V. QUASI SCOPERTA

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La sala era buia. I miei genitori e Lolò erano a dormire. Lotte era persa chissà dove. Lo stomaco mi si strinse. Un senso di turbamento mi fece girare la testa. Notai una persona a lato della stanza. Herman che si sporgeva. Sbattei le palpebre e lui scomparve. La nausea mi aggredì. Inspirai a fondo. Per quanto ancora?

-Vado a prendere i regali- Albert mi strizzò l'occhio. 

-Ti aspetto- gli sussurrai io.

Albert mi sfiorò il fianco, mi baciò la guancia, si allontanò.

-Io voglio un cavallo- borbottò Adam.

-Addirittura un cavallo?- gli chiesi, abbracciandolo.

-Sì, un cavallo- mi stampò un bacio sulla guancia.

Notai che Julien si teneva in disparte. Gli feci segno di avvicinarsi. Lui ubbidì.

-Cosa vorresti ricevere?- gli chiesi, per renderlo partecipe.

Julien indugiò, distolse lo sguardo, lo riportò su di me. -Io... -

Adam lo spinse. Afferrai Julien prima che cadesse a terra. -Adam!- esclamai.

Mio figlio si strinse nelle spalle. -Non lo avevo visto-

Una chiara bugia. Sbuffai. -Potresti non ricevere il tuo regalo-

Adam divenne paonazzo. -Scusa- borbottò.

-Papà quanto ci mette?- Rose si aggrappò alla mia manica.

In effetti Albert ormai era via da parecchio. -Vado a vedere- decisi -e mi raccomando, fate i bravi, altrimenti non ci saranno regali per nessuno di voi- uscii dalla stanza.

Perché non arrivava? Andai verso la nostra camera. Il panico mi serrò la gola. Una strana sensazione mi fece tremare. Affrettai il passo. Spinsi la porta che si spalancò con un boato. Mi sembrò d'impazzire.

Albert era piegato in avanti, un foglio stretto in mano. Notai subito la sua espressione. Tesa, la mascella contratta. C'era qualcosa... poi compresi che foglio era. La lettera di Herman!

Albert aveva trovato la lettera di Herman. Perché non me n'ero sbarazzata? Perché l'avevo tenuta? Balzai in avanti e gliela strappai dalle mani. Non poteva averla letta tutta, pensai. Mi misi a parlare e le bugie uscirono naturali dalle mie labbra. Io, che non avevo mai saputo mentire, improvvisamente divenni un'ottima bugiarda.

-Quella lettera era per Lotte, mi ha detto se potevo conservarla- spiegai.

Albert mi fissò a lungo. -Lotte? Ama Lotte, beh, questo non mi sorprende- mi credette. Non ho mai saputo se le mie parole lo convinsero o fu la sua mente a farlo. Forse neppure m'importa. -Quindi perfino Herman è rimasto affascinato da Lotte- tentò di scherzare.

-Ehm sì... tutti restano affascinati da lei- e così, per l'ennesima volta, mia cugina diventava il capro espiatorio perfetto. Io mi odiai. Non che potessi farci molto.

Per Natale non arrivò nessuna lettera di Herman. Ne fui delusa. Si era dimenticato di me? E che diritto avevo di aspettare una sua lettera? Per lui non ero nessuno.

-Stai bene?- chiese mia madre. 

Me ne stavo seduta sul davanzale, a osservare il vetro appannato dal gelo oltre il quale la neve cadeva simile a lacrime congelate. A chiedermi dov'era lui. A immaginare il suo viso. -Sì, ho solo mal di testa-

-Ti ho portata in grembo nove mesi, ti ho cresciuta, Viola, so bene quando qualcosa non va- si avvicinò e mi sfiorò i capelli -cosa c'è?-

-Hai mai avuto dubbi sul tuo matrimonio?-

-Molte volte-

Mi voltai, sorpresa. Mia madre mi fissava con un leggero sorriso, ciocche grigie tra i capelli  castani. -Dici sul serio?-

-Certo, è normale, Viola, avere dei dubbi, siamo umani- mi abbracciò -cosa c'è che non va?-

-Non so se lo amo- ammisi e mi parve vero, tanto vero da farmi male.

