Capitolo 3. Il prezzo da pagare

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Leonardo ebbe modo di osservare tutte le sfumature del cambio di espressione sul volto della Guelfi: se inizialmente Michela aveva, per la prima volta, sfoggiato un sorriso, dopo averle chiesto come pensava di liberarsi da quella cella, le labbra le si erano arricciate in una curiosa espressione prima di sbigottimento, poi di rabbia controllata. Si accorse subito che quella non era la frase che Michela si sarebbe aspettata da lui in quell'occasione.

«Sei serio?» sibilò lei dopo qualche secondo di silenzio, socchiudendo appena i grandi occhi.

Leonardo rimase ammutolito, non sapendo che cosa si volesse sentir dire.

«Sei un Archi, cazzo!» proruppe lei.

Le parole rimbalzarono contro le nude pareti e Leonardo si ritrasse di un passo, temendo quasi che la ragazza potesse scagliarsi contro di lui.

Solo allora capì dove lei volesse andare a parare: la magia. Ovvio, che cosa se no? Tutto lo riconduceva sempre lì, a quel momento in cui sarebbe stato costretto a usare di nuovo quel potere. Corrugò la fronte e chiuse gli occhi per svincolarsi almeno un istante da quei tizzoni color smeraldo che lo fissavano con insistenza.

«Io non uso la magia,» sentenziò deciso, ma la voce tradiva esitazione.

Michela rimase allibita a fissarlo per qualche secondo prima di tornare a parlare con un filo di voce.

«Sei un mago, Santo Dio!» sussurrò, ma la forza di cui quelle parole vibravano lo percosse come un pugno nello stomaco. «Hai un dono per cui molti altri ucciderebbero. Che cazzo vuol dire che non usi la magia?»

Accigliato, lui abbassò lo sguardo a fissarsi i piedi. Aveva promesso. No, quello che aveva fatto era qualcosa di molto più forte di una promessa: aveva giurato. Aveva giurato che mai più si sarebbe sentito dipendente da quell'energia corrotta. La magia non dava, pretendeva soltanto e non restituiva mai.

«Il mio non è un dono,» mormorò, fissando con insistenza le stringhe delle scarpe da ginnastica.

Michela si sporse in avanti e afferrò entrambe le spalle del ragazzo, con un lieve ma autoritario strattone lo costrinse ad alzare gli occhi su di lei: sembrava poter esplodere da un momento all'altro.

«Il tuo potere ci farà uscire da qui e ci farà trovare la persona che ci ha rapiti.» Parlava piano, tentando di mantenere il controllo, ma l'impazienza era evidente in ogni sillaba delle sue parole. «Tu sei un Archi. Con le tue capacità puoi distruggere quella porta.»

«Quel potere ha un prezzo troppo alto,» ribatté lui, distogliendo lo sguardo e scostandosi dalle mani della maga. «Nessuno di noi è in grado di pagarlo, alla fine.»

Con la coda dell'occhio vide Michela fare un passo indietro. Si prese coraggio e le lanciò uno sguardo obliquo: le labbra non erano più serrate e le sopracciglia erano più rilassate, come se l'attimo di rabbia che l'aveva travolta poco prima fosse un vago ricordo.

«La magia ci aiuta nelle nostre vite ed è naturale che abbia un prezzo,» disse; parlava sempre con tono sommesso, ma Leonardo non percepì alcuna rabbia nella voce «ma tutto può essere pagato, basta trovarne il modo.»

Era molto semplice per lei parlare in quella maniera: la sua famiglia era ricca e potente, non aveva dovuto passare gli ultimi anni della vita a stringere i denti per non farsi mangiare dagli avvoltoi che svolazzavano intorno alla carcassa della sua famiglia! Il casato Guelfi incuteva timore al solo parlarne. Ma la magia non avrebbe risparmiato neanche loro, alla fine.

«La magia non ha aiutato mio padre,» mormorò lui, abbassando gli occhi.

La magia non aveva salvato Giorgio Archi. Quel potere desiderato da tutti non era stato abbastanza per impedire che si togliesse la vita. Perché votare la propria esistenza a un potere pericoloso e inaffidabile? Nel momento della loro morte, non sarebbe comparsa nessuna energia ultraterrena a salvarli. Davanti al suo cadavere, Leonardo aveva giurato che la magia non avrebbe mai più definito la sua essenza, avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni come una persona libera. Malgrado quello che diceva sua mamma, quel potere non aveva significato altro che morte e disperazione per loro.

