I. UN NUOVO INIZIO

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1945

I primi tempi, dopo il ritorno di Albert, furono difficili. Senza soldi, senza nessuna possibilità di guadagnarne, quasi senza speranza, la vita al castello trascorreva avvolta da un cupo velo. Il lieto fine della mia fiaba, con il ritorno di Albert, sembrava essere diventato cenere. Come se questo non fosse bastato, la neve soffocava ogni cosa. Imparai in quei giorni a convivere con l'ansia. Divenne la mia migliore amica. E, come se quella sensazione di angoscia non bastasse, Albert divenne cupo. Non lo avevo mai visto così, sono onesta. Non ero consapevole del fatto che potesse chiudersi in sé stesso in quel modo. Era affettuoso, certo, soprattutto con i bambini, ma qualcosa lo turbava molto. Si sentiva un fallito, non capiva come aveva potuto perdere tutto pur avendo in mano tutte le carte vincenti. Io cercavo di consolarlo, ma tutte le mie parole erano inutili... e ogni tanto l'oscura ombra di Herman si faceva strada nella mia mente. Lui avrebbe saputo come risolvere la situazione. Con lui non avrei vissuto nella povertà, ma nel lusso. Li cacciavo con forza. Io amavo Albert. O perlomeno dovevo amarlo. Era mio marito.

Un pomeriggio mi lasciai andare con Lotte. Le parlai del mio dolore, del mio dispiacere, dei nostri problemi. Non nominai Herman. Non volevo che lei sapesse che lo pensavo.

-Non abbiamo più nulla- mormorai, seduta sul divano del salone, vicina a mia cugina. La guerra aveva portato via tutti i nostri risparmi, Albert non era d'aiuto e ora eravamo anche senza servitù. Certo, ci restava il castello, ma un castello che aveva bisogno di manutenzione. Giorno dopo giorno lo vedevo diventare sempre più cupo. Pezzi di pietra si staccavano dalle mura. Ricordai ciò che un tempo mi aveva detto Herman, che ogni cosa tende alla distruzione. Probabilmente aveva ragione.

-Non disperare- esclamò Lotte, quando io non ebbi più voce per lamentarmi –ho un'idea-

E fu così che nacque il ristorante. Fu Lotte che si occupò di ogni cosa, con un'energia tale che mi lasciò a bocca aperta. Da dopo la morte del figlio quella era la prima volta in cui la vedevo così energica. Sistemò la vecchia sala dei domestici che dava sul cortile interno del castello, la ripulì completamente, la decorò con vasi dall'aspetto antico, ma che in realtà facevano parte di una vecchia collezione che mio padre aveva acquistato anni prima per una cifra irrisoria e che poi aveva dimenticato in cantina. Lotte riuscì anche a scovare nell'enorme cantina -dalla quale si accedeva a quelle che un tempo erano le segrete- dei ritratti di alcuni antenati, compreso un altro ritratto della bella Jolanda, in cui lei era molto più giovane di quello che si trovava in sala.

-Che ne pensi di dedicarglielo?- mi chiese Lotte, osservando il quadro.

-Sarebbe bello... "Da Jolanda"... un bel nome- mormorai.

Intitolammo così a Jolanda il ristorante e anche mio padre, che non riusciva proprio ad accettare il fatto che dovessimo metterci a lavorare, fu felice della scelta.

-Il nostro fantasma di famiglia- sussurrò, osservando l'insegna su cui le lettere rosse parevano scritte con il sangue.

-In suo onore- risposi io.

L'insegna c'è ancora oggi, non l'ho mai fatta togliere, fa parte del passato, è ciò che siamo stati, proprio come il castello, ma forse ancora più di tutto è la mia dedica a Jolanda, a ciò che è stata, a ciò che ha rappresentato per me.

Era strano vedere quelle tavole nei vecchi appartamenti della servitù, ma forse ancora più strano era camminare in quel luogo che avevo sempre ignorato. Mi sembrava impossibile che non ci fossi mai stata prima. Albert stesso restò sorpreso del lavoro da noi fatto.

