Capitolo 4. L'odore del sangue

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Charlotte aveva seguito le vicende di quei tre ragazzi da quando si erano svegliati, nella stanza a qualche metro di distanza dalla sua. Per quanto ci fossero varie pareti di cemento a separarla da loro, i suoi sensi erano ancora abbastanza affinati e le avevano permesso di ascoltare tutti i loro discorsi. Ne aveva seguito la rocambolesca fuga fino al momento in cui i tre avevano spalancato la porta della sua oscura prigione e si erano buttati al suo interno, del tutto ignari della sua presenza.

Per il primo istante aveva pensato di salutarli subito, ma il lieve aroma emanato dai loro corpi la convinse a prendersi qualche secondo in più per bearsi di quel fantastico profumino che aveva invaso la sua buia cella.

Le visite, di solito, erano rare e Charlotte si era ormai abituata all'oscurità e al silenzio che le facevano da unici compagni da quelli che potevano essere mesi, forse anni. Era conscia dello scorrere del tempo e dell'avvicendarsi del ciclo giorno/notte grazie alle sue peculiarità: sapeva quando era giorno perché si sentiva spossata e debole, appena capace di mantenere cognizione di sé, e passava le giornate sospesa tra un sonno disturbato e uno stato di lieve coscienza. Di notte sentiva invece tornare un ricordo della sua forza e riusciva a rimanere sveglia a scandagliare la sua prigione grazie ai suoi sensi sovrannaturali: nel corso della sua reclusione, aveva ascoltato molte altre persone che erano state portate in altre celle dal suo aguzzino, si divertiva a tentare di comprenderne l'età partendo soltanto dalla voce o dalla frequenza del loro respiro. Chiamarlo divertimento era forse eccessivo, ma Charlotte non aveva altri passatempi sentiva il bisogno di appigliarsi a qualcosa per non impazzire di noia. L'eternità era un tempo mortalmente lungo da passare in quelle condizioni.

Quella vita monotona veniva interrotta dalle visite periodiche di alcuni uomini. Arrivavano più che altro durante il giorno per sfruttare la sua spossatezza, e la studiavano come si poteva fare con un cincillà in un laboratorio, mentre un uomo in camice bianco sembrava effettuare una raffazzonata visita medica. Che cosa c'era poi da visitare, in lei? Aveva sempre goduto di una salute invidiabile ed era precisamente dal 1627 che non si ammalava. Era uno dei benefici principali della sua disdicevole condizione: mai più un raffreddore! In ogni caso, quegli uomini si limitavano ad analizzarla per qualche minuto, prima di andarsene e lasciarla nel buio della sua cella, legata e impossibilitata a muoversi per chissà quanti altri giorni.

Quella era stata la sua quotidianità per un numero imprecisato di mesi, da quando era stata catturata inseguendo il bastardo che stava cercando da secoli. Era un uomo scaltro e Charlotte aveva fatto l'errore di sottovalutarlo: era finita in una trappola e si era fatta catturare come una novellina alla sua prima missione. Ed eccola lì: legata e imprigionata in una cella muffosa, senza alcuna possibilità di fuga; durante i primi giorni aveva creduto fermamente che lui la volesse distruggere, ma il giorno della sua condanna non era mai arrivato. Era abbastanza sadico da condannarla a una non vita di eterna solitudine, sofferenza e noia.

Almeno, era quello che Charlotte pensava prima che quei tre giovanotti entrassero senza tante cerimonie nella sua cella. Il profumo di quegli esseri viventi le pervase le narici; chiuse gli occhi qualche attimo, inalando a pieni polmoni mentre le tornavano alla mente i ricordi della sua vita in libertà. Quanto sarebbe stato meraviglioso concedersi un pasto decente dopo tutto quel tempo a digiuno? No, non doveva cedere alla fame! Aveva studiato e Shinichi l'aveva addestrata a lungo per controllare i suoi istinti, non poteva essere quello il momento in cui avrebbe perso il controllo! Il fato le stava regalando una via d'uscita, non doveva buttare via quell'occasione unica.

L'odore era inebriante e i respiri pesanti dei tre le avevano invaso i timpani. Il rumore dei loro cuori che battevano senza sosta era assordante come il martello di Efesto che colpiva la sua incudine. Non era più abituata a tutta quella vita intorno a lei.

