Capitolo XI - Ferite

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Capitolo XI - Ferite


Dustin giocherella con il walkie talkie, rigirandoselo tra le mani, seduto su una vecchia cassa di legno sul quale ha appoggiato una lampada, che non ha smesso di sfarfallare da quando quei tre sono scesi là sotto; cosa che, decisamente, non lo sta rassicurando affatto. Il ginocchio trema nervosamente, e non riesce in nessun modo a farlo smettere così, infine, decide di ignorarlo, guardando la voragine senza quasi mai sbattere gli occhi, in attesa di vederli risalire dal baratro dell'inferno. Perché è questa, la sensazione che ha: quella di trovarsi al confine tra un incubo e la realtà e, forse, non è così lontano dalla verità.

«Dustin?», lo chiama Will, dal walkie talkie, e lui sussulta perché gli fa prendere un colpo, dopo quel tempo infinito passato in totale silenzio e un'attesa snervante.

Prende il walkie talkie e preme il pulsante per rispondere.

«Ci sono, passo.»

«Com'è la situazione? Qui stiamo iniziando a preoccuparci.»

Dustin si passa una mano sul viso, sospirando e continuando imperterrito a guardare lo spacco, sperando di poter rassicurare anche gli altri, ma non ha ancora nessuna informazione, né aggiornamento. L'unica cosa che può fare è aspettare, e sperare – soprattutto sperare che, insieme a loro, ci sia anche Eddie.

Sospira. «Ancora nulla. Sono passate», guarda l'ora sul suo casio, e si rende conto che sono passate esattamente due ore e mezza da quando Steve, Nancy e Robin hanno iniziato la loro missione di salvataggio, «due ore e mezza. Sono fiducioso ma, tra mezz'ora, se non torneranno, scenderò a vedere.»

«Non ci pensare nemmeno!» È la voce di El, che ha di certo strappato dalle mani di Will il walkie talkie. «Non sei nelle condizioni di andare lì, con quella gamba ferita. Semmai tornerò io lì dentro e monitorerò la situazione. Tu resta dove sei.»

«Non ci pensare nemmeno!», le fa eco, e sente che sta perdendo la pazienza. «Hai già rischiato abbastanza quando te l'ho chiesto la prima volta. Non puoi farlo più, El. È troppo rischioso. L'unica cosa da fare è scendere, e devo farlo io. Non si discute!»

«Ma sentiti! Stai iniziando a parlare come Steve, santo cielo! Verremo noi, in caso, chiamerò Jonathan», risponde Will, e Dustin sente Mike dire qualcosa a proposito dell'essere d'accordo con lui. «Tu pensa a stare lì; se le cose non cambiano, siamo già pronti a raggiungerti.»

Dustin non sa cosa dire, perché vorrebbe semplicemente non essersi fatto male quel giorno – dannato Eddie, perché ha tolto quel materasso? Come se solo quello avesse potito fermarlo dal tornare lì e tentare di salvarlo. Se solo non avesse preso quella botta alla gamba, ora sarebbe là sotto con loro, forse. Già, perché non è così sicuro che Steve glielo avrebbe permesso. Anzi, è certo che, come quella volta sulla barca, lo avrebbe lasciato indietro con un'altra scusa.

Sarebbe comunque in quella situazione.

Sospira di nuovo e vorrebbe rispondere a Will che è grato a tutti loro per avergli creduto; per aver assecondato quella sua stramba teoria e per l'aiuto che gli stanno dando. A volte pensa di essere troppo sicuro di sé, e Steve glielo ripete in continuazione di non essere troppo arrogante ma, dopotutto, stavolta ha avuto ragione – molto più di altre volte, eppure non è contento di sapere che altri, al posto suo, stanno rischiando la vita per salvarne un'altra.

Sta per rispondere a Will, dicendo una di quelle frasi fatte che non gli appartengono, quando sente un gran fracasso provenire da sotto. E non si tratta del piano inferiore della casa, bensì di qualcosa nello spacco, come un tonfo e poi un urlo.

«Ci sentiamo dopo, sta succedendo qualcosa!», dice al walkie talkie, infine, posandolo sulla cassa e alzandosi in piedi. La voce di Will che lo chiama preoccupato e gli chiede spiegazioni si sente a malapena, ma lui la ignora.

Si avvicina zoppicando alla voragine, e alla corda ancora ben salda alla colonna e, quando si sporge, non vede niente. Il silenzio è tornato a dominare le inquietanti mura domestiche dei Creel e, quando gli si mozza il respiro nel petto per la paura dell'ignoto, Dustin inizia a guardarsi intorno, con la speranza che non gli piombi nessuno alle spalle e lo trascini via da quell'attico portandolo nel sottosopra, per poi scoprire, una volta lì, che Nancy, Steve e Robin sono morti, così come Eddie, per mano di Vecna che, forse, non ha mai smesso di dar loro la caccia e che, trovandoseli nel suo regno, li ha schiacciati come formiche.

