Capitolo XVII - Cara Chrissy, Caro Steve

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Capitolo XVII - Cara Chrissy, Caro Steve

« ̶C̶a̶r̶o̶ Ehi, Steve.

Lo so, forse non te la saresti mai aspettata una lettera da parte mia, e a dirtela tutta fino a qualche tempo nemmeno io avrei mai creduto che l'avrei fatto. In verità non ho mai creduto che avrei scritto delle lettere a qualcuno. Proprio io, che non sono esattamente la persona giusta che sa esprimere i propri sentimenti.

Solo che mi è sembrato giusto farlo, e mi è sembrato giusto che, tra le poche persone che penso meritino le mie ultime parole, ci fossi anche tu.

Magari non andiamo sempre d'accordo; litighiamo un sacco, ti tratto sempre come se fossi il più scemo degli scemi, ma la verità è che conoscerti ha arricchito di molto la mia vita e, anche se io sono diventata invisibile, tu sei uno dei pochi che ha continuato a vedermi e, lo so, sembra assurdo, ma me ne rendo conto solo ora del rapporto che si è creato tra di noi.

O meglio, questo è come lo vedo.

Steve, quello che siamo diventati - forse amici, forse no, chi lo sa - è la cosa più vicina a ciò che avrei voluto che fosse tra me e Billy.

Lo so, è da idioti malati pensare una cosa del genere, ma sto per morire. E se stai leggendo queste righe è perché è già successo, e allora tanto vale dire tutto, no?

Voi due non vi siete mai presi, lo so. Lui ti provocava e tu non reagivi, ma quando ci ha messo in pericolo ti sei sempre fatto avanti. E forse avrebbe dovuto imparare da te cosa significa difendersi per una giusta causa, e non farlo solo perché ci si sente forti e in grado di farlo in ogni situazione.

Non fraintendermi; non odio mio fratello, mi manca più di ogni altra cosa al mondo; mi sento responsabile della sua morte, mi sento di non aver nemmeno provato a capirlo ma tu, da parte tua, hai fatto la tua parte per non farmi sentire in colpa più del dovuto, soprattutto in questi ultimi giorni. Soprattutto quando hai saputo che Vecna mi avrebbe presa.

Ho visto nei tuoi occhi la voglia di fare il possibile per salvarmi e io, di questo, te ne sarò sempre grata.

Ti definiscono tutti una babysitter, e forse lo sei. E lo sappiamo tutti che Dustin è il tuo figlio preferito ma... permettimi di dirti che per me non sei un padre. Non sei nemmeno il rimpiazzo di Billy.

Sei semplicemente un fratello. Forse quello di cui ho sempre avuto bisogno sin da piccola.

Sono felice che tu ci sia stato. Sono felice che tu abbia sempre fatto il possibile.

Scusa se a volte ti ho trattato di merda, e ti ho fatto impazzire, ma non fanno forse anche questo, i fratelli?

Grazie di tutto, è il minimo che possa dire.

Max.» 

Eddie fissa la lettera, seduto sul sedile dell'auto accanto a quello di Steve, che sta guidando verso il cimitero e, quando si volta a guardarlo, lui gli restituisce un fugace sguardo, prima di tornare a guardare la strada.

Gli ha confidato della lettera, gli ha detto che Max ne ha lasciata una per tutti, persino a Billy, e che non si aspettava che ne avrebbe ricevuta una da lei. Non credeva di essere così importante nella sua vita, che lo reputasse addirittura un fratello maggiore. Non ciò che Billy poteva essere, ma un altro fratello e basta. Una testa calda lo stesso, ma forse per motivi diversi.

«È molto profonda. È molto da... lei», commenta Eddie, e torna poi a leggerla, come se stesse cercando altre sfumature infilate in mezzo a quelle parole così goffe, quasi dure se non si conosce Max. E invece c'è tutto l'affetto possibile tra quelle righe, e Steve non ha nemmeno voglia di ammettere di aver pianto, leggendola, anche se sa che forse è quasi impossibile credere che non l'abbia fatto. «Gli altri hanno aperto le loro?»

