VI. UN INCONTRO INASPETTATO

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Nei giorni successivi Albert si dedicò a sistemare i suoi affari. Io pensai alla casa. C'era molto da fare. Le stanze erano ricoperte di polvere, i mobili vecchi, le scale scricchiolavano. Affrontai tutto con il buon umore.

Tutto aveva preso una nuova svolta. Mi sentivo bene.

-Potremo passare le vacanze qua- mi disse Albert un giorno che ce stavamo seduti in giardino.

-Sarebbe bello- ed ero sincera.

Lui mi sorrise. -Dobbiamo festeggiare... ho prenotato in un bel ristorantino... e mi sono anche permesso di farti un regalo-

-Un regalo? Sei certo che possiamo permettercelo?- Albert spendeva troppo.

-Da ora in poi dovrai lasciar fare a me, tu non dovrai più preoccuparti di nulla- piegò le labbra in un sorriso -vieni-

Mi condusse in camera nostra, un braccio intorno alla mia vita.

Lo vidi subito. Troneggiava sul letto. Un abito bianco che doveva arrivare alle ginocchia. Lo guardai con il cuore martellante. Era un modello fasciante, uno di quelli che mette in mostra le forme. Non adatto a chi non ne ha. Come me.

-Che ne pensi?- Albert mi passò un braccio intorno alla vita e mi trasse a sé -Non appena l'ho visto ho pensato a te-

-A me?-

-Proprio a te... che te ne pare?-

-Beh, è molto bello, ma non so se mi starà bene- mormorai con un filo di voce.

-Perché non dovrebbe?-

Perché non sono formosa. Non lo dissi. Albert lo sapeva, dopotutto.

-Provalo, su-

Non che potessi fare altro. Lo indossai. Albert, seduto sul letto, seguiva ogni mio gesto. La mia pelle bruciava per una sorta di sciocco pudore. Quando terminai d'indossarlo lui mi sorrideva.

-Direi che ci siamo-

Abbassai lo sguardo. L'abito mi era giusto. Feci una giravolta, la stoffa che frusciava come le onde del mare. -Che ne pensi?-

-Penso che sono stato fortunato a sposarti-

Un groppo in gola. Mi costrinsi a sollevare le labbra. Un sorriso. O perlomeno l'imitazione di un sorriso, perché dentro di me c'era la tempesta.

-Ora andiamo, altrimenti non ci daranno da mangiare-

-Certo- lo presi a braccetto -sono proprio curiosa di vedere questo posto-

-Non ne rimarrai delusa- aprì la porta -ne sono certo-

E io gli credevo. Volevo credere che tutto si sarebbe risolto. Come nelle fiabe.


Il ristorante era affollato. Mi sentivo stranamente a disagio con l'abito che Albert mi aveva regalato. Nonostante le sue rassicurazioni lo trovavo troppo stretto, capace di mettere in evidenza le mie esili forme. Sentivo lo sguardo delle persone addosso. Lame.

-Mi fissano- mi lamentai, le mani unite in grembo.

-Perché sei meravigliosa- Albert mi strizzò l'occhio.

Mi sistemai nervosamente i capelli. Le pareti del locale erano dorate e la luce era abbagliante. Sbattei le palpebre. Volevo voltarmi e correre via. Resistetti.

-Sei un incanto- mi sussurrò mio marito e si rivolse ai bambini –vero che sta benissimo?-

Ci fu un coro di conferme, solo Julien restava in disparte, stranamente silenzioso. Il suo rapporto con Adam era sempre stato tumultuoso e temevo che sarebbe peggiorato. Albert, come solito, non se ne preoccupava.

-Sono solo bambini- sosteneva con un sorriso –cosa vuoi che facciano?-

Io tacevo, certa che parlare non sarebbe servito a nulla. Anche Albert a modo suo era un bambino e come tale dovevo trattarlo. Un bambino un po' troppo cresciuto. Non capiva che i grandi odi iniziano proprio nell'infanzia e scavano come talpe dentro i cuori.

-Ho prenotato un tavolo che dà direttamente sul Tamigi- spiegò Albert, una mano contro la mia schiena.

Il tavolo in effetti aveva la vista sul Tamigi. Osservai quel fiume scorrere, Albert che raccontava di re e regine, i bambini che lo assillavano con le loro domande. Mi sarebbe piaciuto che lì con noi ci fosse Lotte, solo lei avrebbe potuto capire il mio turbamento. Eravamo abituate al lago noi. Sì, al lago con le sue acque scure che trascinava tutto con sé. Fu proprio in quel momento, quando osservavo le acque, che successe. Albert voltò lo sguardo per dire qualcosa a Rose e il suo sguardo verde brillò.