«Henderson!» È la voce di Steve, quella che gracchia all'improvviso da sotto e che gli fa quasi prendere un infarto al miocardio.

Dustin si mette in ginocchio sul pavimento e abbassa lo sguardo nel buco della voragine. Non vede nessuno, dall'altra parte, finché ad un tratto, facendolo sussultare, Steve entra nel suo raggio visivo, con la faccia da scemo imperlata di sudore e... sulle spalle qualcuno che ha creduto morto per un po', solo per un po', e che ora gli sorride gagliardamente, e poi gli fa un saluto militare.

«Figlio di putt-»

«Linguaggio, stronzetto!», lo rimbecca Steve e Dustin ride, e si rende conto solo in quel momento che gli occhi gli si sono riempiti di lacrime. Non riesce a smettere di guardare Eddie nemmeno per un secondo e, quando anche Robin e Nancy fanno capolino dietro i due, alza istintivamente una mano per salutarle. Loro ricambiano con un sorriso.

«Forza, tieni quella corda il più saldamente che puoi. Torniamo su da questo schifo, non ce la faccio più a stare qui!»

Dustin annuisce e, avvicinandosi alla corda, la stringe tra le mani più forte che può e, quando la sente tirare, capisce che qualcuno sta risalendo dalla voragine. Si tratta di Robin – sempre la prima, gli viene da pensare con un sorriso e, quando lei mette finalmente piede sul pavimento di legno, che cigola in modo inquietante, si lascia sfuggire un sospiro di sollievo.

«Stavolta è stato meno divertente, riscendere!», se ne esce Robin, e gli fa l'occhiolino. Un gesto che lo fa sentire improvvisamente parte di qualcosa.

Non è più solo e questo lo conforta più di ogni altra cosa. Lei non perde tempo a prendere un pezzo di corda per aiutarlo a tenerla e, all'urlo di «Nance, è il tuo turno!», si preparano entrambi a tirare.

La sorella di Mike li raggiunge poco dopo e, quando i loro sguardi si incrociano, Dustin non riesce a fare a meno di sorriderle. Lei ricambia e, quando si avvicina, gli strapazza una guancia e lui arrossisce.

«Sai, tra tutti gli amici di mio fratello, tu sei sempre stato il mio preferito.» Gli tornano in mente quelle parole e, forse, la cotta per Nancy Wheeler non gli è mai passata del tutto.

«Okay, Henderson, ti mando su il malato. Cercate di prenderlo al volo. È vivo ma non è al top!»

«Tu non sei al top, Steve!», esclama Eddie, in un tono fintamente indignato, strascicato via da una vocetta rauca che ne sottolinea la stanchezza mentale e fisica, oltre che i dolori.

«Siamo pronti a riceverlo!», risponde Dustin, con un senso di entusiasmo dentro che quasi lo divora vivo. Non vede l'ora di rivederlo, di stritolarlo letteralmente e di dirgli che è uno stronzo irresponsabile ma, soprattutto, che è un eroe. Un vero eroe. E che gli deve tantissimo, partendo da quando lo ha salvato a scuola fino al momento in cui lo ha difeso nel sottosopra, senza indugiare un secondo, con un coperchio chiodato e una lancia fatta sul momento.

La corda inizia a tirare, mentre Steve incita Eddie a non lasciarsi cadere ma che, se dovesse succedere, ci sarà lui pronto a prenderlo.

Che romantico! Pensa Dustin, scuotendo la testa.

Sono secondi interminabili, quelli che passano prima di vedere anche l'altro spuntare dal foro nel terreno ma, quando finalmente i suoi scompigliati capelli scuri fanno capolino insieme alla sua faccia piena di graffi, Dustin lascia la corda e si affretta a soccorrerlo. Lo tira su e, quando la gravità si ribalta, Eddie cade di schiena sul pavimento e si lascia andare ad un'imprecazione colorita e pregna di dolore.

«Bene, la schiena era l'unica cosa che ancora non mi faceva male», dice, con un filo di voce, cercando di tirarsi su, ma senza riuscirci.

Dustin si china su di lui e, senza che il pensiero di trattenere le lacrime lo sfiori, si alza a sedere e lo abbraccia forte. Infila la testa nella sua spalla e, tentando invano di trattenere i singhiozzi, si lascia andare.

Sente la mano di Eddie accarezzargli delicatamente la schiena e, come se quel gesto gli avesse dato la conferma che è tutto vero e che non sta sognando nulla, si stacca da quell'abbraccio e si guardano.

