Capitolo X - Quando sei pronto

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Capitolo X - Quando sei pronto

«Cristo, Harrington, dimmi che sei reale? Dimmi che non è questa polvere tossica del cazzo che mi fa vedere cose che non ci sono!»

Non sa nemmeno perché glielo sta chiedendo, sa solo che dopo tutto quel tempo passato là sotto da solo, probabilmente, ha bisogno di non sentirsi più solo. Ha bisogno di sentirsi dire che è tutto superato, che ora anche se non è in salvo, almeno c'è qualcuno lì con lui, ed è difficile da credere che qualcosa stia andando per il verso giusto, dopo tutta la sfiga che gli è piombata addosso da quando è uscita dal suo caravan rovesciato. Sono stati momenti difficili, che ha percepito infiniti quando invece, a quanto pare, non lo sono stati poi così tanto. Stringe le braccia al collo di Steve e si sente aggrappato a qualcosa di vivo, e di sente salvo, e non gli importa se sembra stupido e melodrammatico, ha bisogno di contatto umano. Gli viene da sorridere all'idea che, tra tutti, Harrington debba subirsi quel momento di cedimento e quel bisogno di contatto fisico da parte sua.

Sarebbe potuto accadere con chiunque, eppure...

Gli torna in mente la lezione di educazione fisica, quella dove forse uno sguardo se lo sono pure scambiato, ma è durato così poco che mai avrebbe creduto un giorno, di ritrovarsi stretto a chiedergli se è davvero lì, oppure no.

«Reale? Non puoi chiedermi una cosa del genere dopo che ci siamo fatti il culo per scendere a salvarti, Munson!», risponde Steve, sbuffando via una risata fingendosi indignato.

«Non è stato poi così complicato», ribatte Robin e Eddie, nel sentire la sua voce, scioglie l'abbraccio con Steve e resta a sedere sul divano e alza una mano per salutarla, poi usa la stessa mano per passarsela sulla faccia e si accorge di essere ancora fradicio.

Non ha idea di cosa sia successo, ma qualunque cosa fosse, lo ha risvegliato sul serio.

«No? E quei demo-bats me li chiami una passeggiata?», risponde Steve, rivolgendole un'occhiata di traverso, inacidito.

«Preferisco chiamarli flambé!», esclama lei, con un'alzata di spalle, poi si piega sulle ginocchia e Eddie sente il suo sguardo addosso. «Come ti senti?»

«Potrebbe andare meglio, ma potrebbe andare anche peggio. Per esempio, non lo so, potevo essere morto per davvero, stavolta!», esclama, e nel frattempo anche Nancy li raggiunge e non è mai stato così felice di vedere così tante persone come in questo momento. «Wheeler!»

«Eddie», sorride lei, poi gli porge un fazzoletto un po' sporco, ma non tanto quanto i suoi vestiti. Quando abbassa lo sguardo e dà un'occhiata alla sua maglietta ancora imbrattata di sangue, si sente leggermente in imbarazzo. «Non ho trovato altro, per ora devi farti bastare questo per pulire le ferite. Ti porteremo subito di sopra e lì avremo modo di curarti al meglio, ma solo quando te la sentirai.»

Eddie annuisce, poi si volta verso Steve e trova i suoi occhi puntati addosso e, nel vedere una luce non più carica di speranza, ma di sollievo, dentro il riflesso delle sue pupille, gli sorge spontaneo chiedere: «Come sapevate che ero vivo?»

«Dustin», risponde Steve, semplicemente, con un sorrisetto, poi distoglie lo sguardo e si passa una mano tra i capelli. «Quel piccolo figlio di puttana non ci ha creduto per un solo secondo, che fossi morto. Ci ha rimuginato sopra per giorni, ti ha fatto cercare, e infine... beh, il resto della storia la sai.»

«Dustin lo sapeva?», chiede, alzando le sopracciglia. «Quel ragazzino mi spaventa.»

«Un po' sperava non fosse così, un po' ci ha riflettuto sopra», interviene Robin, «Sai, Steve è stato morso lo stesso, eppure è ancora qui, tutto intero. Non con tutte le rotelle al suo posto, ma è qui.»

«Grazie per la sincerità, Robin. La apprezzo sempre, davvero!», la rimbecca Steve e lei fa un piccolo inchino. Si guardano in cagnesco per qualche secondo, poi però l'attenzione torna tutta su Eddie, che si sente esposto e ancora confuso.

«Mi hanno... letteralmente divorato vivo. Non è successa proprio la stessa cosa con Steve», si sente di dire.