-Piccola mia- mi strinse con forza e affondai il viso nel suo petto, come quando ero bambina -si tratta di quel giovanotto, quel tedesco, vero?-

Tremai. -Come lo sai?-

-Pensi che non lo sappia?- mi baciò sulla fronte -Ora però hai una famiglia, tesoro-

E io ci tenevo alla mia famiglia. L'amavo alla follia. Sbattei le palpebre. -Lo dimenticherò-

-Portalo nel cuore, nel profondo del cuore, crea un angolo per lui e lascialo lì-

Avrei seguito il suo consiglio. Ero certa che non avrei mai più rivisto Herman. Ne ero così certa da stare tranquilla. Sbagliavo. Lo avrei rivisto prima di quanto avrei creduto.

Partimmo un paio di giorni dopo l'arrivo dell'anno nuovo. Fui io a insistere per portare Julien, Adam e Rose con noi. Non volevo separarmi da loro. Il solo pensiero mi sembrava orribile. Albert mi accontentò, trattandomi come la bambina che credeva che fossi, nonostante fossi madre io stessa. Fu invece mia madre a convincermi a lasciare Jola al castello. 

-Ha solo due anni, non può fare un viaggio del genere-

Fui d'accordo con lei. Lasciai Jola con dolore. 

-La verremo a prendere non appena sarà abbastanza grande- mi rassicurò Albert. 

Io annuii mesta.

-Baderò io a lei- intervenne Lotte, i capelli legati in una complessa acconciatura, era splendida nel suo abito blu -e tu mi dirai com'è Londra-

Non mi fidai. Non potevo fidarmi di lasciare Jola alla sola cura di Lotte. Per fortuna mia madre ribadì che avrebbe badato a lei.

Partii con il cuore spezzato. Fu un viaggio lungo, in cui soffrii il mal di mare. L'aria gelida mi pungeva la pelle. Come se non fosse bastato per poco Adam non fece cadere Julien giù dalla nave. Albert lo afferrò appena in tempo.

-Adam!- gemetti, aggrappata al parapetto della nave, lo stomaco capovolto.

Mio figlio non rispose, ma continuò a guardare male Julien. Rose pianse. Io avrei solo voluto sedermi da qualche parte e riposare. Fitte mi correvano lungo la schiena. Abbassai lo sguardo e fissai il mare. Le onde scivolavano scintillanti e blu. Provai un senso di confusione. Dove stavo andando? In un paese che non avrei compreso, come non avevo compreso tempo addietro la Germania. Forse quello era il mio destino. Essere trascinata da un luogo all'altro. Sempre passiva.

-Guarda- Albert indicò un punto in mezzo al mare.

Qualcosa emergeva in mezzo al blu. Socchiusi gli occhi per mettere a fuoco. La riva, era la riva. Un brivido di sollievo mi fece tremare. L'Inghilterra. L'avevo sognata per tanto tempo ed ora ero proprio lì. 

-Finalmente a casa- Albert mi passò un braccio intorno alle spalle.

Io non mi mossi. Rimasi immobile, come davanti a un grande evento. In un certo senso lo era. In un altro non cambiava nulla. Un altro posto, ma tutto sarebbe stato uguale. Mi sarei sentita più felice? Ne dubitavo.

I giorni seguenti si srotolarono uno dopo l'altro. Albert parlava un inglese fluente che si sforzava d'insegnare ai bambini. Li elogiava, li riempiva di attenzioni e di regali.

La nuova casa di Albert era fuori Londra, bellissima, anche se non molto grande, con un porticato e colonne bianche.

-Mia madre è cresciuta qua- disse, tremulo. Era emozionato, compresi. Gli presi la mano, le mie dita s'incastrarono con le sue. Erano mani fatte per questo. Un richiamo lontano, di fatti ormai passati, mi esplose nella mente. Lo scacciai.

-Un luogo incantevole- sussurrai.

-Da sistemare- mi corresse lui, poi sorrise –comunque può andare-

Io non lo contraddissi. Era bello vederlo felice. Finalmente si sentiva utile. Finalmente le cose potevano andare bene. Finalmente avrei potuto essere felice.

Naturalmente sbagliavo. Le cose stavano per andare molto male.

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