«Senti, Leonardo,» sospirò Michela, sembrava molto stanca.

Era la prima volta che lo chiamava per nome.

«Non è stata la magia a ucciderlo,» continuò lei con tono pacato. Doveva costarle uno sforzo immane mantenere il controllo su quel carattere irruento.

«Questo lo dici tu,» replicò il mago, alzando una virtuale barriera tra loro due.

La Guelfi parlava come se conoscesse qualsiasi cosa, ma non sapeva proprio un cazzo! Non sapeva nulla di lui, della sua famiglia o di suo padre! Odiava le persone che davano tutto per scontato, ergendosi sopra gli altri con arroganza e superiorità. Cosa pensava? Che tutti avrebbero eseguito i suoi ordini a bacchetta? Tipico di un Guelfi, avrebbe dovuto saperlo.

L'evidente sforzo che Michela stava facendo per mantenere il controllo venne meno: di punto in bianco alzò le braccia al cielo con aria esasperata e urlò:

«Sai cos'altro dico?» Puntò il dito contro il petto del ragazzo che si sentì come colpito da una freccia invisibile. «Dico che sei un debole! Esattamente come tuo padre!»

Quelle parole ridestarono qualcosa da lungo tempo sopito nell'animo del ragazzo. Il volto avvampò e sentì i pugni serrarsi da soli, come mossi da un riflesso che sfuggiva al suo diretto controllo.

Michela voltò dandogli la schiena e sembrava sul punto di rimettersi a parlare con il silenzioso sconosciuto, quando qualcosa la bloccò. Ogni fruitore dell'arte arcana, a prescindere dalla parentela, sapeva percepire i movimenti nella Trama e capire se ci fosse della magia in atto intorno a lui. Per questo Leonardo non si stupì quando vide la ragazza immobilizzarsi bruscamente e rimanere impietrita sul posto: le pulsazioni magiche che avevano iniziato a fluire dal suo corpo erano evidenti e stavano inondando tutta la stanza. Non faceva più così freddo, anzi Leonardo si ritrovò ad avvampare mentre la magia circondava il suo corpo; il volto era rosso e le gote pulsavano come dopo un pomeriggio intero steso sotto il sole di agosto.

Solo per quella volta e mai più. Solo per uscire da quel posto di merda e per mostrare alla Guelfi che nessuno poteva permettersi di parlare in quel modo di un Archi. Si dice che, una volta imparato, non si dimentica più come andare in bicicletta. Era vero anche per i maghi: una volta imparato a richiamare la magia, per quanto tempo passasse, era impossibile scordarlo. Forse per loro era addirittura diverso: un essere umano non può dimenticare come si respira, un mago non può scordarsi come si richiama il potere arcano. Per molti nella loro comunità la magia era vita. Per alcuni, invece, essa era morte. Erano passati otto anni dall'ultima volta che Leonardo aveva usato quella capacità: in quel periodo l'aveva studiata e praticata solo nella teoria, tenendo freschi gli insegnamenti degli antichi testi a loro affidati, ma non aveva mai realmente messo in azione quello che aveva appreso. Ciononostante, la magia venne a lui al solo pensarlo, come se fossero passati pochi attimi dalla sua ultima volta: la sensazione di formicolio in tutto il corpo era familiare, l'energia gli fluiva attraverso i muscoli e i nervi, come se non se ne fosse mai davvero andata, e defluiva fuori dalle sue membra, travolgendo ciò che gli stava intorno.

Michela si voltò verso di lui, incerta, quasi timorosa, a guardarlo con gli occhi sgranati: il ragazzo aveva alzato le braccia per osservare impassibile i suoi arti avvolti in vampe di fuoco scarlatto che danzavano sui vestiti e sulla pelle senza toccarla; il caldo era estremo, la stanza era diventata all'improvviso un forno crematorio e la Guelfi aveva iniziato a sudare, nitide goccioline trasparenti le imperlavano la fronte e le rigavano il volto. Come il sangue sul volto del cadavere di Giorgio Archi.

«Non mancherai mai più di rispetto alla mia famiglia,» asserì il giovane Archi, piantando i suoi occhi su quelli di Michela che, in risposta, indietreggiò; un lieve tremolio le percorse la gamba sinistra. Quegli occhi così belli e pieni di fierezza, per la prima volta, erano velati di genuino terrore. Era quello lo sguardo di chi osserva la morte arrivare? Era quella la stessa luce che illuminava gli occhi di suo padre, mentre si rivolgeva addosso la pistola?

