II. LA LETTERA

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Il ristorante "Da Jolanda" aprì una settimana dopo e fu un vero successo. La prima sera non c'era neppure un posto libero. Io e Lotte lavorammo incessantemente, tanto che alla fine i miei muscoli erano doloranti e gli occhi mi bruciavano. Devo però raccontare ciò che accadde la sera dell'inaugurazione. La cena era iniziata da circa un'ora quando la porta si spalancò e apparve una donna vestita di bianco che passò tra i tavoli. Tutti la guardarono come rapiti, gli uomini affascinati dalla sua bellezza, le donne invidiose del suo fascino. E poi qualcuno iniziò a mormorare.

-Ma quella è Jolanda-

-Sì, è Jolanda-

E in effetti la donna assomigliava proprio a quella del ritratto che era appeso in bella vista. Si trattava davvero di Jolanda, che si era spinta per la prima volta tra coloro che non abitavano al castello per poter ammirare la nostra opera? Non lo so, ma la donna mi sorrise e io seppi che stavamo facendo la cosa giusta. Poi si voltò e così com'era arrivata se ne andò.

Da quell'episodio nacque l'idea di far apparire Jolanda tutte le sere, o meglio io o Lotte ci travestivamo e passavamo tra i tavoli, sotto lo sguardo rapito e divertito dei presenti.

Lotte però non si fermò solo a questo. Organizzava degli incontri serali nella vecchia ala del castello che aveva sistemato per l'occasione. In cosa consistessero esattamente questi incontri serali, beh, non lo sapevo, ma potevo ben immaginarlo. Mia cugina metteva in pratica tutte le arti imparate all'estero. Gli uomini dei d'intorni ne erano entusiasti.

-Farò i soldi in fretta- mi disse un giorno.

Non le chiesi mai cosa facesse. Non lo fecero neppure mia madre e Lolò. Avevamo bisogno di aiuto, lo sapevamo tutti. Lotte, che era sempre stata la pecora nera, procurava da mangiare a tutti. Fu in quel periodo che il nostro legame si rinsaldò.

-Albert si riprenderà- mi disse un giorno. Io non ci credevo. Non usciva quasi più dalla stanza e si lamentava spesso del fatto che a causa sua fossi costretta a fare la serva.

-Non faccio la serva- lo correggevo.

-Sì, servi ai tavoli, pulisci... ti stai rovinando le tue belle mani... io ti avevo promesso una vita migliore- prendendomi delicatamente per i polsi.

Io lo rassicuravo. Ero certa che presto lui avrebbe trovato un modo per guadagnare. Scriveva lettere, faceva chiamate e molto altro. Parlava di vecchi amici che avrebbero potuto aiutarlo.

Mentirei se sostenessi di non aver mai pensato a Herman in quei giorni. Non era un pensiero ossessivo. A volte mi chiedevo perfino come avessi potuto dubitare di Albert. Eppure Herman persisteva, come un leggero dolore, nel fondo di me. La sua immagine veniva evocata per caso, senza un reale motivo. Bastava un dettaglio qualsiasi. Lo pensavo in silenzio, senza mai nominarlo, quasi nel timore di renderlo reale. Albert stesso non lo citava più. Sospettava qualcosa? Non lo sapevo, ma il dubbio mi tormentava e bastava una parola ambigua o detta con un tono strano per farmi tremare.

Fu in quel periodo che mi giunse una lettera. Fu Lolò a consegnarmela di nascosto, attendendo un momento in cui fossi sola, Lotte intenta a sistemare i tavoli. Compresi subito che Lolò sapeva chi era il mittente e che la cosa la divertiva. In quel periodo il suo odio per Albert era palese. Lo considerava un vero inetto, incapace di badare alla famiglia.

-Non mostrarla a quell'altro... e neppure a Lotte... nemmeno a tua madre, insomma, leggila e bruciala- si sporse in avanti, ciocche di capelli bianchi tra quelle rosse -hai capito? E niente rimorsi o sensi di colpa- se ne andò.

L'aprii, con il cuore in gola. La calligrafia di Herman fu per me come il riposo dopo una lunga cavalcata. Lessi avidamente ogni parola. Era breve, appena un paio di paragrafi, scritti in fretta. Non mi diceva dov'era, ma solo che mi pensava. Mi abbeverai di quelle frasi. Mi crogiolarsi nella certezza che pensasse a me. Mi sentii nuovamente felice. Ricordai i giorni passati. un'isola di felicità. L'unica forse che mai avrei avuto. Fui di ottimo umore per tutto il resto del giorno. Risi persino alle noiose battute di mio padre.

Ricky, che spesso veniva al ristorante, con il chiaro scopo di ottenere ciò che io anni prima non gli avevo concesso, fu talmente sorpreso dal mio umore che iniziò a sospettare che avessi un amante.

-Qualunque cosa ti abbia promesso lui io ti do il doppio- si lanciò avanti, gli occhi sgranati e il respiro che sapeva di vino.

Non replicai, risi solamente e corsi via, prima che lui riuscisse ad afferrarmi prendendomi per un braccio. La rabbia per Ricky era diminuita. Mi sentivo meglio. Nulla quel giorno poteva rendermi infelice.

La gioia sbiadì poco a poco e io ricascai nella normalità. Ritornai triste. Perché Herman non mi scriveva ancora? Perché non mi diceva dove avrei potuto fargli avere mie notizie? Possibile che semplicemente mi avesse dimenticata? Mi pareva una cosa sempre più probabile.

Il Natale si avvicinava sempre di più. La neve avvolgeva tutto. Io languivo. Mi sentivo mancare. Non ricevetti più lettere da Herman. Non sapevo neppure dove fosse. Giorno dopo giorno cominciai a pensare che ero una sciocca. Herman mi aveva dimenticata e io ero una donna sposata. Questo era tutto. Dovevo pensare a mio marito e ai miei figli. La vita però sa stupire quando meno ce lo aspettiamo.


 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Che ne pensate della lettera di Herman? Vi anticipo che riguardo a Herman ci sarà un gran colpo di scena (ma in realtà manca ancora un po' prima di arrivare a questo punto).

A presto!

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