«Che io sappia? No. So che Robin non ha voluto aprire la sua, e a Nancy non l'ho voluto chiedere. Penso che queste lettere siano troppo personali. Ognuno ha voluto agire come riteneva giusto. Robin non ha voluto perché dice che non ha senso, che è viva e sarebbe irrispettoso leggere una cosa tanto intima sapendo che tornerà.»

«Ma lei non tornerà, giusto?», chiede Eddie, ma sembra più una domanda rivolta solo a Steve, qualcosa che lui non pensa ma di cui vuole solo una risposta da lui. Come se volesse smuoverlo. Come se a Steve servisse...

Sbuffa, ma in realtà si sente uno schifo e vorrebbe urlare. «Non lo so. Io non so niente, okay? So solo che la morte clinica è accertata, anche se respira e il cuore le batte. Solo che non siamo fatti solo di questo, no? L'anima? Esiste? Tornerà? Mentirei se ti dicessi che non lo sto sperando con tutto me stesso e che mi sento terribilmente in colpa per non essere riuscito a salvarla, ma...»

Eddie lo interrompe con un grugnito stanco e gli fa cenno di tacere muovendo velocemente una mano a mezz'aria. «Steve, cristo, non ti devi giustificare con me. Se ti senti in colpa e hai voluto sapere cosa ti avesse scritto è okay. Cazzo, avrei fatto lo stesso. Ti ha praticamente detto che hai sempre fatto tutto il possibile per lei. Riconosce le tue azioni. Se tornerà tanto meglio, in caso si arrabbierà con te per averla aperta, ma non ti odierebbe mai per averlo fatto. Le ha scritte apposta per tirare fuori quello che non riesce a dire. Insomma, quella ragazzina è un ghiacciolo!»

Steve ridacchia leggermente, e vorrebbe non concordare così tanto con quelle parole ma, come al solito, Eddie è in grado di leggere le persone anche se le ha conosciute per poco.

«Solo Lucas riesce a sopportarla», si sente di dire, per smorzare un po' la tensione, anche se il pensiero di Sinclair perennemente rinchiuso in quella stanza d'ospedale non lo conforta affatto e sa che non sta facendo nulla per aiutarlo.

«Sono un sacco carini insieme, però», ammette Eddie, e avvicina la faccia alla sua e gli rivolge un sorrisetto malizioso, che allo stesso tempo è pregno di tenerezza.

Lui lo scosta ridendo. Eddie a volte non sa cosa significhi lo spazio personale e, anche se la cosa non gli dispiace, tende a non voler essere distratto mentre è alla guida. «Lo ammetto, sono carini. Hanno avuto alti e bassi, ma alla fine non hanno mai smesso di cercarsi.»

«E Lucas ha combattuto come un vero guerriero per il vero amore!»

«Ha avuto un buon maestro», risponde Steve, ironicamente, lanciandogli uno sguardo per vedere la sua reazione e, quando lo vede alzare scetticamente le sopracciglia e poi scoppiare a ridere, scuote la testa fintamente indignato.

«Saresti tu?», esclama Eddie, e lui gli pianta una mano in faccia per allontanarlo, quando lo vede di nuovo avvicinarsi.

«Non rompermi le palle, Munson. Fino a prova contraria sono io quello che ha fatto il primo passo, tra di noi, o no?»

«Dopo che ho flirtato con te per giorni? Stavo quasi perdendo le speranze, credevo che non avessi nemmeno capito i miei segnali.»

«Se quello è flirtare, io sono un Necromantico

«Un Necrocosa

«Un... quella roba lì! Senti, non sono un nerd del cazzo come te e i tuoi ragazzini, quindi sta' al tuo posto, bestia senz'anima!»

«Hai proprio l'attitudine da giocatore incazzato di D&D, lo sai? Secondo me ti divertiresti da moooorire se ti unissi a me e Dustin!»