-Non ci credo... - le sue labbra si piegarono in un sorriso.

Seguii il suo sguardo... e il cuore mi divenne di ghiaccio. Come posso descrivere qualcosa che non conosce parole? Artigli in gola. Lui era lì, uscito da un sogno oppure un incubo, l'unico che aveva messo tutto in dubbio. Herman. Il mondo esplose. Ero confusa, turbata, ebbra di sensazioni. Il battito era così forte che mi faceva tremare. Lui non era cambiato neppure un po'. Aveva lo stesso sguardo plumbeo, attento, i capelli scuri, la carnagione olivastra, solo la divisa militare mancava.

-Non ci posso credere- il tono di Albert era allegro, il giusto tono di chi vede un vecchio amico.

-Quindi è qua- sussurrai, confusa. Pensavo che fosse volato negli Stati Uniti e invece era lì. Tutti i miei pensieri naufragarono. Ora cosa dovevo...

-Ed è anche in dolce compagnia-

Fu solo in quel momento che mi resi conto che non era solo. Per niente. Vicino a lui c'era una donna dai bellissimi capelli biondi che gli sfiorava il braccio. Aveva un abito di un tenue azzurro, ricoperto da brillantini. Doveva essere costato molto. Era incantevole, tanto da attirare lo sguardo dei presenti. Ed era con Herman. Mi sentii morire. Vista, udito, olfatto, tutto scomparve. La mia mente tornò al passato, rievocò baci, carezze, abbracci. Tutte bugie. Avrei voluto alzarmi e correre via. Non ci riuscii, le gambe non mi reggevano. Potei solo rimanere immobile, come una bambola di porcellana, che da un momento all'altro avrebbe potuto scivolare al suolo e infrangersi.

-Herman- stava chiamando Albert. Io volevo solo scomparire. Forse era un errore. Forse non era davvero lui. Forse non avrebbe sentito. Forse non si sarebbe voltato. Forse...

Herman si voltò verso di me. Compresi subito che mi aveva vista. Impallidì, nonostante la carnagione scura.

-Il mio vecchio amico Herman- Albert balzò in piedi e gli andò incontro.

Dieci minuti dopo la tragedia era in corso. Io non potevo fare altro che attendere, che sentirmi male, che restare così, il respiro che mi mancava, lo stomaco chiuso in una morsa. Venni a sapere subito che la giovane vicino ad Herman si chiamava Margaret ed era sua moglie... la sua giovanissima moglie, visto che era addirittura più giovane di me. All'improvviso mi sentii orribilmente vecchia. Margaret era una vedova di guerra e aveva avuto una figlia dal precedente matrimonio. Parlava, parlava, parlava. Le piaceva sentire la sua voce. Fu lei a raccontare come aveva conosciuto Herman –durante un pomeriggio di acquisti-, fu lei a dire che stavano aspettando un bambino –lei sperava in un maschio, visto che aveva già una femmina-, fu lei a dirmi che voleva assolutamente diventare mia amica perché Herman le aveva parlato di me e lei era certa che fossimo destinate a incontrarci –inutile dire che io ero certa del contrario. Oh sì, fu sempre lei a dire che era una ricca ereditiera. Alla fine mi sentivo vuota, annegata dalle sue parole... e sul punto di lanciare il coltello che avevo davanti. Herman quasi non parlava. E faceva bene a non parlare.

-Dovremmo vederci più spesso- terminò Albert.

Quella sera, in camera, dissi ad Albert che Margaret mi stava antipatica. Lui si sorprese della mia convinzione. Io che avevo accettato tutte le compagnie che mi erano state imposte, perfino le più scandalose... Albert non capiva. Non poteva capire.

-Parla troppo, ma è simpatica- disse.

E allora io mi finsi gelosa. –Ti guardava- borbottai, imbronciata, le braccia incrociate. Stavo diventando come Lotte, capace di recitare una parte pur di ottenere quello che volevo.

Albert sorrise subito. –Io guardo solo te però-

Mi sforzai di sorridere, di non sembrare nervosa o agitata. Sapevo quanto Albert fosse sensibile al mio fascino –e forse, ahimè, a quello femminile in generale- gli buttai le braccia al collo, lo strinsi a me, lo baciai.

-Vivi- ridacchiò lui –sei sempre piena di sorprese- e mi avvolse nel suo abbraccio con tale impeto da sollevarmi.

-Dici?-

-Lo dico forte- sussurrò al mio orecchio, prima di baciarmi.

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Che ne pensate di questo capitolo? Nel prossimo ci sarà un chiarimento tra Viola ed Herman.

A presto ❤

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