Con un movimento lento, Leonardo stese il braccio verso l'uscio, mantenendo sempre le pupille fisse su quelle della compagna di disavventura; notò che stava trattenendo il fiato, come terrorizzata dalla possibilità che quelle fiamme magiche fossero dirette verso di lei. Le lingue di fuoco, invece, ruggirono in segno d'assenso e si condensarono in un rovente flusso scarlatto che si avventò con ira contro la superficie metallica della porta: non era importante quanto resistente potesse essere al calore, la fiamma incantata degli Archi era in grado di bruciare qualsiasi cosa e si estingueva solo quando era il suo evocatore a deciderlo. Le vampate incandescenti lambirono il metallo e lo ricoprirono interamente; nel giro di qualche attimo la stanza fu invasa da un fortissimo e acre odore di bruciato che ricordava quello delle pastiglie dei freni delle auto messe sotto eccessivo sforzo. Michela si coprì la bocca con la manica della giacca e chiuse gli occhi, ma Leonardo rimase stoico dinanzi al caldo soffocante e all'odore ributtante, sentiva soltanto l'adrenalina e le scosse di energia che fluivano tra le cellule del suo corpo; era una sensazione estatica e non voleva che finisse mai, gli sembrava di essere in grado di dominare il mondo con un solo tocco delle dita e, per un fugace istante, si pentì di aver rifiutato quel potere per tutto quel tempo.

Il ruggito delle fiamme si acquietò nel giro di pochi attimi: la colonna di fuoco emessa dal braccio del mago si ritrasse, docile, fino a diventare una minuta fiaccola danzante nel palmo della mano, per poi sparire con un'ultima scintilla. Leonardo sentì il potere scomparire dalle membra, lasciandosi dietro quel lieve formicolio in tutti i muscoli che gli causava una sola emozione: ne voleva ancora e ne voleva di più, voleva radere al suolo quell'edificio e, subito dopo, l'intera città; voleva uscire nella notte ricoperto di fuoco purificatore e inseguire le persone che avevano maltrattato la sua famiglia per tutti quegli anni. Chiuse gli occhi e si costrinse a regolarizzare il respiro. Era quello il problema della magia: era un potere ben superiore a qualsiasi altro esistente sulla faccia della Terra e il potere, lo sanno tutti, non basta mai.

Massaggiandosi le braccia, Leonardo si voltò a guardare il punto della parete dove, una volta, si trovava la porta, ora ridotta a una carcassa metallica semi fusa accasciata contro il pavimento.

«Dio Santo.» Fu il sommesso commento di Michela. Era ancora immobile nello stesso punto di prima e fissava con occhi sbarrati ciò che rimaneva dell'ingresso della cella.

«Penso che verrò con voi, tutto sommato.» La voce emerse dalla rinnovata oscurità della stanza, da un punto preciso alle spalle della maga.

A parlare era stato l'uomo misterioso. Era ancora seduto con la schiena contro la parete, ma aveva alzato la testa mostrando la faccia: sembrava giovane, di sicuro più di Leonardo, e il volto smunto e spigoloso, unito all'estremo pallore della sua pelle, lasciava intendere che il giovane non fosse in buona salute; gli occhi erano piccoli e scuri, i capelli color paglia erano tenuti lunghi e cadevano fino alle spalle in una disordinata e sporca matassa.

«Ah, parli quindi!» esternò Michela. Aveva ritrovato il suo solito tono polemico.

Lui attese qualche attimo prima di rispondere, ma non distolse mai gli occhi da Leonardo, come a voler gareggiare a chi ride per primo.

«Non sapevo di potermi fidare,» fu la laconica risposta.

Michela pose le mani sui fianchi e si sporse in avanti, assumendo una posa da professoressa in procinto di sgridare uno scolaretto.

«Usciamo da qui e basta,» la bloccò Leonardo, alzando la voce a fatica.

La magia, abbandonando il suo corpo, lo aveva lasciato con una sensazione di spossatezza immensa, si sarebbe addormentato all'istante se solo si fosse messo seduto sul pavimento. Senza attendere un segno di assenso dai suoi due compagni, il mago raggiunse ad ampi passi il vano della porta forzatamente rimossa e si sporse oltre per guardare fuori: l'apertura conduceva in un lungo corridoio che proseguiva sia a destra che a sinistra, l'illuminazione era più intensa rispetto alla loro cella ed era prodotta da una fila di lampade al neon appese al soffitto. Non c'erano finestre fino a dove Leonardo riuscisse a vedere: notò soltanto che le pareti erano intervallate da altre porte identiche a quella che aveva appena distrutto. Guardando a sinistra vide che il corridoio si interrompeva in un vicolo cieco a distanza di qualche metro, mentre a destra proseguiva fino a una svolta.

