29 - Levante, 5 anni e 329 giorni fa (I)

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L'oscurità aveva avvolto ogni cosa e Agata, per non perdersi, proseguiva attaccata allo zaino che Tseren portava in spalla. Quell'ultimo tratto le parve infinito, per via della stanchezza e poiché i suoni che udiva nel buio le erano estranei. Gli uccelli notturni avevano un richiamo diverso rispetto ai loro cugini di Ponente e persino l'ululare del vento fra gli alberi aveva un qualcosa di ignoto.

«Ci siamo» disse infine il ragazzo Drago. Erano usciti dal bosco e raggiunto una terrazza ampia e ventilata. L'Ascendente riusciva finalmente a intravedere qualcosa grazie al bagliore delle stelle e rimase incantata dallo spettacolo della volta celeste, non aveva mai visto tanti astri tutti insieme.

Davanti a loro c'era una costruzione circolare di piccole dimensioni. Tseren si fece strada all'interno e non appena fu dentro si lasciò sfuggire un sospiro profondo. Nel corso del viaggio, Agata si era chiesta spesso cosa avrebbe provato il levantino a rivedere il luogo dove si era spenta la madre; lo spiava di sottecchi, ma non lo conosceva ancora abbastanza bene da poter prevedere le sue reazioni.

Paradossalmente riusciva a leggerlo meglio quando assumeva la forma di drago, in quel momento comunicavano infatti su un livello che non aveva niente di umano, ma che era molto più diretto.

D'impulso il ragazzo posò lo sguardo sul punto dove aveva visto per l'ultima volta la madre. Dove ricordava il giaciglio rialzato che lui e Xhoán avevano preparato, c'era ora un tavolo di legno chiaro coperto da un ampio centrotavola, su cui era posato un vaso di pietra pieno di fiori aromatici. Tseren non aveva mai visto né il tavolo, né il centrotavola, né il vaso, perciò continuò a guardarsi intorno sorpreso. C'erano due giacigli accostati al perimetro della tenda, non troppo vicini, e su uno dei due era posata una coperta di lana grezza. La credenza era stata spostata vicino al tavolo, mentre quello degli abiti era aperto e la metà della madre era stata svuotata. Tseren immaginò che gli abiti di lei fossero stati riposti nella piccola cesta posata a terra.

In realtà gran parte degli averi dei due Draghi non era lì, ma nella grotta dove vivevano tre quarti del mese. La tenda era una abitazione provvisoria, che erano soliti condividere con Xhoán la settimana di luna nuova. Era stato chiaramente lo sciamano a cambiare l'arredamento e Tseren ebbe un moto d'affetto per l'Ascendente di sua madre. Sarebbe stato molto più difficile affrontare il ritorno, se l'uomo avesse lasciato tutto come l'ultimo momento che avevano condiviso lì insieme.

Non c'erano lampade in giro e il Drago guidò Agata verso uno dei giacigli. «Io preferisco dormire all'aperto stanotte» le disse in un sussurro. Appena fu uscito Agata si avvolse nella coperta e cadde in un sonno profondo. Non si era mai sentita tanto stanca, fisicamente ed emotivamente.

**********

Quando la ragazza Ascendente aprì gli occhi la mattina dopo, ebbe un attimo di spaesamento. Le ci volle qualche secondo per ricordare dove fosse. Il materiale con cui era fatta la tenda lasciava filtrare un po' di luce e Agata fu finalmente in grado di guardarsi intorno.

Era un ambiente essenziale, ma pulito. Le piaceva particolarmente il tavolo, aveva una forma irregolare, al di sotto del piano c'erano delle decorazioni che ricordavano degli artigli e le tre gambe di forme e dimensioni diverse sembravano racchiudere ciascuna una storia. Il colore chiaro illuminava inoltre l'ambiente.

La ragazza piegò la coperta e sollevò il tessuto pesante che chiudeva l'ingresso. Era una pelle scamosciata soffice e riuscì a fissarla a un gancio che sembrava essere lì apposta. Si accorse che c'erano altre due aperture nella tenda, come delle finestre rettangolari, che si aprivano con lo stesso principio. La pelle poteva essere arrotolata e fissata a un gancio. Quando tutte le aperture furono libere la tenda si riempì della luce mattutina.

Agata uscì all'aperto cercando Tseren, il ragazzo Drago era a qualche metro di distanza e stava accatastando della legna. Era a torso nudo e ovviamente non aveva bisogno di attrezzi per frantumare il legno; era infatti l'ultimo giorno di luna nuova e il Drago era in grado di far uscire a piacimento gli artigli. Si asciugò il sudore dalla fronte e fece un cenno ad Agata.

«Sono passato alla grotta per prendere alcune delle mie cose e del denaro per fare qualche compera» e indicò una cesta piena di vestiti e oggetti di vario tipo. «Per il momento conviene vivere qui, una volta che ti sarai ambientata nel villaggio, puoi trasferirti da Xhoán per gran parte del mese e io potrò tornare a casa» continuò con noncuranza.

Agata dovette distogliere lo sguardo per evitare che lui leggesse la delusione nei suoi occhi. Erano appena arrivati e già voleva liberarsi di lei. Era proprio come all'inizio, non appena aveva potuto, era sparito per giorni ed era tornato solo quando necessario. Sperava che il loro rapporto si fosse evoluto negli ultimi due mesi e invece il ragazzo Drago dava l'idea di non essersi affezionato minimamente. Voleva mantenere la propria indipendenza e vedeva Agata solo come un mezzo, l'Ascendente da cui non poteva allontanarsi sette giorni al mese. La ragazza era profondamente ferita ed evitò di incrociare lo sguardo del Drago per il resto della mattina.

