteso stava prendendo una bruttissima piega. Si voltò a cercare gli occhi di suo padre, ma lui non la stava guardando. L'aveva deluso ancora, ne era certa. Aveva avuto l'occasione per mostrargli di essere davvero capace di diventare come lui, ma aveva fallito.

«Per favore, signori,» disse Ferdinando Doria, alzando la mano per provare ad attirare su di sé l'attenzione. «Per favore, ricordiamoci perché siamo qui: non dovremmo combattere tra di noi, ma dovremmo farlo insieme contro il nemico là fuori.»

«Belle parole, come sempre, Ferdinando,» gli rispose Ivan, «ma non riesco a fidarmi di un Guelfi, non così alla cieca. Non è la prima volta che qualcuno prova a mettere la sua famiglia in una posizione di vantaggio sulle altre, chi mi assicura che questa non sia una montatura per ottenere qualcosa da noi?»

Michela spalancò gli occhi, inorridita di fronte a quelle aspre parole, ma fu sua madre ad alzarsi dal divano e a prendere parola, con il volto livido per la rabbia.

«Come osi accusarci di una cosa simile?» urlò Marta.

L'uomo parve a disagio, perché abbasso lo sguardo alla ricerca del bicchiere che aveva appoggiato sul tavolo.

«Ho solo dato voce a quello che stanno pensando tutti,» rispose, dopo un attimo di indecisione.

«Che prove ci sono che quello che avete raccontato è la verità?» incalzò Francesco. «Sono disposto a scusarmi se ci mostrerete ciò che avete.»

Michela soppesò le parole dell'uomo e si rese conto di non poter offrire nulla. Charlotte sarebbe stata capace di convincere tutti quanti, ma lei non c'era. Avrebbe potuto chiedere ai Doria di usare uno dei loro incantesimi per richiamare lo spirito di Giorgio Archi e usarlo come testimone, ma temeva che non sarebbe stato sufficiente a convincere le altre famiglie. Era davanti a un vicolo cieco. Nelle sue previsioni, lo spetto di una minaccia tangibile avrebbe dovuto cancellare le storiche diffidenze che avevano diviso le famiglie, proprio come era successo con lei e Leonardo, ma doveva rassegnarsi al fatto che certe abitudini sono difficili da sradicare e che la diffidenza è persino più forte della paura.

Stava per prendere la parola, quando qualcosa la bloccò. Fu una sensazione strana che non aveva mai provato in tutta la sua vita: un lieve formicolio sul retro del collo, alla base della nuca, che si espanse, repentino, in tutto il corpo, provocandole un tremito, come un brivido di freddo. Corrugò la fronte e si voltò verso i genitori, rendendosi conto che anche loro avevano percepito la stessa cosa: sua mamma pareva sorpresa e si guardava intorno, zio Aldo si stava alzando in piedi e sul volto di suo padre era dipinta un'espressione di... possibile che fosse paura?

«Che cos'è?»

Sentì Erika Guarneri pronunciare quelle semplici parole, poi ogni altro rumore venne sovrastato dal frastuono di vetri infranti che riempì tutto il grande salone. Ne seguì un immediato e violento rumore di passi pesanti, causato da un gruppo di persone che aveva frantumato le vetrate della veranda e aveva fatto irruzione all'interno, puntando dei fucili d'assalto scuri contro il basito gruppo di maghi. Mentre il sangue le si congelava nelle vene, Michela espanse la coscienza alla ricerca della connessione con la Trama per erigere una barriera magica tra loro e gli uomini armati, ma non accadde nulla. Le bastò una frazione di secondo per accorgersi di non percepire la Trama. Il classico calore e formicolio sulla pelle che lasciava presagire la vicinanza all'energia arcana era scomparso, sostituito da un'opprimenti sensazione di freddo e di solitudine: era come se tutto il corpo fosse circondato dal ghiaccio, ibernato per il resto dell'eternità; era separata da tutto il resto del mondo e dimenticata da tutti i suoi cari. Qualunque cosa l'avesse causata, era la sensazione più brutta che avesse mai provato in tutta la vita. Malgrado la situazione disperata, malgrado sentisse il mondo intorno ovattato, come in un sogno, per Michela fu impossibile non pensare al racconto dello spettro di Giorgio Archi e alla barriera che Colin Dove aveva eretto intorno al suo ufficio per impedire l'uso della magia.

«Fermi!» urlò uno degli uomini, puntando la canna dell'arma contro di lei. Michela rabbrividì e rischiò di perdere il controllo sulla vescica. «Non fate un solo movimento.»

Michela era paralizzata dal terrore, non capiva se per l'arma puntata contro di lei o per la consapevolezza di essere stata brutalmente tagliata fuori dalla Trama. Non le piaceva, la faceva sentire debole e inutile, ancora più di quanto non si fosse già sentita durante quell'orribile serata. Lanciò un rapido sguardo obliquo alla sua famiglia per constatare quanto anche loro sembrassero congelati dalla paura, immobili come pesci appena pescati che avevano esaurito il poco ossigeno rimasto.

Un forte rumore alle spalle spezzò il ronzio che le stava riempiendo le orecchie; con un movimento appena percettibile, spostò il capo abbastanza per contare altri quattro uomini in tenuta da combattimento che avevano sfondato la porta d'ingresso e si erano disposti lungo la parete, sempre puntando le loro armi contro le persone lì riunite.

Rimasero in quella posizione per una manciata di secondi, che passarono lenti come gli ultimi minuti di scuola dello scolaretto che guarda in continuazione l'orologio in attesa della campanella. Per Michela, però, il suono della campanella poteva voler dire qualcosa di ben peggiore: per quel che ne sapeva, potevano essere quelle armi a suonare la fine della lezione. Lo stomaco condensò tutta la paura che aveva in un intenso senso di nausea che le risalì tutto l'esofago fino alla gola, e un formicolio al basso ventre la costrinse a stringere le cosce, pregando qualsiasi dio di darle la forza di controllarsi. Sarebbe stata l'umiliazione finale per suo padre sapere che Michela Guelfi era morta pisciandosi sotto dalla paura.

