Capitolo XXIV - Epilogo

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Capitolo XXIV - Epilogo

Quel risveglio ha lo stesso, identico sapore di un post sbornia. Ha la sensazione che qualcuno gli abbia infilato la testa sotto a una pressa e che, ora, ne sia prigioniero. All'altezza dello stomaco c'è un peso che non va né su e né giù. Resta lì, in mezzo al petto e non si muove di un millimetro.

Meno male, pensa, con un po' di sollievo e un sorriso amaro, forse non vomiterò nemmeno.

Vorrebbe aprire gli occhi ma, dietro il buio delle palpebre chiuse, vede l'accenno di una luce accesa e sa - oh, se lo sa! - che quando le aprirà, sarà come vedersi arrivare in faccia il flash fortissimo di una macchina fotografica.

Alza a fatica una mano per portarsela alla fronte ma, quando prova a compiere quel gesto, si rende conto che qualcosa stringe intorno ai suoi polsi. Tira le mani verso l'esterno e, l'unica cosa che riesce a pensare, mentre si lascia sfuggire un sospiro frustrato, è già, è vero, sono pericoloso.

«Ehi.» È la voce di Steve a rompere quel momento di riflessione, dove il suo unico obiettivo è quello di capirci qualcosa, anche se forse ha già capito e non c'è molto altro da dire a riguardo. Gira la testa verso la voce dell'altro e, a fatica, apre leggermente gli occhi. La luce accesa è fioca e calda, ma gli bruciano comunque gli occhi. Deve aver perso i sensi per un bel po'.

«Ehi», mormora e ha la sensazione che quel modo di salutarsi – quel ehi, sia ormai qualcosa che appartiene solo a loro. «Scusa, mi sono addormentato», ironizza, e ha ancora la voce impastata. Steve sbuffa via una risata e sembra rilassarsi di più sulla sedia sulla quale è seduto.

Incrocia le braccia al petto. «Hai dormito cinque ore. L'effetto del sedativo ne garantiva tre. Tu, come al solito, hai voluto strafare.»

«È stata una nottata particolare. Me le sono meritate, queste ore di sonno!», controbatte, e gli occhi stanno iniziando ad abituarsi alla luce, ma sta iniziando a fargli male la schiena, e capisce il perché quando si rende conto di essere sdraiato su una brandina da campeggio, sopra a un materasso sottile, coperto da un lenzuolo azzurro che almeno profuma di bucato pulito. «Sono tipo in prigione?»

«Sai che non posso rispondere a questa domanda», dice Steve, e slega le braccia dal petto e poggia i gomiti alle ginocchia. «Sei al sicuro, questo sì, ma non posso dirti altro, mi dispiace.»

«Già, immagino sia la cosa migliore», risponde Eddie, e si guarda intorno, mentre cerca a fatica di sedersi sul letto – e, con le mani legate, non è così semplice. Lancia un'occhiata a Steve che, come al solito, è lento a capire le cose basilari e, con un oh! si alza immediatamente e lo aiuta. «Sembra un ripostiglio.»

«Eddie...», sospira l'altro, e lo sa benissimo cosa vuol dire quel monito: non posso dirti nulla, non posso darti indizi, non devi sapere dove sei. Vecna non lo deve sapere.

«Lo so... la curiosità uccise il gatto», ridacchia e gli fa l'occhiolino poi, quando è finalmente seduto sul letto, si guarda le mani legate. «Ho letto da qualche parte che ci sono delle persone che usano le corde per far-»

«Ho già capito, non c'è bisogno che prosegui!»

«Quando avrete sistemato tutto potremmo pro-»

«Eddie!», lo riprende Steve e, quando si gira a guardarlo, scoppia a ridere. Non lo ha mai visto così in imbarazzo in vita sua. Non c'è stata una sola volta in cui ha visto Steve Harrington arrossire. Si sente come se gli fosse stato concesso un privilegio incredibilmente raro, e forse è così. Sono poche le volte in cui si è sentito fortunato, in vita sua, e questa è una di quelle. Non riesce ancora a dare una forma, nella sua testa, a tutto quello che è successo nell'arco di quelle settimane: dalla morte di Chrissy, fino alla propria morte e poi al bacio a bordo piscina scambiato con Steve che, in qualche modo, sembra aver dato inizio a una nuova fase della sua vita, sebbene già troncata da una separazione imminente.

Perché Eddie lo sa, che se si trova in un posto di cui non conosce niente, che non sa dove si trova e Steve è lì accanto a lui, stranamente così calmo, significa che si stanno salutando.