Lui parve non accorgersene. Quando fu ora di pranzo, presero un po' di denaro e si incamminarono giù per il pendio. Tseren era premuroso come al solito, conoscendo la goffaggine di Agata la sosteneva ogni volta che notava un passo incerto. La ragazza continuava a pensare alla conversazione che avevano avuto la mattina e ogni gentilezza di lui la indispettiva. Non era veramente preoccupato per lei, voleva solo evitare che succedesse qualcosa all'unica persona che gli impediva di perdere il controllo e diventare una macchina della morte.

Agata si era trasferita dall'altra parte del mondo per lui e nel corso del viaggio si era gradualmente convinta che si sarebbe instaurato un legame speciale con quel ragazzo un po' scontroso, ma profondamente tormentato e infondo bisognoso di compagnia. Ora, invece, si prospettava una vita completamente diversa, sola in un nuovo villaggio, tra persone di cui non conosceva neanche la lingua. Per un attimo sentì le lacrime bagnarle le ciglia, ma le scacciò indietro orgogliosa. Se la sarebbe cavata comunque, se la cavava sempre.

Finalmente raggiunsero la base del monte e la ragazza si accorse della differenza di temperatura, ai piedi del monte Ariun era estate. Vedevano in lontananza il paese e sul sentiero incrociarono un paio di persone che parvero riconoscere Tseren. Lo salutarono senza troppo coinvolgimento e presero a confabulare tra loro. Agata immaginò che stessero parlando della madre di lui, perché riuscì a cogliere qualche espressione, ma il Drago fece finta di niente e tirò dritto.

Una volta arrivati all'ingresso del villaggio, annunciato da un grosso portale in pietra lavorato e dipinto di rosso, oro e blu, invece di entrare Tseren si avviò lungo il perimetro. Esattamente all'estremo opposto c'era una casa più curata delle altre. Era una tenda spaziosa recintata e all'interno del cortile scorrazzavano galline alte quasi un metro e degli animali che Agata non aveva mai visto, ma che potevano essere parenti delle capre di Ponente, molto più piccole delle galline.

Chinato nell'orto c'era un uomo. Aveva le spalle robuste e un abbigliamento simile a quello di Tseren quando Agata lo aveva conosciuto. Stava mugugnando una melodia malinconica e non parve sentire i nuovi arrivati attraversare il cancelletto di legno.

«Xhoán?» lo chiamò Tseren. L'uomo si voltò di scatto, con un'agilità sorprendente per la sua stazza. Era un bell'uomo, aveva lineamenti marcati, la barba brizzolata e due occhi scuri, a mandorla. Dimostrava non più di quarant'anni. Non disse nulla ma si avvicinò a grandi passi a Tseren e lo strinse in un abbraccio. Il ragazzo sembrò sorpreso, perché Xhoán non era solito dispensare gesti di quel tipo, ma ricambiò dandogli qualche pacca sulle spalle.

«Non sai quanto sono stato in pensiero ragazzo, perché ci hai messo così tanto a tornare?!» e mollata la presa lo guardò a lungo con affetto.

Tseren si lasciò andare in un sorriso ampio e Agata pensò che era la prima volta che lo vedeva sorridere in quel modo, non era uno dei soliti sorrisi canzonatori o un po' imbarazzati. Era un sorriso che partiva dall'anima ed era costruito su una confidenza a cui Agata non poteva lontanamente aspirare, almeno per il momento.

«E tu fatti dare un'occhiata» lo sciamano si voltò verso Agata e la afferrò per le spalle. «Ha uno sguardo intelligente e buono. Ora capisco perché ci hai messo tanto, mai mi sarei immaginato che ti fosse capitata un'Ascendente di Ponente. Come ti chiami?» chiese. Aveva un timbro profondo, che ispirava fiducia.

«Agata non parla...» esordì Tseren, ma fu interrotto dalla voce decisa di lei.

«Il mio nome è Agata. Non parlo ancora bene il levantese» disse la ragazza con un ottimo accento. Tseren spalancò gli occhi blu, non si era accorto che il suo levantese fosse migliorato tanto.

«Sono sicuro che imparerai in fretta, il villaggio non ha mai visto qualcuno di Ponente, diverrai presto la nuova attrazione» ridacchiò Xhoán. Era al settimo cielo, Tseren stava bene ed era finalmente a casa.

Lo sciamano eremita li invitò a entrare per pranzare insieme e Tseren non se lo fece ripetere due volte.

«Grazie per aver riarredato la nostra tenda» disse il ragazzo Drago sedendosi a terra con le gambe incrociate. Agata lo imitò accomodandosi anche lei in quell'area dell'abitazione piena di cuscini.

«Il tavolo è molto bello» commentò la ragazza per fare conversazione. Capiva ovviamente tutto quello che diceva Tseren e aveva imparato a mettere insieme qualche frase semplice.

«Sono contento che ti piaccia. L'ho costruito io, c'è voluto più di un mese» sorrise Xhoán portando una pentola in rame colma di un cereale scuro. Lo bagnò con un liquido bianco, forse latte, e aggiunse dei germogli gialli. Agata prese il cucchiaio di legno e assaggiò per la prima volta la zuppa aspra della zona montuosa di Levante. Non vedeva l'ora di conoscere meglio l'Ascendente Xhoán.

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