«Proverei solo per il gusto di battervi tutti quanti, e ne sarei capace. Specie quel ragazzino. Gli servirebbe una botta di umiltà.»

«Dio santo, la tua capacità di non capire niente di niente è veramente a livelli spaventosi. Ridurre D&D a un gioco dove tutti battono tutti è così riduttivo, così da... gente che non ne capisce un cazzo di niente!», lo apostrofa Eddie, e Steve vorrebbe ridere, perché quel continuo punzecchiarsi lo fa sentire a suo agio; gli fa quasi dimenticare che hanno il sottosopra contro e che, momenti come quelli, non durano per sempre. «Sei quasi adorabile, Harrington.»

«Beh, mettimi alla prova. Un giorno vengo a giocare e ti farò rimangiare tutto quello che hai detto a suon di umiliazioni.»

«Aggiudicato. Finita tutta questa merda giocherai con noi a D&D. Ci conto, ormai l'hai detto e io sono abbastanza petulante da costringerti a non tirarti indietro dopo una promessa come questa!», risponde Eddie, e gli mostra il pugno.

Steve vorrebbe dirgli che lo spera proprio, che quella merda trovi presto una fine e che possano vivere finalmente felici in un mondo che non ha più nulla da temere ma, a dirla tutta, è cosciente che stanno solo parlando così, tanto per e che la realtà è un'altra. Se davvero tutto finirà per il meglio, cosa di cui continua a dubitare fortemente, ci saranno troppi cocci da raccogliere. Dovranno ripulire il nome di Eddie e fare i conti con chi continuerà a crederlo un assassino. Dovranno mettere in ordine le loro vite, scendere a patti con molte perdite, perché Steve è sicuro che ce ne saranno e, ad essere onesti, l'idea di sopravvivere a uno scontro finale vero contro Vecna gli sembra fin troppo remota.

È da quando hanno salvato Eddie che ci pensa: la prossima volta che scenderà lì sotto, non è certo che tornerà in superficie, stavolta.

Trattiene un sospiro di puro terrore e, girandosi a guardarlo, batte il pugno contro il suo, promettendo qualcosa che è certo di non poter mantenere.

«Andata!», risponde, e negli occhi dell'altro vede un sollievo, forse un appiglio al quale si è appena aggrappato ma, dal velo leggero di tristezza che gli è sceso davanti, Steve sa che anche lui non crede che le cose saranno più come prima e che forse, nella peggiore delle ipotesi, non ci sarà nemmeno un dopo.

Arrivati al cimitero l'atmosfera più distesa di poco fa scema via come una foglia nel vento e lascia spazio a un silenzio che resta bloccato lì non appena Steve tira il freno a mano di fronte al cancello d'entrata.

Si volta a guardare Eddie, che ora fissa gli altissimi cipressi sparsi per il terreno e che superano di molto il muro di cinta. Non c'è nessuno, la loro è l'unica auto parcheggiata e i motivi sono due: il primo è l'orario scelto, ovvero le sei del pomeriggio, il più vicino alla chiusura del cimitero. L'altro, più atipico, è la paura.

Da quando i portali hanno causato il terremoto e gli spacchi, le persone tendono a uscire di casa solo in aree meno a rischio, e evitano di visitare posti che, è triste da pensare, possono essere messi in secondo piano.

Non per Eddie, però.

«Sei sicuro?»

«Glielo devo», risponde subito, poi sospira e fa per aprire la portiera della macchina.

Steve lo ferma prendendolo per un braccio e, quando Eddie si gira a guardarlo interrogativo, si sporge nel sedile posteriore e ne riemerge con un cappellino da baseball. «No», dice Eddie, col tono di chi ha appena visto un costume da coniglio rosa e che è costretto ad indossare per qualche assurdo motivo.

«È per la tua incolumità. Non possiamo rischiare che qualcuno ti riconosca!»