E, la paura più grande, è quella che lo stiano facendo per sempre. Perché ora si fa sul serio, ora le cose sono decisamente meno semplici – anche se forse non lo sono mai state davvero. Stavolta il rischio è altissimo, e tutti dovranno fare la loro parte. Anche lui, rimanendo lì, cercando di tenere a bada Vecna, anche se questo di certo non lo fermerà.

Steve si siede accanto a lui, sul bordo della brandina che si piega quasi pericolosamente sotto al peso di entrambi, ma lui sembra non badarci. Vuole stare lì, e nessuno gli dirà di andarsene, menchemeno lui.

Anzi, vorrebbe egoisticamente che restasse lì, con lui, ad aspettare che altri salvino il mondo al posto loro, ma lo sa che non è possibile e che, dopotutto, non è nemmeno ciò che Steve vuole fare.

«Dustin ti ha preparato un po' di roba per combattere la noia. Dopo l'ultima volta a casa di quel Rick ha pensato che sarebbe stato meglio organizzarsi per non farti sentire di nuovo Eddie l'Esiliato

«Quello è il mio nome su D&D!», ride, e Steve alza le spalle.

«Beh, questo non significa che tu debba esserlo anche nella vita reale», risponde, e prende da sotto al letto una busta del supermercato e se la poggia sulle gambe. Il letto scricchiola ancora per quel peso aggiunto. «Dice che intanto puoi preparare una bella... com'è che ha detto

«Campagna?»

«Sì, campagna. Così ha messo nella busta qualche libro da leggere, un blocco e delle penne. Avrebbe voluto darteli lui, ma preferiamo che tu abbia meno contatti possibili.»

«E tu sei l'ultima persona che vedrò prima che ve ne andrete, giusto?», chiede conferma, anche se lo sa già che è così. E se da una parte gli dispiace non aver potuto salutare Dustin, o Robin e Nancy e tutti gli altri, sa che deve e può accontentarsi di quello che gli è stato concesso. In un'altra occasione, forse, qualcuno lo avrebbe semplicemente sbattuto lì dentro senza nemmeno dargli una sola cazzo di spiegazione. Invece Steve è lì, e sta prendendo tempo, e lui lo sa che è così.

«Mike e Will ti hanno portato un walkman con delle cassette. Mike dice che sono gruppi che ti piacciono, Will invece ha voluto fare a modo suo, prestandoti un mix di canzoni che gli ha regalato suo fratello qualche anno fa. Dice che, nel sottosopra, quella cassetta gli ha salvato la vita.»

«Questi ragazzini mi spaventano e mi fanno tenerezza allo stesso tempo», commenta, alzando le sopracciglia, mentre prende tra le mani proprio la cassetta di Will e legge i titoli delle canzoni.

«Sono dei mostri», commenta Steve, e quando si gira a guardarlo gli sorride con fare affettuoso, ricevendo in cambio lo stesso gesto.

«The Clash», legge, ed è abbastanza stupito che, qualcun altro, li conosca.

«La canzone che ha salvato Will al tempo era dei proprio dei Clash.»

«Quando pensavo che la musica ti salva la vita, mai avrei creduto che lo facesse letteralmente!», risponde, continuando a scorrere lo sguardo tra nomi celebri tipo i Cure o David Bowie. Pensa proprio che la consumerà, quella cassetta. Ed è felice di vedere che ci sono abbastanza batterie per poterlo fare forse per una vita intera.

«L'idea delle batterie è mia. Sono un po'... paranoico a riguardo. O almeno così dice Dustin», ridacchia Steve, e Eddie annuisce.

«Lo so. Te l'ho detto, mi parla continuamente di te. So praticamente ogni cosa sul tuo conto!»

«Questa cosa continua a farmi venire i brividi, Munson!», ribatte Steve e Eddie non può fare a meno di girarsi e fargli la linguaccia, e poi si guardano negli occhi e basta. Svanisce ogni traccia di sorrisi, di spensieratezza: quella che hanno cercato di forzare al massimo per dimenticare, anche solo per un attimo, che è il momento di salutarsi e di aggrapparsi solo alla speranza che tutto vada bene e che, tra non molto, saranno di nuovo assieme e non ci sarà bisogno di forzare proprio niente.

«Sono attrezzatissimo, dunque», mormora, e Steve rimette accuratamente tutto nella busta, che poi rimette sotto al letto, con un sospiro.

«Sì. Sei nascosto al mondo ma questo non significa che tu debba annoiarti nel processo. Non questa volta. C'è cibo, acqua. Lo stretto indispensabile, ma almeno non sarà come l'ultima volta.»