«Ti hanno ferito. Molto più profondamente di quanto sia successo a Steve, è vero. Siamo convinti che, in qualche modo, il loro morso ti abbia paralizzato. Hai perso molto sangue, ma non sono ferite mortali. La teoria di Dustin ha convinto quasi tutti, per questo siamo qui e, beh, a quanto pare aveva ragione», spiega Nancy, con un sorriso ma Eddie ha smesso di ascoltare davvero dopo quel quasi tutti, e boccheggia qualche frase senza senso, guardandoli tutti e tre, in attesa di una risposta.

«Steve non ci credeva», interviene Robin, probabilmente capendo la sua confusione.

«Non...non è vero! Non è vero che non ci credevo! Ho solo mosso qualche perplessità a riguardo!»

«Non ci credevi?», chiede Eddie, alzando le sopracciglia con fare fintamente offeso e Steve serra le labbra, come se avesse improvvisamente deciso di non parlare mai più. «E poi cosa significa che mi ha... fatto cercare

«Dustin ha chiesto ad El – sai, la nostra amica con i superpoteri, di cercarti qui nel sottosopra. Ti ha trovato steso sul tuo letto, dove ti abbiamo lasciato, che cantavi», spiega Nancy, e gli prende dalle mani il fazzoletto che gli ha dato poco fa e gli asciuga un piccolo graffio che gli si è aperto sulla fronte. Sembra una mamma. In qualche modo quel gesto lo fa sentire un po' in imbarazzo e un po' riscaldato da un gesto umano e rassicurante.

Non ricorda quand'è stata l'ultima volta che qualcuno si è preso cura di lui così. Forse non è mai successo.

«Ti abbiamo sentito cantare, attraverso un walkie talkie. Non chiedermi come ma lei ci riesce a fare queste cose assurde. È... pazzesca!», aggiunge Robin, scambiandosi poi un sorriso complice con Nancy.

«È lì che ti sei convinto fosse vero?», chiede poi Eddie a Steve, e lo ritrova esattamente con la stessa poker face di poco fa, forse ancora più idiota.

Sì, idiota è la parola giusta.

«Più o meno», risponde, semplicemente, dopo una lunga pausa.

Eddie alza le sopracciglia, indignato. «Più o meno?»

«Senti, non hai idea di ciò che è successo dopo che ce ne siamo andati da qui! Vecna è sparito, non sappiamo se sia vivo oppure no, ma a giudicare dai demo-bats che ti hanno attaccato, direi che il nostro caro Henry è ancora in circolazione. Hawkins è spaccata letteralmente in quattro parti e non sappiamo cosa succederà ora, e non sapevamo cosa stesse succedendo qua sotto. Ho pensato che fosse una trappola, che quello che abbiamo sentito non fossi tu, ma Vecna. Non è stato facile scendere a patti con la possibilità che non fosse così e non perché non credevo che fossi vivo o, che ne so, che non lo sperassi, perché a dirla tutta lo speravo anche io, ma non importa questo, non importa adesso! Quello che importa è che alla fine ci abbia riflettuto sopra e che io sia qui. Il resto sono solo chiacchiere inutili e», si blocca, e Eddie si sente stordito da quella valanga di parole apparentemente senza senso che gli ha buttato addosso, dove ha carpito dei sottotesti che forse non sono nemmeno reali e che lo sono solo per lui, ma non riesce nemmeno a ribattere. Apre solo la bocca, e la richiude subito. «Non mi sembra questo il momento di discutere sul fatto che io abbia avuto un momento di insicurezza nei riguardi di questa missione suicida che, per altro, continua ad esserlo siccome siamo ancora qui perciò, se non vi dispiace, io comincerei ad avviarmi verso la villa dei Creel, prima che altri demo-bats tornino a vendicare i loro cugini!»

Scende di nuovo il silenzio e tutti gli occhi sono puntati su quelli di Steve che sembra aver aperto il rubinetto delle emozioni e che si sia deciso finalmente a tirarne fuori qualcuna. Si vede che è spaventato all'idea di rimanere ancora lì, ed è spaventato all'idea di mettere in pericolo la vita delle persone a cui tiene e, anche se Eddie sa che è pronto a fare l'eroe per l'ennesima volta pur di preservare la loro salvezza, sa che anche Steve Harrington, sotto sotto, prova più paura di chiunque altro. E che, dopo gli ultimi avvenimenti, capisce bene che voglia tenersi il più lontano possibile da quel posto.

Se ripensa alla lezione di educazione fisica, gli riesce difficile immaginare di avere la stessa persona davanti agli occhi.

«Sì, credo che tu abbia ragione, Harrington. È ora di lasciare questo posto di merda.»

«Ce la fai ad alzarti, Eddie? Se hai bisogno di qualche istante in più...», inizia Nancy, ma lui la ferma con un gesto della mano, mentre sente i dolori all'addome risvegliarsi improvvisamente, ma finge che non sia successo niente, camuffando un verso di dolore con un sospiro.