«Per favore, mes chers, fate piano. Il vostro respiro è così rumoroso,» proruppe, incapace di trattenersi oltre.

Non riuscì a vedere la loro reazione, l'oscurità era troppo fitta e le sue capacità troppo indebolite dal lungo periodo di astinenza forzata; fu però in grado di percepire con il suo udito fine l'effetto delle sue parole sui nuovi arrivati: il loro battito accelerò all'improvviso e sentì la ragazza trattenere il fiato per qualche attimo. Charlotte avrebbe riso, in condizioni normali: sentire la paura degli altri la divertiva come niente altro al mondo.

Seguì un lungo silenzio rotto soltanto dal costante frastuono dei cuori dei suoi nuovi compagni di cella. Sembrava nessuno di loro avesse il coraggio di dire qualcosa, o forse stavano solo aspettando che il respiro si regolarizzasse. Dopo alcuni lunghi secondi, fu la giovane donna a parlare, con voce esitante e incrinata dalla paura.

«Chi c'è?» chiese in un sussurro che si perse nel buio della stanza.

Che domanda stupida da fare a una voce uscita dalle tenebre.

«Sono una prigioniera come voi,» rispose Charlotte. Non parlava da così tanto tempo che si era disabituata a sentire il suo evidente accento francese.

Dovette attendere più a lungo di prima per una risposta; era quasi sul punto di tornare a parlare, quando, dal nulla, una luce si accese, investendole gli occhi. Chiuse di scatto le palpebre, più per stupore che per altro, ma le riaprì subito dopo, solo per vedere che un piccolo globo di fiamme scarlatte si era acceso e fluttuava dolcemente nell'aria a qualche metro da lei. La fonte di luce era tenue, ma illuminava abbastanza il piccolo ambiente da permettere a Charlotte di vedere in faccia, per la prima volta, i tre ragazzi di cui aveva seguito le vicende: la stavano fissando con occhi ricolmi di diffidenza e nervosismo.

La francese fece un grosso sorriso, curandosi bene di tenere le labbra chiuse, e alzò le mani legate in un saluto appena abbozzato. Era ancora seduta contro la scomoda parete di cemento e non era in grado di alzarsi, le corde che le scavavano i polsi dovevano essere intrise di magia perché non era mai riuscita a liberarsi e sentiva che non era solo la denutrizione la causa della sua debolezza.

«Buonasera,» continuò, socchiudendo appena i grossi occhi azzurri. «Mi chiamo Charlotte Boucher.»

I tre la fissarono in silenzio, come se avessero visto un fantasma, e Charlotte non riuscì più a mantenere sotto controllo quel senso di urgenza che si faceva sempre più soverchiante.

«Stanno arrivando, sapete?» chiese, allungando sul pavimento le gambe alla ricerca di una posizione più comoda. «Stanno per salire le scale, saranno qui a momenti.»

Colse Leonardo scoccare una rapida occhiata alla sua amica maga, ma lei non ricambiò; continuò invece a fissare la donna legata a terra con espressione diffidente. Charlotte le avrebbe sbuffato in faccia, se solo non avesse avuto bisogno di loro.

«Chi sei?» chiese Michela, azzardando un passo all'interno della stanza.

La francese odiava ripetersi. Normalmente avrebbe ignorato la domanda e avrebbe indotto la mortale a eseguire i suoi ordini, ma in quel frangente si limitò a socchiudere ancora di più gli occhi, riducendoli a due fessure, e a fare un lungo e inutile sospiro.

«Mi chiamo Charlotte Boucher,» ripeté, simulando un tono cordiale. «Siamo nella stessa situazione: liberatemi e vi aiuterò a uscire di qui.»

«È legata.» Il ragazzo smilzo e biondo, che non si era ancora mai presentato, parlò per la prima volta con voce profonda. «Non credo sia saggio liberarla, potrebbe essere pericolosa.»

Ah, non aveva idea di quanto! Charlotte sarebbe stata felice di mostrarglielo e chiudergli così quella sua boccuccia del cazzo!

«Non date ascolto all'elfo, non sa quello che dice!» asserì Charlotte, scuotendo la testa con enfasi.