Stavolta non mi sto nemmeno nascondendo. Vi sto proteggendo da me. È una cosa diversa.

«Ah, e poi c'è un'altra cosa. In realtà avrei dovuto dartelo qualche giorno fa, ma me ne sono completamente dimenticato», esordisce Steve, all'improvviso e, allungandosi verso un mobile di metallo appena vicino alla brandina, prende tra le mani un indumento, che Eddie riconosce immediatamente.

«Non dirmi che...»

«Pensavi che l'avrei gettato via?», chiede l'altro, e lui non riesce a trattenere una risata. Prende tra le mani il suo gilet di jeans, quello che ha prestato – o per meglio dire gettato in faccia a Steve mentre erano nel sottosopra, per regalargli un po' di decenza. Non se ne ricordava nemmeno più, a dire il vero. Aveva rimosso quel capo d'abbigliamento dalla testa, troppo impegnata a pensare ad altro. Eppure quella roba è ancora lì, ed è tornata tra le sue mani. L'unico indumento che si è salvato, siccome ha buttato via tutto il resto, quando Steve l'ha portato a casa sua.

«Non ci stavo nemmeno più pensando, a dire il vero», ammette.

Steve sospira e alza le spalle, poggiando i gomiti sulle ginocchia e incrociando le dita tra di loro. «È stato sulla sedia della mia stanza per giorni e... okay, è dura ammetterlo, ma è uno dei motivi che mi ha spinto a scendere laggiù per venire a salvarti. L'ho tenuta, in realtà senza un motivo in particolare, l'ho semplicemente appoggiata lì quando sono tornato a casa e, nulla. Te la restituisco.»

«Vuoi che ti dica una di quelle frasi fatte tipo: no, tienila, e riportamela quando avrai vinto la battaglia?», chiede, ironicamente, sbattendo poi le ciglia in modo fintamente romantico, e Steve gli dà uno spintone. Lui per poco non perde l'equilibrio. Avere le mani legate non è esattamente il modo migliore per prevenire una caduta.

«No, non lo farò e penso che sia meglio che la tenga tu. Ammetto di aver sviluppato un certo affetto per questo gilet e non è assolutamente legato a te, piuttosto al fatto che mi sta veramente bene, però è pur sempre tuo, ed è giusto che lo tenga tu.»

«Santo cielo, Harrington, il tuo ego sta consumando l'ossigeno, tra meno di un minuto non ci sarà più aria respirabile, qui!»

«Certo, certo, come se non sapessi che la pensi allo stesso modo, Muson!», lo rimbecca Steve, e lui lo squadra da capo a piedi indignato, poi ridono.

Poi sospirano.

Poi si guardano.

Steve gli appoggia una mano sulla guancia, e ha messo su uno di quegli sguardi che significano troppe cose. Eddie lo percepisce l'inesorabile avvicinamento di quel momento: quello in cui si alzerà in piedi e se ne andrà, facendogli promesse che sa di non poter mantenere ma che, alla fine, servono a lui per non impazzire.

Non sa nemmeno se Vecna li stia guardando, se stia scalciando da qualche parte, dentro di lui, per uscire allo scoperto e fare del male alle persone. Fare del male a Steve. E forse è meglio che quel momento arrivi subito, che si separino al più presto, anche se non vogliono. Anche se significa vivere poi solo di speranze e di illusioni.

«Devo andare», dice Steve, e quando Eddie annuisce, gli appoggia la fronte alla sua, e chiude gli occhi, sospirando. La può sentire da lì, la carica di frustrazione e paura, e forse di dolore, che Steve prova dentro di sé, e tutto ciò che Eddie invece prova è un forte senso di ingiustizia.

È finito in quella storia per caso, tentando di fare del bene, di aiutare qualcuno che gli era parso solo. Chrissy era sola, nessuno al mondo sembrava in grado di comprendere cosa stesse passando, eccezione fatta per lui, e ha deciso di non tirarsi indietro, di darle una mano, di farle compagnia in quella solitudine che forse un po' condividevano e ora... e ora sembra dover fare lo stesso con Steve, e forse non vedrà mai più nemmeno lui.

Si scambiano un bacio che sa di tante, troppe cose astratte; sa di parole, di non detti e di paure. Speranze, sentimento, ma anche un baratro nel quale cadere giù senza mai davvero toccare il fondo.

Eddie non l'ha mai davvero toccato il fondo, e pure quando continua a cadere, ci prova lo stesso a tornare su. E non lo fa mai per se stesso, ma per gli altri.