«Ma sono già vestito... come te! Ho la tua roba addosso, chi mai penserebbe che sono io? Sono così colorato che stento a credere anch'io di essere Eddie Munson!»

«Non puoi semplicemente indossarlo e evitare di rischiarcela inutilmente? È solo un cappello! Che male ti ha mai fatto un cappello?»

«Non ho speso anni della mia vita a farmi crescere i capelli per poi nasconderli!»

«Questo è un discorso che potevi fare quando non eri ricercato dalla polizia», lo rimbecca Steve, e Eddie si accascia sul sedile e fa roteare gli occhi, infastidito ma visibilmente sconfitto. «Si tratta solo di una precauzione.»

«Stai facendo il babysitter anche con me, ora», sbuffa Eddie, e non è una domanda ma pare quasi un insulto dai toni infantili.

Lui ride e alza le spalle. «Deformazione professionale. Ora avanti, infila questo coso e mettici dentro i capelli.»

«Va bene, mamma», risponde l'altro, e sembra un bambino costretto a seguire per forza le direttive di un genitore. Indossa il cappello bianco e verde della Hawkins High, premurandosi di infilare tutta la massa di capelli al suo interno e, quando alza lo sguardo quasi disperato, Steve inclina la testa e si rende conto di trovarlo adorabile, con quella frangetta scura che gli scende quasi sugli occhi, coprendoli. «Sei inquietante se mi guardi così.»

Non gli risponde nemmeno. Piega la testa di lato per evitare la visiera e gli bacia le labbra, e si rende conto di averlo preso di sorpresa, siccome Eddie ha sussultato. Poi però lo prende per il colletto e approfondisce quel bacio, e Steve si sente sciogliere dentro. Quando si staccano, si sorridono per un secondo, prima di tornare alla realtà e ritrovarsi, di nuovo, nel cimitero di Hawkins.

Scendono dall'auto e, chiudendo le portiere con una certa leggerezza, forse come forma di rispetto inconsapevole, si incamminano verso l'entrata. Superato il cancello si ritrovano di fronte ad un sentiero sterrato, che li porta immediatamente tra le lapidi di marmo, per lo più rovinate dal tempo, segno che quelle sono le meno recenti.

Steve si fa avanti e gli fa cenno di seguirlo. Sa dove hanno portato Chrissy o, più o meno, immagina si trovi in un certo punto. L'ultimo funerale al quale ha assistito è stato quello di Billy, nella zona più nuova e di certo non deve trovarsi tanto lontana da lui. Difatti, quando arrivano, ci sono lapidi nuove e piene zeppe di fiori, perché le vittime dello squarcio sono state centinaia, e il cimitero si è popolato improvvisamente e in poco tempo, e questo è solo un motivo in più per odiare quel posto.

«Jason?», dice Eddie, all'improvviso, e Steve non sente più i suoi passi dietro di sé. Si è fermato e, quando si volta a guardarlo, lo trova di fronte ad una lapide nera, con una scritta in oro che recita Jason Carver 1970 - 1986. Eddie si avvicina per guardare la foto e, quando si rende conto che è lui, indietreggia. «È morto?»

Steve non sa cosa dire. Vorrebbe raccontargli come è successo, che dentro quella bara probabilmente c'è quello che ne è rimasto di Jason. Una persona che non gli è mai andata a genio, e il fatto che abbia tentato il tutto e per tutto per trovare Eddie e farsi giustizia da solo non lo aiuta a rattristarsi adeguatamente per l'accaduto, ma deve ammettere che, dopotutto, può quasi capire. Non giustifica le sue azioni, ma nemmeno pensa che meritasse di morire.

«Sì, quando si sono aperti gli squarci. È una delle vittime di quello che la gente pensa sia stato un terremoto.»