Si accorse subito di aver fatto un errore. Il presunto elfo si girò di scatto a fulminarla con lo sguardo mentre i due maghi si voltavano verso di lui, fissandolo con insistenza. In effetti, oltre a non aver mai detto il suo nome, non aveva neanche accennato alla sua natura diversa e per i due giovani umani sarebbe stato impossibile rendersene conto. Poteva ingannare loro, ma non certo i sensi affinati di Charlotte: era perfettamente in grado di distinguere l'odore di un elfo da quello di un umano, le differenze erano palesi. Fino a qualche secolo prima, gli elfi erano una prelibatezza: il loro sangue era dolce e zuppo di potere arcano che donava ai loro fluidi vitali una sensazione frizzante che era la fine del mondo! Ultimamente, però, la loro razza si era mescolata sempre di più con i meno nobili umani e il loro sangue si era diluito così tanto che assaggiare un elfo o un umano non faceva più alcuna differenza.

«L'elfo?» chiese Michela, interrompendo i piacevoli ricordi della francese.

«Non è il momento adatto,» rispose Leonardo, tornando a concentrarsi sulla donna legata sul pavimento. «Ora ti liberiamo.»

«Quelle corde sono impregnate di magia!» ribadì Michela, indicando i legacci che tenevano uniti i polsi di Charlotte. «Qualcuno di molto potente le ha incantate con un incantesimo di costrizione.»

Leonardo sembrò rifletterci qualche secondo.

«Pensi di riuscire a rompere l'incantesimo?» chiese, rivolto alla maga.

Lei annuì, ma non sembrava del tutto convinta mentre si avvicinava a Charlotte; il fuoco magico che danzava nell'aria disegnava sui suoi bellissimi occhi delle curiose sfumature di verde. Si chinò vicino alla francese e appoggiò le mani sui polsi legati, rabbrividì per un istante e scoccò uno sguardo alla prigioniera.

«Sei gelida, hai freddo?» le chiese con tono genuinamente preoccupato.

Era una domanda lecita, tutto sommato: l'ambiente doveva essere glaciale, a giudicare dagli sbuffi di condensa emanati dai respiri dei tre ragazzi, e Charlotte era appena vestita con una maglietta a maniche corte dei Sonata Arctica e con dei leggeri pantaloni neri che le lasciavano scoperte le caviglie, completava il suo look un paio di scarpe da ginnastica scure dalla suola alta. Chiunque vestito così in quel clima sarebbe andato in ipotermia nel giro di qualche ora. Chiunque, ma non Charlotte. Non sentiva il freddo, così come non sentiva il caldo e il suo corpo era sempre gelido. Non era un riflesso della temperatura esterna quello che Michela aveva sentito, toccandola: era il freddo della morte, neanche il torrido inferno avrebbe potuto scaldare le sue membra.

«Non preoccuparti, ma chère,» le rispose la francese con tono dolce, sempre sorridendo. «Sto benissimo, te lo assicuro!»

Per quanto potesse stare bene un morto che cammina. Con l'avvicinarsi della giovane mortale, l'odore di sangue caldo era tornato a infilarsi con prepotenza nelle sue narici, tanto che Charlotte dovette chiudere gli occhi e appoggiare la nuca alla parete per mantenere la calma. Era passato tantissimo tempo, sarebbe stata in grado di resistere, una volta libera? Era ormai fuori allenamento e non mangiava da così tanto che non era sicura sarebbe riuscita a mantenere il controllo delle sue azioni; quei tre mortali rischiavano grosso rimanendo nella stessa stanza con lei. La Charlotte di qualche mese più giovane avrebbe intimato ai tre di andarsene e di lasciarla lì, di fuggire e di mettere in salvo le loro brevi quanto intense vite... ma la Charlotte di quel giorno era un essere diverso. Quella Charlotte voleva solo liberarsi, farsi una bella mangiata e tornare a cacciare quell'essere merdoso che la voleva condannare a una miserabile eternità! La posta in gioco era troppo alta, doveva fermarlo a tutti i costi, e se il prezzo da pagare era la vita di un paio di ragazzini, la francese era disposta a pagarlo.

«Sono nel corridoio,» fu il sussurro allarmato dell'elfo. Era rimasto vicino alla porta con le orecchie tese ad ascoltare all'esterno.