-Ti avevo promesso che avrei provveduto a te- sussurrò, triste.

-E provvederai- lo rassicurai, aggrappandomi al suo braccio. Notai fili grigi che correvano tra i suoi capelli neri. Mi trasmisero un senso di tristezza.

-Io... sì, vedrai che tutto tornerà come prima, ho anche mandato delle lettere-

In quel momento non diedi molto peso alle sue parole. Annuii, lo rassicurai ancora, scacciai il ricordo di Herman. Non pensavo che stesse davvero facendo qualcosa per cambiare la nostra situazione. Sbagliavo.

Fu una settimana prima dell'apertura del ristorante che mia cugina mi raggiunge di corsa.

-C'è un problema- osservò Lotte, i capelli scompigliati.

-Come lo pubblicizziamo?- chiesi, impegnata a sistemare una tenda.

-Oh no, basterà mandare Lolò in paese e avremo il pieno, siamo sinceri, quante possibilità ci sono che una duchessa ti serva al tavolo?-

Risi. –Molto spiritosa... quale problema allora?-

-Chi cucina?- domandò, facendo una smorfia.

Mi bloccai e mi voltai a guardarla, un lembo della tenda stretto in mano.

Lotte mi sorrise, buttando indietro i boccoli tornati biondi, ora che la tinta nera era scomparsa. –Chi cucina?- ripeté.

-Tu hai proposto di mettere su un ristorante e non sai cucinare?- domandai, sottolineando il tono critico.

-Per niente... mi hai mai vista cucinare?- serrò le labbra e inclinò il viso.

-Siamo... - e scoppiai a ridere. Non riuscii a trattenermi. Lei mi guardò... poi cominciò a ridere anche lei.

E ridemmo, ridemmo così tanto da piangere. La nostra amicizia era solida come sempre. Questo mi confortò. Nel buio c'era almeno una luce.

-Tu sei matta- mormorai infine.

-Forse, ma non c'è altra soluzione oltre a questo ristorante... almeno fino a quando non troveremo un altro modo per sopravvivere-

Sospirai. –Credevo che nei tuoi viaggi avessi imparato a cucinare-

-Per niente... comunque rimedieremo in qualche modo-

Parlammo del problema per tutto il pomeriggio, ci aggirammo per la cucina, sperando forse che avremmo imparato a cucinare come per magia, che magari lo spirito di un'antica cuoca ci avrebbe consigliate, ma nulla.

-Ragazze, cosa ci fate ancora qua?- chiese mia madre, entrando nella sala.

Fuori il sole era già tramontato e si era alzata una brezza fresca.

-Abbiamo un problema- mormorai.

-Io sono proprio qua per risolvervi i problemi- disse mia madre, raggiungendoci e sedendosi su una sedia di fronte a noi.

Fu così che le esponemmo quello che ci sembrava un vero disastro.

-Non sappiamo come fare- terminò Lotte.

-Quindi voi siete preoccupate solo per questo?- chiese mia madre, un sorrisetto divertito su quel viso che pareva non essere invecchiato dal tempo in cui da bambine si occupava di noi –E ultimamente chi cucina al castello?-

Io e Lotte ci guardammo, confuse. Era vero, la cuoca aveva lasciato le cucine ormai da settimane. Questo voleva dire che...

-Cucinerò io- dichiarò mia madre.

-Ma ci sarà molta gente- intervenni io.

-E saranno esigenti- mi fece eco Lotte.

-E allora? Cucinerò io... o volete insinuare che non sia brava a farlo?-

Ovviamente né io né Lotte avremmo mai potuto sostenere una cosa simile. E così l'avventura ricominciava.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Ecco il nuovo capitolo! Come vi sembra? Nel prossimo vedremo l'apertura del ristorante e non solo.

Se questo capitolo vi è piaciuto fatemelo sapere! E grazie per averlo letto!

A presto!

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