Eddie non risponde. Continua a guardare la lapide e la foto di Jason, e non parla. Apre la bocca, di tanto in tanto, forse pensando di dover per forza dire qualcosa, ma non c'è bisogno di dire niente. Steve non lo giudica, se pensa che se lo sia meritato. Dopotutto Eddie è stato perseguitato da Jason, e forse si sente in parte libero da un'oppressione in meno? Magari, lui, non è così magnanimo e l'odio che sente gli dà il diritto di non mostrare pietà.

Poi però sembra quasi metabolizzare e, con un sospiro frustrato, fa un passo avanti. «Mi dispiace. Non era cattivo, era solo... be', forse è diventato cattivo, dopo quello che è successo a Chrissy ma ammetto che mi dispiace per lui», dice e, sebbene il suo tono sia fermo e quasi privo di emozioni, Steve li vede due barlumi di pietà nei suoi occhi e, rispettando per un secondo quel groviglio di emozioni che devono averlo colpito, lo prende poi per mano.

«Andiamo», lo invita, e lui annuisce, rivolto ancora verso la lapide.

«Riposa in pace, Carver. Ovunque tu sia», dice solo e Steve ha la sensazione che quel dovunque tu sia è un riferimento poco velato all'inferno.

Si incamminano di nuovo verso il sentiero, e non lo disturba il fatto che si stiano ancora tenendo per mano. È un momento delicato, forse persino fragile e, se questo è il minimo che può fare per confortarlo, lo farà.

Arrivano poi di fronte alla tomba di Chrissy. La quantità di fiori e di regali, peluche, spille, bamboline, elastici per capelli e altre cose così da Chrissy sono infinite. Coprono quasi la sua foto e, spostando un girasole, Eddie la scopre totalmente e la guarda.

Steve si avvicina, e le loro mani si slegano. Resta a debita distanza, di nuovo rispettoso del silenzio e del dolore del compagno. Incrocia le mani tra loro e guarda anche lui la foto.

Non ha mai visto Chrissy senza la divisa, o la sua coda di cavallo. In quella foto, però, ha i capelli sciolti e una camicetta celeste chiusa davanti con un nastrino blu. Sorride alla camera, nella sua giovinezza ormai ferma lì e, a dirla tutta, è impossibile non pensare che sia stata bellissima.

Eddie è lì, immobile, con le braccia incrociate al petto, le mani sotto le ascelle. Sembra quasi che si stia abbracciando, che stia cercando di confortarsi da solo e, in quel momento, Steve sente di non poter fare molto. Di non poter capire quel dolore, di non poter comprendere quei sensi di colpa, perché non sono come i suoi. Sono peggiori. Sono incubi vividi.

Perché quando Barb è morta né lui né Nancy c'erano, ma quando Chrissy è stata presa da Vecna, Eddie era lì e non ha potuto fare niente. Niente di niente.

«A volte mi chiedo», esordisce Eddie, senza distogliere mai lo sguardo da quella foto, «Se non ho accelerato io la sua morte.»

«Che intendi?»

«Che magari, non so... fidarsi di me le ha dato modo di amplificare in qualche modo le paure, e l'ho resa più vulnerabile.»

«No, non penso. Lo sai che non è così e che, anzi, forse è stato meglio che fosse con te. Anche se, lo so, è stato orribile, ma non era sola. È stato meglio così, in qualche modo.»

«Come potrebbe essere meglio? Poteva essere con chiunque altro, con le sue amiche, con Jason, con i suoi... poteva essere con chiunque altro, invece che con me.»

«Io penso che tu debba vederla sotto un'altra prospettiva. Quella che, alla fine, ti ha chiesto aiuto e sei stato l'unico che era disposto a darglielo. Forse non si è mai sentita così capita come quando era con te, o così penso io.»

Eddie non risponde più, ma sa che lo ha colpito nel segno. Sa di aver detto qualcosa che ha senso, che può cambiare totalmente prospettiva con cui vedere ciò che è successo nel suo caravan quella sera. Forse non gli ha tolto l'intero masso dalla schiena, ma qualche sassolino dal cuore sì.