«Spero perdonerete l'intrusione, ma non credo che sarei stato ben accetto tra gli invitati.»

La voce era fredda e impersonale e giungeva dall'ultimo arrivato; le bastò uno sguardo per ricordare le parole di Giorgio Archi e rendersi conto di trovarsi di fronte a Cailean Dow.

Il giovane dai capelli rossicci spostò i suoi occhi glaciali sui presenti e fece spallucce quando ricevette solo sguardi basiti come risposta.

«Mi è stato detto che avreste discusso di me e trovo molto scortese parlare di qualcuno che non è presente, pertanto ho deciso di invitarmi da solo al vostro meeting,» continuò lui, facendo un passo all'interno della sala.

Michela non riuscì a sostenere quegli occhi così freddi e dovette spostare lo sguardo verso l'ingresso divelto, solo per venire schiaffeggiata da ciò che l'accolse: Kelhatyel stava immobile davanti al telaio del portone, sembrava piuttosto malconcio perché la parte sinistra del volto era coperta da un pesante strato di garze bianche che ricopriva anche parte della nuca; l'unico occhio visibile era striato di venature rossastre e fissava lei con insistenza, mettendola a disagio.

La giovane Guelfi aveva più volte guardato con sospetto al taciturno elfo, ma vederlo ricomparire insieme al nemico che dovevano affrontare... no, non era pronta, non aveva mai pensato che potesse accadere una cosa simile. In tutto quello che stava succedendo, comunque, lo smacco più grande fu rivedere Kelhatyel e non Leonardo; doveva essere stato proprio il suo nuovo amico il primo a cadere nella tela che si stava tracciando intorno a loro. Si morse l'interno del labbro per trattenere le lacrime. Era solo una stupida e non avrebbe mai potuto cambiare nulla del mondo, suo padre aveva ragione... lei non era come lui, non lo sarebbe mai stata.

«Non sono qui per una visita di piacere, comunque,» continuò Cailean, aprendosi i primi bottoni della giacca a vento che indossava. «Ho un lavoro da fare nel quale voi ricoprirete un ruolo fondamentale.»

Fece un cenno con il capo e uno degli uomini armati intimò a tutti quanti di uscire dall'edificio.

«Su, avanti. Non abbiamo tempo da perdere,» esortò ancora Cailean, dando le spalle al gruppo di prigionieri, diretto verso la porta.

«Non credere che ti sarà facile,» commentò Ferdinando Doria con un sorriso di superiorità. Era sempre seduto sulla poltrona e non aveva mosso neanche un muscolo; come faceva a sembrare così tranquillo? «Qualunque cosa tu abbia in mente, dovresti saperlo meglio di tutti noi: la Signora non viene mai sconfitta.»

Il giovane si bloccò di scatto, come se percosso da una mano invisibile. Non si voltò, però, a ricambiare lo sguardo di Ferdinando.

«La Signora...» ripeté con un filo di voce. «Visto che ci tieni tanto, avvisala che sto arrivando.»

Michela si sentì mancare quando vide Kelhatyel alzare il braccio che reggeva una pistola. Fece per emettere un grido, ma il suo debole fiato venne coperto dall'esplosione dell'arma. Il proiettile centrò in pieno la fronte dell'anziano Doria, spargendo uno schizzo di sangue scuro sul mobilio circostante e sul bel vestito blu di Cassandra. La donna si portò le mani alla bocca, inorridita davanti alla vista del volto esanime del padre, e cacciò un acuto urlo di sofferenza.

Michela era come anestetizzata, e il mondo intorno a lei si stava facendo sempre più distante e nebbioso. Immersa in quella sensazione simile a un sogno lucido, vide Cailean imboccare la porta e scomparire alla vista; non sentì neanche quello che Kelhatyel stava dicendo, vide soltanto le sue labbra muoversi e gli altri uomini farsi avanti sui maghi dello Statuto. Si sentì afferrare per l'avambraccio e venne spinta verso l'uscita; di norma avrebbe provato a ribellarsi, ma in quel momento le sembrava incredibile che riuscisse a reggersi in piedi da sola.

Alcuni dei soldati appoggiarono a terra le armi ed estrassero da una valigetta delle banali manette metalliche con le quali chiusero i polsi di ciascuno dei loro prigionieri. Quando il freddo metallo le morse la pelle dei polsi, Michela si sentì ancora più debole e sul punto di cedere, tanto che uno degli aguzzini dovette sorreggerla per le spalle. Attraverso i fumosi pensieri che le annebbiavano la mente, riaffiorarono i ricordi delle corde magiche che avevano imprigionato Charlotte, segno che il suo cervello era ancora attivo, malgrado il puttanaio in cui si era ritrovata. In un ultimo barlume di coscienza, Michela fu certa di non avere più alcun modo per liberarsi da quella situazione.

Uscì da villa Archi insieme al resto della sua famiglia; nessuno parlava, tutti avevano gli occhi rivolti verso il pavimento. Sembravano dei prigionieri di guerra, fatti sfilare davanti alle folle concitante ed esultanti per quella vittoria su di loro. Michela alzò lo sguardo solo quando arrivò vicino alla porta: incrociò l'unico occhio visibile di Kelhatyel e lesse soddisfazione sotto la patina d'indifferenza che gli avvolgeva la pupilla. Le stava silenziosamente dicendo che aveva vinto lui, e la maga poco poteva fare per provare a ribaltare quella situazione.

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