79 - Levante, 5 anni e 84 giorni fa (III)

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La scala a chiocciola che scendeva nello spesso muro di cinta dello stadio era sporca e scivolosa, illuminata solo dalla luce naturale che filtrava dalla porta che avevano appena attraversato e dalla luce artificiale che brillava alla fine della discesa.

Altrettanto umidi erano gli stretti corridoi che il gruppetto seguì lungo il perimetro della costruzione. Raggiunsero infine la sala dove i dipendenti trascorrevano le pause, un ambiente stantio occupato da grossi divani logori e un tavolo imbandito lungo tutta la parete.

Agata e Tseren stavano per superare velocemente la soglia, sperando di passare inosservati, ma Utukur entrò nello stanzone richiamando a gran voce l'attenzione delle persone adagiate sulle poltrone.

«Ragazzi, siamo nuovi, dove si trova l'ufficio del responsabile?» chiese con nonchalance il professore.

«Andate dritti e prendete il secondo corridoio a destra, poi ancora avanti finché non incontrate una porta con un targa gialla» rispose un ragazzo mentre addentava una ciambella alla frutta.

«È un tipo a posto?» indagò ancora Utu. La sua domanda scatenò una discussione lunghissima, ovviamente gli impiegati non vedevano l'ora di sparlare del capo. Il giovane attese e attese, finché qualcuno non nominò gli animali che avrebbero preso parte agli scontri. «È vero che li tengono proprio qua sotto? Voi li avete mai visti? Io ho scelto questo lavoro apposta!» saltò su.

«Più sono feroci, più vengono tenuti nelle profondità di questo labirinto sotterraneo» disse eccitato un ragazzetto di non più di dodici anni.

«Pare che, per il più pericoloso, abbiano dovuto abbattere tre muri in modo da creare una cella abbastanza grande» intervenne Huin, sorridendo sotto i baffi dell'astuzia dell'amico.

Poco dopo erano di nuovo soli, che cercavano di orientarsi nei cunicoli. «Il miglior nascondiglio è in bella vista» spiegò loro Utukur in fil di voce.

Chiacchierare con le persone raccolte nella sala comune, aveva permesso loro di raccogliere molte informazioni, e non solo relative a dove fossero segregati gli animali, ma anche un buon numero di dettagli privati su altre persone, in modo da rendere la loro copertura più convincente. Quando incrociavano qualcuno, Utu, usando le informazioni ottenute in quella discussione apparentemente superficiale, riusciva a persuadere l'interlocutore che facevano parte del personale dell'arena.

Ogni volta che si trovavano davanti una scala, scendevano di un piano. Purtroppo le scalinate per spostarsi da un livello all'altro non erano nello stesso punto e così dovevano girovagare a vuoto finché non trovavano un altro passaggio.

Raggiunti i piani dove erano tenuti gli animali, furono subito avvolti dalle zaffate degli odori forti di quelle creature rimaste chiuse in celle minuscole per giorni. Le guardie che incrociarono per i corridoio non erano ben disposte ad ascoltare le scuse di Utukur e così Tseren fu costretto a tramortirne un paio.

I sotterranei dell'arena erano talmente vasti, che non c'erano molte guardie in giro e tratti ampi non erano presidiati da nessuno; i tre ragazzi riuscirono quindi a scendere e scendere, passando inosservati.

Alcuni ambienti erano illuminati da torce consumate, mentre altri, evidentemente poco percorsi, erano bui come una di quelle grotte dell'entroterra di Ponente che non avevano mai visto la luce del sole.

Tseren, Agata e Utukur camminavano in fila indiana. Il Drago, che poteva vedere tranquillamente nell'oscurità, faceva strada, tenendo saldamente la sua Ascendente per mano. Il giovane professore chiudeva la fila, un palmo sulla spalla della ponentina, l'altro appoggiato alla parete viscida.

«C'è un'altra rampa di scale, qui a sinistra. Agata, stammi vicina» E prese le braccia della ragazza, avvolgendole attorno al suo torso. Lei si ritrovò ad abbracciarlo da dietro e gli appoggiò per un attimo il capo alla schiena calda. Il Drago percepì quel gesto d'affetto perché rispose accarezzandole dolcemente i polsi sottili. Nel sentire il tocco di Tseren sull'interno del braccio, il cuore della ponentina saltò un battito.

Presero a scendere molto lentamente le scale, i gradini erano irregolari e in alcuni punti coperti da acqua melmosa. Era una scala più lunga delle altre e Agata cominciava ad avere paura. Erano lì sotto da almeno un paio d'ore, l'aria si era fatta rarefatta e per quanto si sentisse sempre al sicuro con Tseren, soprattutto durante la settimana di luna nuova, forse non era stata una buona idea inoltrarsi nelle profondità della terra senza un piano. Se anche fossero riusciti a raggiungere il drago, come avrebbero contenuto una creatura fuori controllo? Xhoán le aveva raccontato che, anni addietro, aveva conosciuto un Drago rimasto purtroppo senza il proprio Ascendente: ci volevano normalmente altri quattro membri della sua razza per tenerlo a bada. Cosa avrebbe potuto fare Tseren da solo?

