X. LA NUOVA CASA

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C'era qualcosa di strano nella nuova casa. In quelle pareti che sembravano di marmo, nelle torrette, nel portico traballante. Una sensazione viscerale mi premeva lo stomaco. Avevo la sensazione che  fosse qualcosa di vivo, un mostro pronto a mordermi. Scoprimmo presto che alcuni muri erano ricoperti da strane scritte. Mi sforzai di comprenderle, inutilmente. –Non sono chiare- mi lamentai con Lotte.

-No... in effetti no- mia cugina strinse le palpebre per guardare meglio, ciocche sugli occhi verdi –non sembra il nostro alfabeto-

Lo sospettavo anch'io. –Potrebbe essere inventato... non è greco- mormorai, ricordando le ore passate sulle versioni.

-Forse in biblioteca c'è qualcosa-

Annui. Era possibile. –Andiamo a vedere-

Ero di nuovo tornata piccola, quando ogni scusa andava bene per stare insieme, per indagare. Era una bella sensazione, anche se era impossibile strappare al passato la nostra innocenza. Non eravamo più delle bambine, non le saremmo mai più state. Lavorammo in silenzio, fianco a fianco, come in passato. Lotte borbottava qualcosa ogni tanto. Era concentrata come non succedeva più da tempo. Quel mistero la incuriosiva. Le ore corsero via.

Alla fine trovai qualcosa su un vecchio libro. Le pagine erano ingiallite e polverose. –Alfabeto celtico- dichiarai, tra gli starnuti.

Lotte smise di leggere e si allungò per sbirciare sul mio libro. Sentii il suo respiro infrangersi contro la mia guancia. –Sì, sì, è proprio questo! Brava, Viola- mi diede un colpo sulla spalla.

Le sorrisi. –Ora sappiamo che lingua è... tradurla però non sarà semplice-

-Io odio le cose semplici- dichiarò Lotte.

-Io le adoro- le feci eco.

-Come posso essere tua amica?-

-Sai che mi chiedo la stessa cosa?-

Scossi sconsolatamente la testa. –Cominciamo allora-

I giorni seguenti scivolarono così, con noi che traducevamo quelle parole incomprensibili, i bambini che ci giravano intorno, cercando inutilmente di aiutarci. Era certamente divertente. Arrivammo alla conclusione che un tempo quella casa fosse servita per dei riti.

Albert rideva di ciò che facevamo. Ci trattava come ragazzine con una strana passione.

-Mi piace che tu abbia qualcosa da fare quando non ci sono- mi confidò un giorno.

-Dovresti stare di più a casa- lo rimproverai, dolcemente.

-Lo so- mi cinse con dolcezza la vita –vorrei poter stare di più con te-

Era sempre la stessa storia. Albert alla fin fine aveva sempre qualcosa da fare.

La notte spesso si sentivano dei rumori. Scricchiolii. Questa era la spiegazione di Albert.

-Le case vecchie scricchiolano- mi aveva detto con un sorriso rassicurante, le braccia che mi stringevano a lui. Eravamo nel grande letto matrimoniale, il rumore del vento che mi faceva tremare.

-Perché la cosa non mi tranquillizza?-

-Ehi, stai tranquilla... e anche se ci dovesse essere un mostro, ci sono io a difenderti- e aveva soffocato le mie proteste con i baci.

Con Albert accanto, beh, non avevo davvero paura. Le notti in cui però lui non c'era... beh, chiedevo a Lotte di venire a dormire con me. Lei brontolava, ma veniva. Ci sembrava in quelle occasioni di tornare ragazzine. Ridevamo, parlavamo del passato, ci sussurravamo segreti. Spesso sentivamo le voci dei bambini, che dormivano nella stanza accanto alla mia, dalla quale potevo accedere da una porta nascosta nell'armadio.

-Sono come noi- mi disse una volta Lotte, il tono dolorosamente serio.

Non le risposi subito. Il rapporto tra Julien e Adam mi preoccupava. Tra di loro c'era una sorta di tacita antipatia.  Albert, con cui mi ero confidata, mi aveva detto di stare tranquilla.

-Sono maschi, è normale che litighino, l'amicizia tra di noi si basa su questo-

-Orribile-

Albert aveva riso. –Orribile, ma vero- si era stretto nelle spalle –non preoccuparti-

Io naturalmente avevo continuato a preoccuparmi. Era inevitabile. E tra i due le cose peggioravano sempre di più.

-Finirà male- mormorò un giorno Lotte, pensierosa, osservando i due bambini che competevano per l'attenzione di Rose.

-Non scherzare- risposi io.

Lotte mi guardò, l'espressione stanca e sconsolata di colei che sa, ma non può parlare. Mi sembrava Cassandra sulle mura di Troia, che osserva la città e la vede già in cenere.

Una notte furono le grida di Rose a svegliarmi. Mi misi seduta, confusa, la camicia da notte madida di sudore. Intorno a me c'era solo il buio e ci misi alcuni istanti a capire cosa stava succedendo e chi stava urlando. Lotte, al mio fianco, balzò in piedi. Era già sveglia e pronta all'azione. Non mi attese, si diresse verso la stanza dei bambini, aprendo le grandi ante dell'armadio e immergendosi tra i vestiti appesi come uno spettro dai lunghi capelli. Mi costrinsi a scendere dal letto e, scalza, il pavimento gelido che mi faceva rabbrividire, la seguii. Barcollai un paio di volte, rischiando di cadere, ma non mi fermai. Mi lanciai anch'io tra gli abiti che mi finivano sul viso, mi si agganciavano ovunque, m'impedivano di proseguire, come un mare in tempesta.

-Basta, basta!- stava urlando Lotte.

Quando riuscii ad emergere mi ritrovai a fissare Julien e Adam che lottavano, Lotte che cercava di fermarli. Mi unii a lei e finalmente riuscimmo a separarli. Fu solo dopo parecchio tempo che riuscimmo a capire il motivo della lite. Adam si era infuriato perché Rose aveva ammesso di preferire Julien a lui.

Sgridai Adam. Perché non poteva essere tranquillo? Perché doveva sempre darmi problemi? Quello che non mi aspettavo era la reazione di lui.

-Certo, tu difendi sempre Julien-

Lo fissai confusa. Ma cosa stava dicendo?

-Sembra che sia lui tuo figlio- continuò, un brillio che non compresi nello sguardo.

-Io ti voglio bene- gli risposi –come puoi dire queste cose?-

Non replicò, ma corse ad abbracciare Lotte. Mia cugina lo strinse forte e fece spallucce.

-Non ti preoccupare, gli parlo io- mimò con le labbra, le dita che correvano ad accarezzare i capelli di Adam. Mio figlio che correva da lei. Ignorai il gelo che m'invadeva lo stomaco. Non dovevo esagerare.

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