Altri interrogativi

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Mentre Cassandra guida mi chiede: “Mi sembrano simpatici i tuoi amici. Perché non me li hai presentati prima?”

“Beh, ecco io credo di non averne mai avuta l’occasione.” Rispondo alla meglio, non sapendo cosa dire. Non mi aspettavo proprio una domanda del genere. 

Lei sospira: “Ah, è probabile: quando tornavo a Udine per le vacanze sono stata più in giro con le amiche che non vedevo da un po’ che a casa con voi. Adesso però voglio recuperare.”

Segue una lunga pausa. Non ho assolutamente voglia di parlare.

“In effetti a essere sincera, i tuoi amici sono anche parecchio strambi. Mi guardavano con un’espressione… non saprei come dire, tipo da pesce lesso: quello che mi stava più vicino faceva morire dal ridere.” dice trattenendo le risate.

“Già, hai ragione.” Molto probabilmente anch’io dovevo aver avuto quell’espressione ieri mattina, quando l’ho vista entrare nella mia stanza d’ospedale. “Penso sia perché siamo quasi identiche.” Ci tengo a sottolineare quel quasi. Io di me stessa ricordo tutto!

“Due gocce d’acqua.” Concorda lei. Questa frase comincia a darmi su i nervi.

Per fortuna siamo arrivate. Una volta dentro casa, mamma ci accoglie con un ampio sorriso: “Ho avuto una bella idea. Dato che domani io e vostro padre dovremo lavorare molto, pensavamo di rilassarci stasera. Pertanto, ho deciso che cucinerete voi due la cena.”

“Cosa? Stai scherzando vero?” Cassandra è più lesta di me.

“Mai e poi mai. Mamma, sai quanto odio cucinare.” Ribadisco.

“Tu non hai mai detto che odi cucinare, semplicemente non ti piace farlo perché dici che quello che cucini fa schifo. È tutta un’altra storia! Inoltre, ci sarà Cassandra ad aiutarti questa volta.”

“Ma io non ho mai cucinato!” protesta lei. “Una mia coinquilina sta facendo corsi avanzati di cucina, una specie di master culinario, non ho ben capito. Fatto sta che cucina sempre lei, quindi io, ecco, non sono capace.” Ammette.

“Oh, non ho mica cresciuto due lagne! Coraggio, ai fornelli!”

Per fortuna c’è già qualcosa di pronto che bolle in pentola. Tutto sommato è stata buona.

“C’è dello spezzatino solo da scaldare. Potremo cucinare un paio di bistecche. Come contorno?” Chiedo, in cerca di una collaborazione.

“Patate al forno? Ci sono patate, almeno?” Propone Cassandra.

In tutta risposta le indico il mucchio di patate ancora da pelare che si trova nel vano affianco alla cassettiera. Lei mi guarda incerta e chiede: “Sai cucinare le bistecche, spero.”

Io confermo con un cenno del capo.

“Bene, le patate sono tutte mie allora. Dovrebbe esserci ancora qualche foglia di verdura avanzata da pranzo. Te ne occupi tu?”

“Certo. Per il resto dovremmo essere a posto.”

Dopo un’oretta è quasi tutto pronto. La tavola è apparecchiata e mamma e papà sono già seduti. La carne è squisita e anche le patate non sono niente male. Ci gustiamo i complimenti dei nostri assaggiatori di fiducia e mangiamo anche noi.

Dopo cena, dobbiamo anche sistemare la cucina. Stiamo pulendo tutti i piani di lavoro e riordinando le pentole, quando a Cassandra cadono un paio di metalli, con alcune posate. Mamma accorre indispettita e preoccupata. “Oh, per fortuna non si è rotto niente e voi non vi siete fatte male. Cassandra, quante volte ti ho detto di portare al massimo due cose per volta? Una per ogni mano, no?”

Cassandra guarda incredula nostra madre: “Ma come? Mamma, sono io, Amanda! È lei  Cassandra.”

Mia madre la guarda per qualche secondo, basita, prima di scoppiare a ridere. Poi torna improvvisamente seria. Non l’avevo mai vista cosi lunatica prima d’ora.

“Dai Cassandra, non siete più delle bambine, basta con questi giochetti stupidi.”

“Ma non sto scherzando, sono io Amanda.”

“Amanda, dille di smettere con questa scenata.” mi bisbiglia mamma.

“No! Non smetto. Tu non sei Amanda. Sei Cassandra. Diglielo!”

“Ma io…” non capisco cosa stia succedendo. Per fortuna papà entra nella stanza: “Allora? Cosa succede? Avete finito di fare casino?”

“Oh, papà, ti prego, almeno tu. Dimmi, chi sono io? Amanda o Cassandra? “

“Tesoro,” sorride papa “non mi pare proprio il caso. Questo gioco lo facevate quando eravate piccole.” nel frattempo dà una rapida occhiata a me e mia madre per chiedere cosa succede. Noi lo guardiamo scuotendo la testa: non ne abbiamo idea. Poi lui riprende: “Cassandra, dai, non è il momento adatto.”

“Io sono Amanda” la sua voce, ferma e decisa, mi fa trasalire.

“Ora basta così, con quello che sta passando tua sorella! Dovresti vergognarti!” le urla papà. 

“Ma come, non mi riconoscete? È lei Cassandra!” dice indicandomi.

“No, io sono Amanda.” rispondo esterrefatta.

Mia madre prende la parola: “Cassandra, io e tuo padre vi abbiamo cresciuto da quando eravate in fasce, sappiamo distinguervi. Dai, lo abbiamo fatto mille volte. Ora però smettila. Non sei divertente.”

“Ma…” è sul punto di scoppiare a piangere, esasperata, con le braccia a mezz’aria. Poi le abbassa, china il capo, socchiude gli occhi, si gira e corre fuori. Io voglio rincorrerla ma mio padre mi ferma. “Lasciala andare. È buio pesto fuori, tornerà presto, ne sono sicuro.”

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