Lo vede abbassare la testa, ma rilassa le braccia. Alza una mano per passarla davanti alla foto, come se volesse pulirla e, quando si ferma, Steve capisce che ci sono cose che non si possono condividere; ci sono dolori che vanno affrontati da soli e che, ora, lui è di troppo in quel groviglio confuso che Eddie sta vivendo di fronte alla lapide di una persona che avrebbe solo voluto salvare.

«Ehi ti lascio solo, okay? Quando hai fatto mi raggiungi alla macchina, d'accordo?», dice, e gli posa una mano delicata sulle spalle.

Eddie annuisce e basta, e lui se ne va, tenendosi stretto tra i denti uno stai attento, non restare troppo da solo, anche se sa che forse non c'è nulla di cui preoccuparsi.

•••

Quando torna alla macchina si siede sul sedile della guida e, reclinando la testa all'indietro, sospira. Non si è mai sentito tanto spaventato come in questo momento e, allo stesso tempo, inutile. Si chiede se sarebbe stato meglio restare lì con lui, a dargli conforto, ma il modo con cui ha annuito, quasi come gli fosse grato della proposta di lasciarlo solo, lo ha un po' convinto che a volte c'è bisogno anche di questo: del restare con sé stessi e lui lo sa, anche se a volte ci resta senza nemmeno volerlo. Passa giorni, mesi interi a casa da solo, a guardare il soffitto, a cercare di dormire in una casa vuota, quando vorrebbe semplicemente non dover condividere quel silenzio solo con se stesso e, ora che Eddie è diventato parte della sua vita, e hanno dormito nello stesso letto condividendo uno spazio vitale, si rende conto di quanto avesse bisogno di tutto questo.

Non ha ancora avuto modo di riflettere troppo su quello che è successo e di come siano finiti a baciarsi sul bordo della sua piscina, ma a volte non c'è spiegazione a qualcosa che si presenta con un tale magnetismo. Non ha ancora le idee chiare, non ha ancora capito chi è. Non gli piacciono i ragazzi, non gli sono mai piaciuti, non li ha mai guardati come guarderebbe una donna, eppure con Eddie è tutto diverso. È l'averlo guardato dentro che ha cambiato le cose; le ha ribaltate e, ora che sono insieme e si sono praticamente detti di provare le stesse cose l'uno per l'altro, Steve è diviso tra dei sentimenti di felicità e quelli di puro terrore.

Non vuole perderlo, non ora che qualcuno lassù gli ha dato una seconda occasione.

Fissa dritto di fronte a sé, ma sta solo cercando di guardarsi dentro e capire cosa sente e come rimettere a posto quei pensieri confusi e dargli un nome.

Gli duole ammetterlo, ma gli serve Robin.

Sussulta, poi, quando la portiera della macchina si apre e Eddie entra sedendosi al posto del passeggero. Si toglie il cappello e lo posa delicatamente sulle gambe.

Steve lo guarda e, senza dire niente, aspetta che sia lui a parlare.

Non riceve il suo sguardo in risposta ma, quando i suoi occhi si riempiono di lacrime e si copre il viso con le mani, si sente sprofondare nel vuoto. Non resta nemmeno un secondo a pensare e, prendendolo per le spalle, lo abbraccia.

Eddie nasconde il viso nella sua spalla, e piange in silenzio, come se non meritasse nemmeno di sentirsi così e di avere il privilegio di potersi lasciare andare con qualcuno e esternare dei sentimenti come quelli. Lui gli accarezza i capelli e gli bacia la testa, di tanto in tanto, e continua a tacere.

Non è bravo a confortare le persone, ma sa come ci si sente in certi casi. Così lascia semplicemente che quel flusso di tristezza sgorghi via e che, quella vena oscura di sensi di colpa, scivoli via con lacrime di pura liberazione.

Ne avrebbe bisogno anche lui, a dirla tutta, ma non è tempo. Non è questo il momento.

Ora deve solo salvare Eddie dai suoi incubi, il resto ha ben poca importanza.

Fine Capitolo XVI

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