«Lo sapevo! Lo sapevo che hai la pellaccia dura!»

«Non lo so se è veramente così dura, ma sono felice che tu ci abbia creduto, o non sarei qui, immagino», ironizza Eddie e Dustin, di tutta risposta, gli dà un pugno sul braccio. «No, decisamente non ho la pellaccia così dura! Mi hai rotto almeno due ossa, Henderson», ride, ma è chiaro che gli ha fatto male sul serio.

«Scusa», mormora, con un sorrisetto e l'altro gli posa una mano sul cappellino e lo scuote, affettuosamente. Proprio come ha fatto Steve poco prima che partissero per quella missione pazza e suicida.

A Dustin si accende una lampadina in testa e, rizzandosi sulla schiena, si batte una mano sulla coscia.

«Oh, porca puttana, Steve!»

«Felice che vi siate ricordati di me!», borbotta il diretto interessato, ancora di sotto e, quando Dustin e Eddie si sporgono per guardarlo, lo trovano con le mani sui fianchi, nella sua tipica posa da mamma arrabbiata, e gli sorridono colpevoli. «Tiratemi su, avanti! Se resto un secondo di più qua sotto mi viene la malaria!»

«Nella migliore delle ipotesi, Steve», commenta Robin, e tutti ridono, a parte Steve che, sbuffando, si aggrappa alla corda che loro, immediatamente, tirano su.

Steve sale e, con una certa eleganza e stile, cade in piedi sul pavimento, passandosi poi una mano tra i capelli per sistemarli, anche se sono un vero e proprio groviglio di cose viscide, polvere e ragnatele.

«Impressionante!», commenta Eddie, con un applauso e, quando Dustin si gira a guardarlo nell'intento di assecondare quella presa in giro, si rende conto che invece è serio e che, nei suoi occhi, c'è una sorta di luce colma di ammirazione per quel cretino di Steve. Fa roteare gli occhi al cielo, sorridendo e decide che, almeno stavolta, si risparmierà una battuta cattiva.

Dopotutto deve molto, a quel damerino di Harrington.

«Grazie», risponde il diretto interessato, con una leggera nota di perplessità, mentre si spolvera i vestiti con le mani e si avvicina al proprio zaino per recuperare la borraccia, anche se a Dustin è sembrato più un gesto fatto per sembrare impegnato a fare qualcosa, piuttosto che per la sete. Poi Steve esita e porge, con un sopracciglio alzato, la borraccia verso Eddie, ora seduto a terra con le gambe allungate sul pavimento, che reprime a fatica qualche smorfia di dolore. «Forse sarebbe meglio che la bevessi, tu, Munson. Sai, prima di andare, un po' d'acqua non ti farà male. Devi essere disidratato.»

Eddie gli rivolge un'occhiata interrogativa, poi prende la borraccia tra le mani e, prima di bere una lunghissima sorsata, sorride sornione. «Ho anche una fame tremenda, a dirla tutta ma, per ora, prima di mangiarmi un tacchino intero, mi accontenterò di risolvere almeno la sete. Grazie, Steve.»

«Oh, non abbiamo minimamente pensato a portargli qualcosa da mangiare!», osserva Robin, battendosi un pugno sul palmo della mano e Nancy, accanto a lei, inizia a rovistare nel proprio zaino. Ne riemerge poco dopo con una merendina spiaccicata e dall'aspetto poco invitante.

Si morde un labbro. «Se intanto può servire a calmare la fame...»

Eddie non sembra per nulla schifato come Dustin invece si sente, alla vista di quel coso che a tutto somiglia, tranne che a qualcosa di commestibile e, riemergendo dalla borraccia, la prende velocemente tra le mani e fa scoppiare la confezione premendola tra le mani. Il boato che produce rimbomba per tutta la stanza. Eddie addenta la merendina infilandosela in bocca intera, rischiando per un attimo di soffocare; non sembra nemmeno turbato dagli sguardi fissi su di lui e dal silenzio che è rotto solo dal ciomp ciomp prodotto dalla sua bocca.

«Mi sa che stasera Munson divorerà anche il tavolo», osserva Steve e Dustin gli lancia un'occhiata divertita, prima di prendere il walkie talkie da terra e premere il pulsante per parlare.

«Will, ci sei? Passo.»

«Ci sono! Tutto okay? Qui siamo tutti preoccupati», risponde il ragazzo dall'altra parte del dispositivo.

Sorride. «Tutto okay, la missione è andata a buon fine. Arriviamo da voi, passo.»


