9 - Ponente, 6 anni e 17 giorni fa

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Quando giunsero al villaggio di pescatori dove Agata era nata e aveva vissuto fino a tre anni prima, era già buio pesto. Le uniche luci, a parte quelle che filtravano dalle finestre socchiuse, erano quelle che brillavano nel cielo. Il primo quarto di luna aveva cominciato a ingrassare, come ogni mese.

La ragazza si fermò davanti alla più malconcia delle catapecchie. Da molto tempo aveva smesso di essere imbarazzata per la sua condizione, e in ogni caso aveva il sentore che Tseren non avrebbe giudicato né commiserato la povertà della sua famiglia.

Aprì piano l'uscio ed entrò silenziosamente. La stanza era illuminata da un piccolo fuoco, intorno al quale sedevano due vecchie. In un angolo, un bambino di circa sette anni dormiva placidamente, avvolto in una coperta composta da tessuti diversi cuciti insieme.

Accanto al fuoco, una pila traballante di piatti indicava che un numero ben maggiore di persone aveva cenato lì dentro, e Tseren notò immediatamente una porticina chiusa nella parete di fronte, dietro la quale si sentiva russare.

Le due vecchie erano molto diverse tra loro. Una aveva una corporatura robusta e indossava un abito semplice coperto di macchie. Sgranocchiava a bocca aperta una radice nera, mentre entrambe le mani stringevano dei ferri a due punte, arnesi per rammendare che la donna muoveva con un'abilità strabiliante. 

L'altra, più gracile, aveva un aspetto stravagante. L'acconciatura ricordava quella tipica delle spose della Zona Peninsulare di Levante: un insieme di trecce intrecciate tra loro le incorniciavano il viso scarno. Anche gli abiti erano bizzarri, per non parlare dello scialle, su cui erano appuntate un numero considerevole di minute cianfrusaglie: spillette, ciondoli, pergamene, e persino delle piantine.

La donna magra, nonostante l'età, era scattata in piedi non appena aveva visto i due ragazzi entrare.

«Agata, sei tu?» mugugnò invece il donnone.

La vecchia più bizzarra si era intanto avvicinata alla porta e, prima che Agata potesse dire qualcosa, aveva preso la mano della ragazzina, cercando con l'altra di raggiungere il volto di Tseren. Il levantino si scostò prima che potesse toccarlo.

«Zia, ti presento Tseren, il mio amico di Levante» spiegò la ragazza sorreggendo la vecchia zia. «Ciao, nonna» aggiunse rivolta all'altra signora.

Quella che aveva chiamato zia sembrava su di giri, continuava a guardare Tseren con occhi avidi, tanto che Agata fu costretta a trascinarla vicino al fuoco, facendo cenno al ragazzo di avvicinarsi.

«E questo chi sarebbe?» La nonna non era altrettanto impressionata. «Perché ha la pelle scura e questi occhi strani?»

«Non essere maleducata, non vedi che abbiamo un ospite che arriva dall'altra parte del mondo? Tesoro, parla ponentese?» intervenne la zia dando un colpetto all'altra vecchia.

«No, zia. Ma capisce un poco» mentì la ragazza.

L'altra intanto si era alzata e sbuffando aveva cominciato a preparare dei giacigli. «E adesso chi la regge? Parlerà per giorni di questa visita...» 

Agata raggiunse la nonna per aiutarla. «Tseren, mia zia è commossa perché ha sempre sognato di incontrare qualcuno di Levante» spiegò la ragazza mentre srotolava delle stole di paglia rinforzata. Il levantino non aveva detto ancora nulla, ma quando si rese conto che uno dei giacigli era per lui, intervenne.

«Posso dormire all'aperto» insistette.

«Cosa dice?!» sbottò la nonna.

«Che per lui non è un problema dormire fuori» tradusse Agata.

«Ma ci mancherebbe!» esclamò la zia. «Siamo talmente tanti in questa topaia che uno in più non fa alcuna differenza!»

Tseren si arrese e, non appena il suo letto fu pronto, si andò a stendere, riconoscente dell'ospitalità.

Agata invece rimase un po' a chiacchierare sottovoce con la nonna e la zia; raccontò loro di come amasse tutto dell'università e del fatto che, dopo tre anni, la grande città riusciva ancora a sorprenderla. La nonna non era particolarmente curiosa, mentre la zia voleva sapere ogni singolo dettaglio, come se, attraverso i racconti di Agata, potesse assaggiare anche lei qualche briciola di quella vita fatta di studi esotici e agiatezze.

***

Il giorno dopo Tseren fu svegliato dal vocione del padre di Agata. Quando aprì gli occhi, fuori era ancora buio, ma  la nonna era già in piedi e stava preparando da mangiare per tutta la famiglia, mentre la zia russava ancora sonoramente.  Poco dopo la porticina si dischiuse, lasciando uscire i genitori di Agata e un bimbetto di forse tre anni.

La ragazza era stata svegliata anche lei da quella frenesia mattutina e si era alzata per abbracciare la madre.

La donna dalla pelle candida e i capelli pece cortissimi, ricambiò l'abbraccio, stampando un bacio sonoro sulla fronte della figlia; le chiese subito dopo chi fosse il giovane che dormiva in casa loro. Agata spiegò che alcuni studenti erano stati selezionati per ospitare dei ragazzi in scambio da Levante e i genitori parvero convinti. Mentre Tseren si inchinava leggermente per salutarli, come era costume a Levante, il bambino più grande cominciò a chiedere insistentemente perché lo straniero avesse degli occhi tanto strani.

«Di tante case, certo avrebbero potuto trovargli una sistemazione più confortevole» si limitò a commentare il padre.

Una volta che i due pescatori furono usciti, gli altri, tranne la nonna, tornarono a dormire. Dal suo giaciglio, accanto a quello del fratellino, Agata poteva vedere Tseren steso a pancia in su. Chissà cosa avrebbero detto i suoi genitori se avessero saputo la verità: che il levantino non era uno studente, ma un perfetto sconosciuto che Agata aveva incontrato poco più di una settimana prima. Forse la zia avrebbe comunque acconsentito a ospitarlo, ma non il resto della famiglia. Eppure il suo intuito continuava a dirle che poteva fidarsi di Tseren e la ragazza aveva deciso di non opporsi più a quella sensazione.

Una volta in piedi, Agata aiutò a pulire la casa, accompagnò i fratelli a scuola e trascorse l'intera giornata in giro, passando a trovare un gran numero di persone del villaggio. Non era molto comune che i ragazzi frequentassero l'università e così lei e Holly Dee erano diventate piuttosto famose. In molti spedivano loro dei voluminosi cesti di vivande al dormitorio e la ragazza si sentiva in obbligo, se non di sdebitarsi, almeno di ringraziare. Tseren la accompagnò, aiutandola con le faccende, ma dopo solo un giorno era già annoiato da quella vita per lui alquanto sedentaria.

«Posso andare a pescare con i tuoi genitori da domani?» le chiese quella sera. Agata ripensò alla questione della caccia ai conigli, e ne dedusse che probabilmente il levantino se ne intendeva anche di pesca.

«Beh, certo» rispose perplessa.

Trascorsero il resto della serata a parlare con la zia, che aveva una lista interminabile di quesiti sul tipo di vita che Tseren aveva condotto a Levante. Quando non voleva rispondere a una domanda, lui faceva finta di non capire Agata e lei gli reggeva il gioco.

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