Michela lanciò una parolaccia e continuò quello che stava facendo: per chiunque non fosse addestrato nella magia, la ragazza si limitava a fissare con insistenza le corde che legavano i polsi della prigioniera. Charlotte non aveva mai studiato la magia, ma, da quando la sua natura era cambiata, godeva di una sottile connessione con la Trama che le permetteva di influenzare la volontà delle persone. Non era magia vera e propria, non aveva dovuto studiare nessuna astrusa formula magica o leggere nessun libro: semplicemente lo sapeva fare ed era conscia della Trama intorno a lei, senza però essere in grado di maneggiarla in altro modo. Qualunque cosa Michela stesse facendo in quel momento, non c'era dubbio che le stesse richiedendo una grande concentrazione: teneva la fronte corrugata e un lieve rivolo di sudore stava passeggiando sulla sua fronte. Anche l'espressione grave sul volto di Leonardo lasciava intendere che si stesse svolgendo una battaglia invisibile e silenziosa tra la giovane maga e le corde incantate.

Charlotte reclinò il capo e ascoltò il distinto suono dei passi di due persone nel corridoio che si stavano avvicinando alla porta della cella. Li riconobbe all'istante: un passo leggero di un uomo magrolino di altezza media insieme al passo pesante e strascicato di una persona appesantita da un corpo muscoloso e atletico, il tintinnio di alcune fibbie che andavano a scontrarsi contro qualcosa di metallico, tra un passo e l'altro, era il chiaro segno che il più nerboruto dei due fosse armato. Quando le facevano visita per controllarla, erano sempre in due: un medico e un uomo armato di scorta.

«Sono qui per me,» sussurrò la francese, aprendo gli occhi e puntandoli contro la nuca della ragazza intenta a sciogliere le sue manette magiche. «Chérie, questo potrebbe essere un ottimo momento per liberarmi.»

Michela non rispose, si limitò a scoccarle un'occhiata intimidatoria. Avrebbe evitato sguardi del genere se avesse saputo chi stava per liberare e Charlotte si sciolse in un sorrisetto sardonico, immaginando il sangue fuoriuscire dalla sua bella gola. La tentazione continuava a essere forte, non aveva mai assaggiato il sangue di un mago!

L'elfo voltò il suo spigoloso viso alla ricerca di qualcosa all'interno della cella e, nel giro di pochi attimi, si era spostato dalla porta e si era appiattito contro un angolo della stanza dove la luce non riusciva ad arrivare: a occhio umano era invisibile, quasi tutt'uno con le ombre.

I passi erano vicini, ora abbastanza da essere individuabili anche dalle orecchie dei due umani. Leonardo alzò la testa e si voltò a fissare la porta della cella dietro la quale due paia di piedi si stavano fermando.

«Cazzo!» sibilò Michela in un impeto di furia.

Poi accadde qualcosa: le corde che legavano i polsi di Charlotte si sciolsero, come tagliate da un coltello invisibile. Nello stesso attimo, la sensazione di debolezza e di pesantezza che impedivano al suo corpo di muoversi si diradò. Non era proprio tornata al massimo delle forze, si sentiva comunque spossata e terribilmente affamata, ma almeno era in grado di muoversi.

Quello che successe dopo fu tutto molto veloce. Charlotte si alzò in piedi, aprendosi in uno smagliante sorriso, e abbassò gli occhi verso Michela che si era al contempo voltata verso la porta. I capelli corvini della ragazza erano scivolati di lato oltre la spalla, lasciando libera una porzione del collo; la pelle era liscia, bianca e profumava, l'odore di umano era così inebriante che il corpo della francese fu percorso da un brivido di eccitazione alla sola idea di affondare i denti nella sua carne.

«Charlotte!» Una vellutata voce maschile risuonò fuori dalla porta metallica. «Sono Luca, sto per entrare.»

Il sorriso della donna si incrinò. Aveva un vago ricordo di quella voce; Luca... sì, era l'uomo che la visitava e che si divertiva a raccogliere dati sulla sua salute fisica in quei giorni in cui riusciva appena a tenere gli occhi aperti. Da un momento all'altro, il collo della giovane umana non era tanto più invitante dell'uomo che stava per fare il suo ingresso nella stanza.

Con uno stridio metallico, la porta si spalancò e la bocca della francese fece lo stesso, rivelando i canini innaturalmente lunghi e sporgenti, l'arma principale che la Signora le aveva donato per farsi strada in quell'inospitale mondo dopo la sua prematura dipartita. Vide con la coda dell'occhio Michela voltarsi verso di lei, gli occhi prima allarmati si tinsero in breve tempo del colore della paura.

