CAPITOLO 3 - parte prima

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Voleva essere in un solo luogo, in quel momento, e sicuramente non era quel covo di vipere e tarantole. Vedeva tutte quelle Creature guardarla con sospetto, con superiorità, con derisione. Lei era il disonore della Famiglia Reale del Regno del Fuoco, la figlia che il padre aveva dovuto far arruolare per riuscire a darle una raddrizzata.

Si morse l'interno della guancia. Era rimasta a testa alta per tutto il tempo, non si sarebbe di certo lasciata intimorire da loro. Dovevano essere loro a temerla, ad avere paura della sua ira.

Il suo pugnale era saldamente agganciato alla coscia, nascosto dalla veste rossa. Era riuscita a infilarlo lì senza che le serve lo notassero. Per lei era importante avere sempre un'arma in più addosso, giusto perché era lei stessa l'arma migliore che potesse conoscere a fondo.

Guardò suo padre, così intento a chiacchierare con due femmine che se lo stavano mangiando con gli occhi. nel giro di poco tempo, sarebbe riuscito a portarsele a letto entrambe. Era questo che odiava di lui: era ovvio che suo padre non pensasse in alcun modo a sua madre, al fatto che si fosse sacrificata per permettere agli Esiliati di scappare.

Forse lo faceva proprio per sporcarne il ricordo, ma sapeva che non era così. Per suo padre era impossibile toccare l'argomento della sua amata scomparsa, eppure lo lordava con quelle sue azioni deplorevoli.

Cambiò obiettivo, disgustata dalla sua vista.

I suoi occhi caddero sul capannello di soldati che stava accanto al tavolo che serviva il sidro. Molti di loro erano già alticci, urlavano e cantavano come se fossero in un accampamento militare e non nella Sala del Trono del Palazzo Imperiale. L'Imperatrice Luatra si era avvicinata a loro con grazia, parlando alla Comandante come se fosse sua figlia.

Quanta falsità, quanta spocchia.

Le venne in mente il modo in cui si era permessa di parlarle, proprio come se fosse superiore di lei.

Nemmeno suo padre si era mai permesso di rivolgersi in quel modo a lei, nessuno aveva mai avuto anche solo l'ardire di pensare una cosa simile. Eppure, in un solo giorno aveva ricevuto il trattamento che non le era mai stato riservato in tutti quei secoli di vita.

Avrebbe trovato il modo di farla pagare a tutti.

Primo fra tutti, sulla sua lista personale, ci sarebbe stato il Comandante delle Guardie Reali di suo padre. Aveva visto come era cambiato il suo sguardo quando era entrata nella Sala del Trono con Brither al proprio fianco, era addirittura riuscita a contare le frustate che avrebbe voluto dargli di persona.

In quel momento, desiderava con tutta sé stessa essere a casa solo per proteggere Brighter. Era colpa sua, non di lui, se lo aveva incastrato in quella relazione proibita. Doveva essere lei a prendersi le frustate, non lui.

Si appoggiò al trono, utilizzando tutta la sua forzata eleganza per non apparire annoiata, anche se sapeva che il suo volto era un libro aperto. Per questo tutti l'adocchiavano, per questo nessuno si spingeva mai oltre con lei. Era facile leggere dalla sua espressione cosa provasse in quell'esatto momento.

«La cosa che ho sempre odiato di questi ricevimenti è l'essere costretto a presenziarvi». Una voce melodiosa come il canto di mille sirene fendette i suoi pensieri. Non le servì girarsi per capire chi avesse cercato di attaccare bottone con lei. «L'essere messo in mostra, come se fossi il miglior pezzo da collezione di mio padre, mi ha sempre procurato un grande disagio. Avrei preferito mille volte restare a casa con mia madre che venire qui».

«Sai leggere troppo bene la mia espressione, per questo so che non pensi questo». Non era semplice prenderla in giro, era ovvio che molti cercavano di approcciarsi con lei solo per poter raggiungere le grazie del Re; era un atteggiamento che lei aberrava, tra le tante cose. Avrebbe preferito tagliarsi i piedi che avere a che fare personalmente con Creature simili.

Ma Mako no.

Lui era realmente interessato a fare due chiacchiere, anche perché, come lei, veniva ignorato da tutti. La sua mancanza di poteri, nonostante da entrambe le parti i suoi geni fossero forti, lo avevano fatto diventare lo zimbello delle Lande di Rehlo. Eppure, nonostante questo, i suoi genitori lo amavano e sostenevano come nessuno aveva mai fatto con lei.