«Ce la faccio, ce la faccio.»

«Munson, non c'è bisogno di fare l'eroe. Ti è andata bene una volta, ma non è detto che tu possa avere la stessa fortuna. Se hai bisogno di tempo, prenditelo» per favore. Anche se Steve non lo ha detto, la mano che gli ha improvvisamente posato sulla spalla sembra dire quello e, per qualche ragione, Eddie si sente spaventosamente in colpa per aver agito come lo stronzo che è, facendo preoccupare tutti – anzi, facendo credere a tutti che fosse morto.

Si rende conto di quanto la situazione sia instabile, e probabilmente pericolosa, ma vuole andare a casa. Sente questo desiderio sin dal momento in cui si è risvegliato nel suo letto accanto alla sua chitarra.

Vuole ritornare a Hawkins, che di certo non lo accoglierà come un principe, ma è sempre meglio che resta lì.

Annuisce. «Sì, me la sento. Voglio andare via da qui.»

«D'accordo», dice Robin e, insieme a Steve, lo aiutano ad alzarsi in piedi. Appena tocca terra, sente le ginocchia sparare pulsioni nervose al cervello e quasi gli sfugge un urlo di dolore. Si piega sulla schiena e appoggia le mani alle cosce. Gli fa male tutto, e quando pensa a tutto intende proprio tutto: ogni singolo muscolo, ogni singolo osso, persino gli occhi gli bruciano da morire, per non parlare della testa che gli batte come se un martello pneumatico gliela stesse perforando senza pietà.

Si sente uno schifo, non è vero che è pronto e gli viene da piangere all'idea di essere di nuovo un peso, di provocare ancora danni su danni, di sentirsi inutile come si è sentito per tutto il tempo, mentre era con loro dopo che sono scesi in fondo al lago e sono entrati nel portale. E si sente così anche se quei ragazzi non gli hanno mai dato modo di sentirsi sbagliato o di troppo.

È un suo problema, e da quando è successo quello che è successo a Chrissy e i sensi di colpa che ne sono conseguiti, non riesce più a far finta di non sentirsi così, dopo una vita che ci è riuscito quasi come se fosse naturale.

«No, non ce la faccio. Mi dispiace, mi fa davvero male tutto. Scusate», dice, e ha il fiatone. Si sente così patetico che vorrebbe dire loro di andar via e lasciarlo lì, perché portarselo dietro significherebbe solo metterli in pericolo.

Nancy gli posa una mano sulla schiena, e Eddie sa benissimo cosa sta per dirgli: prenditi il tuo tempo, pulisci le ferite, riposa le gambe, riposa il cervello e poi andiamo. E sa che sta per dirglielo come se ci fosse tutto il tempo del mondo, ma invece non c'è. Non c'è tempo, e non vuole perderne ancora.

Poi Steve sospira, ed è come una pugnalata al cuore, perché è uno di quei suoi sospiri scocciati che danno l'idea che vorrebbe essere da tutt'altra parte piuttosto che lì. Invece poi gli dà le spalle, si piega sulle ginocchia e alza le mani dietro la schiena.

«Avanti, il tragitto da qui alla villa dei Creel non è lunghissimo, posso portarti io.»

«Cosa?»

«Eddie, per l'amor di dio, sali e basta!», lo intima, voltandosi di tre quarti, e sembra quasi che gli stia dicendo di sbrigarsi solo perché forse un po' si vergogna, di portare qualcuno che non sia uno dei suoi figli sulle spalle.

Eddie guarda Robin e Nancy confuso e, quando gli fanno cenno con le mani di salire e di non farsi problemi, lui obbedisce senza dire una parola. A fatica si appoggia alla schiena dell'altro, e quando Steve lo prende saldamente con le mani sotto le ginocchia, lui esita un secondo ma poi poggia le mani sulle sue spalle. Steve si alza in piedi con un'energia che quasi gli fa invidia.

È strano. Si sente strano, ma non vuole dire altro. Anzi, vorrebbe ringraziarlo, ma non ci riesce. La sua bocca non ne vuole sapere di esprimere un cazzo di niente, ora come ora e forse, per come è fatto, è meglio così. Non sa cosa potrebbe uscire fuori, in un momento come quello, dove non si sente lucido come vorrebbe.

Nancy e Robin prendono le loro cose, tra cui lo zaino di Steve e, aprendo la porta, li fanno passare e poi li seguono a ruota. Si avviano verso l'uscita della proprietà – anzi, la ex proprietà dei Byers e, quando arrivano sulla strada e qualche lampo li fa sussultare, Eddie stringe le mani più forte intorno alle spalle di Steve, che si lascia sfuggire un lamento.

«Ouch!»