•••


Hanno raggiunto l'auto di Steve lentamente, sebbene l'unica cosa che Dustin prova, è l'ansia di arrivare il prima possibile a casa di Hopper perché, non può mentire a sé stesso, l'idea che Eddie non sia del tutto al top, e che le sue ferite non siano ancora state curate, non lo rassicura per niente. Da quando ha mangiato quella brioche sembra aver preso un po' di colorito ma, per quanto lui abbia cercato di nascondere il dolore che sente, per Dustin è impossibile non notare, di tanto in tanto, delle smorfie silenziose sul suo viso, mentre si preme l'addome, o si massaggia le gambe. Dopotutto ha passato tre giorni sdraiato sul suo letto e non si sorprenderebbe se gli fossero venute pure delle piaghe da decubito, ma forse quello è l'ultimo problema a cui pensare.

Sono i morsi dei demo-bats che lo preoccupano di più. Sono le vesciche che di sicuro gli si sono formate intorno alla pelle – come quelle di Steve, ma forse più profonde, più livide e infette. Deglutisce aria a vuoto, mentre si gira a guardarlo, seduto sul sedile posteriore accanto a lui, e lo vede stanco, spento, e non parla più molto. Sembra aver usato tutte le sue energie per risalire dal sottosopra, e ora Dustin può vedere chiaramente l'ombra violacea intorno ai suoi occhi, le labbra secche e un po' raggrinzite e le mani che tremano, poggiate sulle ginocchia.

«Ehi», lo chiama, e Eddie non sembra nemmeno averlo sentito. Il suo sguardo è fisso al di fuori del finestrino, dove villa Creel si allontana sempre di più ed è un po' come svegliarsi lentamente da un incubo. «Eddie?»

L'altro si rianima sussultando sulle spalle; si volta a guardarlo e gli regala un sorriso stanco. «Ehi, tutto okay?», gli chiede, come se fosse lui quello appena tornato dalla morte.

Ora sì, vorrebbe rispondergli Dustin, ma annuisce e basta. Eddie gli posa una mano sulla testa e gliela scuote amorevolmente, e quel gesto ha un sapore diverso, ora. Non è più carico di entusiasmo e intesa, ma di gratitudine e stanchezza. E forse di rassicurazione.

Eddie non ha voglia di parlare – ed è assurdo, per uno come lui che non sta zitto un secondo, e rispetta quel suo volere sorridendo e basta.

Poi Steve svolta a destra, verso la strada principale e, quando superano un insieme di alberi, il fumo nero che sale dagli spacchi nel terreno, è ora visibile. Come se fossero un'unica persona, tutti si voltano a guardare fuori e, ogni volta, quel terribile scenario, li lascia ammutoliti.

Solo Eddie si agita sul sedile, riprendendo per un attimo le energie che fino a quel momento gli sono mancate. Abbassa il finestrino e si sporge al di fuori. I capelli lunghi si muovono al vento e la frangia tirata all'indietro gli libera il viso. Ha gli occhi sbarrati, e Dustin nota una luce terrorizzata che scintilla nelle sue iridi scure.

«Che cazzo è successo?»

«Come ti ho detto», inizia Nancy, guardando anche lei fissa fuori dal finestrino, turbata. «Hawkins non è più la stessa. I portali si sono uniti in un unico spacco che l'ha divisa in quattro e le voragini si stanno aprendo ogni giorno di più. Se non si fermeranno...», si blocca e deglutisce.

«Non esisterà più Hawkins come la conosciamo noi», conclude Robin, e Steve lancia un'occhiata a Dustin dallo specchietto retrovisore, poi torna a guardare la strada. Si sono capiti tra loro, e il silenzio di Steve è solo temporaneo. Sa che sta dando a Eddie il tempo di capire cosa è successo, di rendersi conto che le cose non sono andate esattamente come speravano, che il suo sacrificio è servito a qualcosa, ma che alla fine hanno perso, perché è questa la verità. Vecna ha ottenuto ciò che voleva, e loro sono lì, in attesa che succeda qualcosa – qualunque cosa, che dia loro modo di agire e risolvere le cose. Solo che stavolta non è semplice – non lo è mai stato, ma ora è diverso, perché tra poco non esisterà più una distinzione tra sotto e sopra.

Sa che lo sguardo di Steve era più una raccomandazione: non è tempo di dire tutto.

E Dustin sa benissimo che, tra quel tutto, c'è anche Max.

«Non so se ho capito bene cosa è successo, ma non mi piace per niente.»

«Presto saprai tutto, ora è meglio per te riposare e curare le ferite. Per ora non c'è molto che possiamo fare per... per questo», risponde Steve, indicando con un gesto nervoso l'esterno del finestrino, tornando poi a guidare verso casa di Hopper, ed è l'ultima cosa che Dustin sente dire ad alta voce, perché ora la tensione ha spaccato tutto ed è rimasto, in quell'auto, solo un silenzio intriso di paura.

Fine Capitolo XI

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