Lo stipite della porta aperta incorniciava lui, inconfondibile nel suo camice bianco. Gli bastò una sola occhiata attraverso gli occhiali dalla montatura spessa per rendersi conto che qualcosa non andava.

«Che ca—» provò a dire Luca, ma Charlotte si era già mossa.

Fu su di lui con un unico balzo ultraterreno: gli cinse il bacino con entrambe le gambe e afferrò i lati della testa con le mani, le unghie s'infilarono nella pelle del viso dell'uomo che non fece in tempo neanche a urlare, prima di stramazzare a terra sotto il peso dell'impeto della donna. Come una furia, le mani della donna strattonarono di lato, piegando il collo del presunto dottore di novanta gradi con un sinistro crack. Inconscia di qualsiasi altra cosa la circondasse, la bocca spalancata di Charlotte si chinò sul collo curvato dell'uomo; i denti affondarono nella carne e strapparono con forza un brandello di pelle e muscoli, aprendo una voragine dal quale uscì un caldo fiotto cremisi che la investì in pieno volto. Rimase ferma qualche secondo, inebriata dall'odore e dal sapore del sangue che le aveva ricoperto il viso, gli occhi chiusi per godersi ogni istante di quella meravigliosa sensazione.

«Dieu, que ça m'a manqué!» mormorò la donna, leccandosi le labbra intrise di sangue mentre alzava la schiena.

Nel suo folle impeto di fame, lei e la sua vittima erano finiti sul pavimento del corridoio. Era ancora seduta sul cadavere fresco di Luca quando si ricordò della presenza della seconda persona: l'uomo armato era a pochi passi dalla porta del corridoio e fissava a bocca aperta la scena, ancora interdetto da quello che era accaduto in quei brevi istanti.

Charlotte aprì gli occhi e si voltò a guardarlo sorridendo. L'uomo armeggiò con la fondina che teneva legata alla cintura, ma un evidente tremore della mano lo tradì per un istante di troppo: il mostro affamato che aveva preso il posto di Charlotte si avventò su di lui in un battito di ciglia. Le zanne macchiate di rosso gli trovarono la gola e affondarono proprio sotto il mento, così in profondità da strappare le corde vocali ancora vibranti per l'urlo che era stato l'ultima esalazione di vita dello sfortunato. Il sangue inondò il freddo pavimento mentre la francese constatò, deliziata, che la sua vittima non era ancora morta, malgrado lo squarcio che si apriva sulla sua gola; afferrandolo con una mano sola per i capelli, lo tenne sollevato e si concesse una pausa per succhiare avide sorsate del sangue caldo che stava copiosamente abbandonando il corpo dalla tremenda ferita.

Quando Charlotte allontanò la bocca dalla lesione e guardò gli occhi dell'uomo, vide che erano ormai vacui e privi di vita. Si leccò una seconda volta le labbra per trovare i residui di sangue che la sporcavano e lasciò cadere il cadavere senza troppe cerimonie, per poi voltarsi a guardare alle sue spalle. Aveva fatto un disastro: il sangue era fluito fuori dai due corpi e aveva imbrattato il pavimento e parte delle pareti, l'odore era così forte e invitante che dovette appellarsi a tutta la sua forza di volontà per non crollare a terra e leccare le pozze scarlatte che si erano formate intorno ai cadaveri. Aveva i vestiti ricoperti di sangue scuro e il suo stesso volto e parte dei capelli erano sporchi allo stesso modo. Sembrava appena uscita da un film dell'orrore.

Ma, finalmente, si sentiva bene. Da quanto tempo non provava quella sensazione di appagato benessere? Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva mangiato? Dio, la fame era peggio della morte, e lei poteva assicurarlo, le aveva provate entrambe!

Con passo lento, tornò indietro lungo il corridoio e fece capolino dalla porta della cella: Michela e Leonardo erano ancora immobili nella stessa posizione in cui li aveva abbandonati, entrambi la fissavano con genuino terrore. Era evidente: il tanfo della paura era così forte che neanche il profumo di tutto quel sangue riusciva a coprirlo.

«Vi porgo le mie scuse per il mio disdicevole comportamento,» disse la vampira, facendo un breve passo all'interno della stanza e abbassando lo sguardo contrito. «Adesso suggerirei di andarcene da qui, oui

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