Ai piedi della scala, si ritrovarono nell'ennesimo corridoio e furono immediatamente raggiunti da un bruire soffocato e un digrignare di denti, un verso molto simile a quello di Tseren nella sua forma di drago.

Agata sentì il ragazzo sussultare. In silenzio seguirono quel suono familiare finché non raggiunsero un corridoio deserto illuminato da torce grondanti cera. «Com'è possibile che non ci sia nessuno?» chiese sottovoce l'Ascendente.

«Per quale motivo dovrebbero tenere delle guardie quaggiù? Credo che la creatura sappia difendersi da sola...» commentò Utukur. «Ragazzi, diamo un'occhiata e andiamocene via di qui. Non penso ci sia modo di liberarlo prima del torneo».

Mentre discutevano, Tseren aveva continuato ad avvicinarsi, era in uno stato confusionale: il verso dell'animale era inequivocabile. Utu aveva ragione, sarebbe stato impossibile aiutare il Drago finché avesse mantenuto quella forma e se non riusciva a tornare umano era chiaramente perché l'Ascendente non era nei paraggi.

Nel frattempo i tre avevano raggiunto le sbarre della cella, all'interno era talmente buio che Agata e Utukur non riuscivano a distinguere nulla. Tseren, invece, lo vide subito:
un rettile gigante rannicchiato su se stesso, con la testa sepolta tra le zampe squamate, e il corpo che si alzava e abbassava flebilmente.

«È un drago?» chiese Utu.

«C'è qualcosa che non va» rispose l'altro facendo un passo in avanti. «Agata rimani qui» E Tseren fece forza su due barre fino a piegarle per creare un passaggio.

«Credo sia drogato, se riesco a sfondare questa gabbia io nella mia forma umana, per lui, o lei, dovrebbe essere una passeggiata...» riflettè il ragazzo mentre si insinuava tra le sbarre.

Utukur si era posto di fronte ad Agata, come a farle da scudo, anche se sarebbe servito a poco se la belva si fosse liberata.
L'Ascendente vide Tseren venir risucchiato dall'oscurità ed ebbe un brutto presentimento, forse per via dell'aria opprimente che rendeva difficile persino respirare.

«Non riesco a capire, è sicuramente un rettile gigante, ha un odore così forte che copre qualsiasi cosa... E l'odore è quello di un rettile» La voce del Drago proveniva da qualche parte nei meandri della cella.

«Tseren!» esclamò Agata improvvisamente, «Come possono usarlo negli scontri l'ultimo giorno dei giochi, tra due settimane? Oggi è il primo giorno di luna nuova, ciò significa che tra sette giorni...» Le parole della ponentina furono interrotte da un suono simile a un soffio.

Proprio mentre riusciva a mettere insieme il sospetto di Agata con la consapevolezza che la creatura che aveva di fronte, per quanto per metà rettile, non apparteneva alla sua razza, Tseren fu sorpreso da tre ombre che sbucarono da dietro l'animale. Tre uomini che impugnavano delle armi mai viste, da cui partirono delle frecce dalla forma singolare. Il Drago riusci a bloccarne due, ma la terza gli si conficcò nel torace. Guardò allibito l'oggetto che era riuscito a scalfire il suo corpo più resistente di un'armatura e, prima che potesse avere il tempo per mutare, la vista gli si annebbiò. Lottò con tutto se stesso perché la mente non si spegnesse e gli arti non cedessero, ma fu inutile. Cadde al suolo e l'ultimo pensiero fu per Agata.

«Tseren! Tseren cosa è successo?» gridò la ponentina dimenticandosi delle raccomandazioni e avvicinandosi alla gabbia. Un frastuono di passi provenienti da tutte le direzioni e in un attimo fu circondata dalle uniformi azzurre del Governo.
Proprio in quel momento, vide qualcuno uscire dalla cella. Erano tre persone vestiti di nero, lo stemma dello FSI ben in vista, che trasportavano il corpo esanime di Tseren.

«Prendete l'Ascendente» Era la voce di Utukur, ma al tempo stesso non era la sua voce. La ragazza si voltò a guardare il giovane professore, il soldato disertore che considerava un amico da mesi. Ma vide un'altra persona. Non c'era traccia dello sguardo solitamente gioviale e premuroso di Utu; in quegli occhi uguali, ma così diversi, Agata lesse solo una soddisfazione glaciale.

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