Un senso di ingiustizia le strinse il petto, ma cancellò immeditatamente quell'emozione prima che gliela si potesse leggere in volto. Avere la consapevolezza di quanto si potesse essere comunicativi non era il massimo, ma le aveva permesso di sviluppare i suoi pensieri in maniera veloce.

«Beh, credo sia per questo motivo che la nostra amicizia dura da secoli».

«Non la definire "amicizia"», rispose Ightar. Per lei nessuno era amico, se non Brither. Per lei nessuno valeva la pena del suo interesse o della sua preoccupazione se non lui. Solo lui.

«Hai ragione. Sarebbe meglio definire il nostro rapporto come: "stiamo cercando di sopravvivere alla vita secolare che ci è stata donata". Anche se, a dire il vero, mi chiedo perché non possiamo vivere come vivono gli dei». Si girò in tempo per vederlo mordersi il labbro inferiore. «Sai, appena ho scoperto del tuo arruolamento ti ho invidiato. A te è sempre piaciuto combattere, tuo padre è sempre stato orgoglioso di questo. Mio padre, invece, non sopporta vedermi chinato sempre sui libri».

Ightar continuava a fissarlo in silenzio. Riusciva a vedere negli occhi di Mako il profondo dolore che si portava dietro, era sempre stata in grado di avvertirlo. Lui era bravo con gli incantesimi, era bravo a trovare i segreti che il passato nascondeva, ma suo padre non andava fiero di quel lato curioso di suo figlio. Più volte aveva sentito dire dal Re Marelo che avrebbe desiderato un figlio come lei, devoto alla guerra e alla grande causa che le Lande di Rehlo hanno deciso di perpetrare contro gli Esiliati.

Eppure, anche se non definiva il rapporto tra loro come un'amicizia, Ightar aveva sempre provato profondo rispetto e simpatia per Mako. Era sempre stato in grado di trovare una soluzione per ogni problema tra i suoi libri.

«Mi sarebbe tanto piaciuto poter nascere con la Magia come tutti voi, ma i geni difettosi dei miei antenati hanno deciso di mostrarsi proprio con me. Siamo entrambi degli emarginati, Ightar, solo che tu sei socialmente più accettata perché riesci a tener testa a tutti. Io posso essere deriso perché, per quanto mio padre possa dire di amarmi, nemmeno lui se la sente di difendermi».

«Non ho scelto io di unirmi ai Lucyle», disse lei. Abbassò lo sguardo, dimenticandosi per un istante la sua maschera ostile e mostrando le emozioni che le tempestavano il cuore da quella mattina: paura, rabbia, dispiacere, odio. Le mostrò tutte in uno sguardo fugace, prima di nascondersi di nuovo dietro la sua armatura. «Mio padre ha decido di punirmi, quindi mi ha arruolata senza dirmi niente. I suoi consiglieri dondolavano come le mie frecce quando le conficco nel bersaglio». Di nuovo, le emozioni sfuggirono dal suo controllo. Si morse il labbro per evitare che accadesse di nuovo, pre riprendere il pieno possesso di ogni suo muscolo e pensiero.

Mako la studiò prima di tornare a guardare la folla che danzava e i loro genitori che parlavano senza preoccupazioni di alcuna sorta. «Voglio solo che tu sappia che andrà bene. Ricordati le mie parole».

«Hai avuto una visione?».

«Non la chiamerei in quel modo, bisogna avere la Magia per avere delle visioni vere e proprie. Diciamo che me lo sento qui», disse indicandosi la pancia. «E ho proprio la sensazione che, anche se ti sembrerò che tutto vada per il verso sbagliato, riuscirai a vedere la luce infondo a questo tunnel. Non preoccuparti più di molto, viviti quest'esperienza e lascia che a guidarti sia il cuore, non la mente. Il cuore sente cose che la nostra testa blocca per paura delle conseguenze. Al cuore le conseguenze non interessano».

Ightar tacque. Raddrizzò le spalle e tornò a guardare la Comandante. Rideva e si divertiva insieme ai suoi compagni. Ripensò a come le aveva risposto, allo sguardo sprezzante che le aveva lanciato prima di darle le spalle e andarsene. Forse, non sarebbe stata un'esperienza così brutta, alla fine. 

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