Allungando la gamba, Leonardo scavalcò la carcassa ancora rovente e s'incamminò cauto a destra lungo la corsia, intenzionato a scoprire cosa ci fosse oltre l'angolo. Dietro di lui sentì i passi sommessi di Michela e del misterioso ragazzo che lo seguivano, il silenzio era così intenso che poteva addirittura sentire il ritmico respiro della ragazza. Gli tornarono in mente quegli occhi verdi ricolmi di terrore che lo osservavano mentre si connetteva alla Trama; era davvero così spaventosa la sua magia? Mentre il suo corpo era pieno di energia arcana, Leonardo si era crogiolato nel terrore con cui la Guelfi lo guardava; la magia gli sussurrava che avrebbe potuto fare di lei ciò che desiderava e nulla avrebbe potuto fermarlo. Forse, se fosse stato meno debole, avrebbe ceduto al richiamo e si sarebbe davvero lasciato andare ai più conturbanti pensieri che affollavano la sua mente. Per fortuna il suo corpo poco abituato aveva ceduto e la connessione con la Trama si era interrotta; Leonardo era tornato alla normalità e quei pensieri oscuri e dissoluti erano tornati nella parte più recondita della sua immaginazione, rimanendo come flebile testimonianza di quanto il potere potesse dare alla testa e renderti un mostro privo di intelletto. Leonardo avvampò per l'imbarazzo, mentre ripensava a ciò che gli era passato per il cervello durante quei pochi attimi e provò a convincersi di non essere così, di essere una persona migliore.

«Fermi!» Il misterioso biondo lo riportò alla realtà.

L'urgenza nella sua voce era così pressante che sia Leonardo sia Michela si bloccarono di scatto, quasi andando a sbattere l'una contro l'altro.

«Sta arrivando qualcuno,» proseguì lui.

Il mago tese le orecchie alla ricerca di un qualsiasi rumore nel corridoio, ma non sentì nulla oltre al suono del suo respiro pesante e il martellargli del cuore nel petto.

«Non sento nulla,» bisbigliò Michela.

«Sono due persone,» spiegò il biondo, con i piccoli occhi fissi su un punto imprecisato della parete. «Stanno salendo una rampa di scale che inizia alla fine di questo corridoio, qualche metro oltre l'angolo.»

Leonardo incrociò gli occhi di Michela e i due si scambiarono una tacita quanto palese domanda.

«Preferisco non correre il rischio,» disse lei.

Entrambi si mossero verso i lati del corridoio e provarono ad aprire una delle porte che avevano da poco superato. Le trovarono chiuse a chiave, proprio come quella della loro stanza.

Con una silenziosa imprecazione, Leonardo passò rapidamente a quella dopo, ma trovò anch'essa serrata. Mentre un moto di panico iniziava a invaderlo, si lanciò verso l'apertura successiva, afferrandone la maniglia, già sapendo, però, che nessuna di quelle sarebbe stata aperta; non aveva alcun senso continuare in quegli inutili tentativi.

Fu quindi con stupore e con un intenso senso di sollievo che Leonardo vide la maniglia assecondare il suo movimento, calando verso il basso e sbloccando la porta che, con un lieve cigolio, si aprì di qualche centimetro.

«Dentro!» disse subito, spalancandola e buttandosi freneticamente all'interno, seguito da Michela e dal loro silenzioso compagno.

Richiudendosi l'uscio alle spalle, si ritrovarono in una stanza invasa dal buio, ma a Leonardo non interessava: l'importante, per il momento, era aver trovato un nascondiglio dalle persone che si presumeva stessero arrivando lungo il corridoio. Premette la schiena contro la fredda superficie metallica, come se potesse servire a tenere l'accesso ancor più bloccato, e sentì Michela fare lo stesso al suo fianco.

Dopo qualche attimo immersi nel silenzio e nell'oscurità, si concesse un paio di respiri più intensi per regolarizzare il battito del cuore che stava pompando a velocità frenetica.

Fu in quell'istante concitato che una voce fendette il silenzio.

«Per favore, mes chers, fate piano. Il vostro respiro è così rumoroso.»

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