Pensa a zio Wayne, che lo crede morto, ma che spera di poterlo abbracciare presto e di cambiare vita, di fare qualcosa per migliorarsi e per ricambiare tutto quello che ha fatto per lui nel corso di questi dodici anni dove hanno vissuto assieme. Pensa a Gareth, Jeff, e a quello che hanno creato insieme a scuola. Alle pecorelle smarrite che hanno salvato. E poi a Mike e a Erica Sinclair, che è stata la più grande sorpresa dell'anno, sottosopra a parte. E a Lucas, che forse è la pecorella più smarrita di tutte, ora come ora. Poi pensa a Dustin, che pure se sotto l'influenza di Vecna, ha deciso di seguire il cuore e non la ragione, per una volta nella vita, e gli è grato per averlo fatto. Gli deve molto – anzi, gli deve tutto. Gli deve una vita nuova e, probabilmente, gli deve anche quel bacio che lui e Steve si stanno scambiando e tutti quelli che si sono già scambiati.

E quel bacio è pura follia dei sensi, non sa nemmeno cosa sta provando. Quel bacio è come cadere giù, nel vuoto infinito, consci che prima o poi toccheranno terra e faranno rumore. Le labbra di Steve sono come pioggia leggera che picchietta sulla pelle, eppure Eddie ha la sensazione che potrebbe rompersi da un momento all'altro, come se quella non fosse poi davvero pioggia, ma una raffica di proiettili di cristallo. E lui un vetro già spaccato, pronto ad infrangersi.

Quel bacio è un lambire di fiamma, calce solida di qualcosa che non riescono a dirsi, ma rimane almeno impressa tra le labbra.

È pura magia senza tempo, eppure quel tempo si esaurisce.

Steve si stacca, lentamente. Le labbra si scollano, sembrano due fogli di carta adesiva che vengono separati con lentezza.

Eddie apre gli occhi e trova, già pronti nei suoi, quelli di Steve. Non si è accorto che, nel frattempo, gli ha preso le mani e gliele ha strette alle sue con una disperazione che ha fatto quasi male. Sente quel tocco perdere di forza, e le sue dita staccarsi dalle proprie.

Vorrebbe reclamarne ancora. E non sa se sia la necessità di un nuovo bacio o solo la sua presenza, ma non vuole vederlo andare via.

Ma lo sa, dentro di sé, che nemmeno Vecna vorrebbe che Steve se ne andasse ed è questo, infine, che gli dà la forza di lasciarlo andare.

Steve si alza in piedi e si avvicina alla porta; lo fa con la velocità di chi non vuole soffrire ancora, anche se sa che, una volta varcata quella soglia, c'è l'inferno ad attenderlo. È voltato di spalle, e le può vedere muoversi a ritmo col suo respiro. Indugia prima di aprire e si vede che il suo piano veloce e indolore di andare via di corsa, non sta andando come vorrebbe.

«Steve», lo chiama, proprio come quella volta, nel sottosopra, quando lo ha fermato per dirgli tutto l'opposto che avrebbe voluto dirgli.

Steve sembra rivivere esattamente quel momento; si volta, e ha la stessa, medesima espressione di quel giorno. «Sì?»

Stavolta, però, Eddie non tentenna come ha fatto quella volta. Sa cosa vuole dire, e sa che è quello stesso desiderio che avrebbe voluto esternare quel giorno, solo che ora si sente libero di farlo senza aver paura di sentirsi respinto. O sbagliato. O un mostro. «Non morire, okay? È l'unica cosa che ti chiedo.»

L'altro annuisce, ma è difficile non aver notato quella pausa che gli ha oscurato gli occhi prima di farlo. «Non lo farò, te lo prometto», e sa che, quella promessa, Steve non è certo di poterla mantenere e che, ora come ora, non gli resta che sperare di rivederlo spuntare da quella porta, dalla quale è uscito, infine, e che ha chiuso alle sue spalle portandosi via tutto, lasciandogli solo un vuoto che solo lui potrà colmare col suo ritorno.

Fino ad allora, l'unica cosa che può fare, è aspettare. E non è mai stato bravo ad aspettare, a dire la verità.

Ma, se non ci metterà troppo, a tornare, sarà disposto ad aspettarlo anche per tutta la vita, se necessario.

Purché ritorni, è disposto a soffrire l'inferno. Ne varrà la pena, lo sa.

Anche se ha la sensazione che quello sia l'ultimo giorno dell'umanità.

Fine

«Andando per le strade
Si nasce e si muore
Io ti ho amata per sempre
E t'ho avuta per due ore.»

Alessandro Mannarino - L'ultimo Giorno dell'Umanità.

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