«Scusa, mi ha preso alla sprovvista», ridacchia nervoso e Steve sbuffa una risata per dirgli che è tutto okay. «Senti, Harrington, ti vorrei ringraziare per... per tutto e per questo

«Ti devo un favore, dopotutto anche tu ti sei buttato nel lago per salvarmi.»

Eddie ha un deja vu e ricorda perfettamente quella conversazione che ha avuto luogo qualche giorno fa, nella foresta, dove Steve lo ringraziava e lui negava di averlo fatto per coraggio, ma solo perché le altre due si erano mosse immediatamente per soccorrerlo. Vorrebbe dirgli di nuovo che non ha fatto niente, nessun gesto eroico, ma non gli sembra il caso di essere pedante e sottolineare qualcosa sul quale Steve gli ha chiaramente detto di non essere troppo duro con sé stesso.

«Spero di non pesare troppo, ma immagino che king Steve abbia la schiena più forte di Hawkins!»

«Immagini bene!» Steve raccoglie la provocazione, e a entrambi sfugge una risata, poi scende un silenzio che dura solo una manciata di secondi, e prosegue, anche se Eddie ha la sensazione che abbia esitato per un attimo. «Ti ho già portato così, l'altra volta. Forse tu non lo sai nemmeno ma... quando ti abbiamo – ti ho posato su quel letto, ti ho preso sulla schiena per portarti dentro il tuo caravan. Eri più pesante in quel momento, te lo posso giurare su qualsiasi cosa. Almeno adesso ci spartiamo un po' il peso.»

«Eri tu?»

«Te lo ricordi?»

«Ho avuto dei flash, quando mi sono svegliato, ma non sapevo fossi tu.»

Steve ride. «E chi altri poteva essere, se non io?»

«Dustin?», chiede Eddie e sa quanto suoni stupida quella domanda.

Steve sospira, poi guarda indietro e Eddie fa lo stesso. Le ragazze sono poco lontane, abbastanza da non riuscire a sentire la loro conversazione, e forse è proprio questo quello che Harrington sta cercando in un momento particolare come quello.

«Eri morto. Per noi, in quel momento, eri morto. Dustin non aveva nemmeno la forza di guardarti. Quando ti abbiamo trovato eri... Dio, ti ho chiuso gli occhi, Eddie. È stata la cosa più difficile che mi sia mai capitata di fare nella vita, e non sto scherzando. Ti ho portato dentro, ti ho messo quella stupida chitarra vicino e li ho portati tutti via prima che tutto crollasse ma, credimi... se non ho creduto al fatto che fossi vivo non è stato perché non me ne fregava niente. È solo che eri morto sul serio. E ho pensato a tante di quelle possibilità, nel frattempo, mentre Dustin vaneggiava sul fatto che in realtà te ne stessi andando a zonzo per il sottosopra, che...» ho avuto paura, forse è questo quello che vorrebbe dirgli, ma Steve non va oltre quel pensiero, per oggi si è esposto già abbastanza nei suoi riguardi. Eddie non vuole sapere perché non ha creduto subito a Dustin, non sa cosa avrebbe fatto lui nella stessa situazione, ma si mette nei panni di Harrington. Si mette nei panni di qualcuno che ha dovuto fare l'adulto della situazione, probabilmente dimostrarsi imperturbabile per non lasciare che la situazione sfuggisse di mano a nessuno, e agire. Perché, probabilmente, tra tutti, era l'unico che si sentiva in dovere di farlo, come sempre.

Perché, come al solito, avrà pensato prima agli altri e poi a sé.

«Chi se ne frega, Steve. Sei qui, no? Alla fine Henderson ti ha convinto. Quel piantagrane sarebbe capace di convincerci a fare qualunque cosa, a noi due», cerca di ironizzare con un po' di malizia nella voce, e Steve sbuffa di nuovo, ma c'è una nota di dolcezza in quel suono che vorrebbe aver esternato con meno sentimentalismo, probabilmente.

«Non me ne parlare...»

«Non c'è motivo di sentirsi in colpa per una cosa per cui poi hai cambiato idea.»

«Io non mi... non mi...» Non riesce nemmeno a dirlo, che non si sente in colpa. Farfuglia frasi a caso, e continua a camminare come se stesse portando sulle spalle un sacco di farina e non un Eddie Munson tutto intero.

«Quello che voglio dire è... non hai fatto niente di sbagliato. Quindi grazie, ragazzone», risponde, e si sporge verso di lui per cercare la sua espressione facciale, che vede leggermente di profilo.

Sembra che stia sorridendo e, anche se non dice niente, a Eddie basta questo. È salvo, in mani sicure, e non vede l'ora di tornare su, anche se il mondo intero lo odia a morte; anche se poche persone lo aspettano, però si sente fortunato.

E forse, paradossalmente, non si è mai sentito così amato come adesso in vita sua.

Fine Capitolo X

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