XXI. AL CASTELLO

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Tornammo a Londra un paio di settimane dopo la disgrazia. Sull'isola non c'era più nulla per noi se non il dolore.

Non passò molto e Albert mi disse di non essere più così felice di stare in Inghilterra. La morte di Margaret lo aveva turbato.

-Quella povera donna non meritava una fine simile- mi passò un braccio intorno alla vita e mi fece sedere sulle sue ginocchia. -Non sappiamo nemmeno che cosa le è successo

Lo consolai come meglio potei. Mi sentii una bugiarda a sostenere che Margaret fosse una brava donna. Con me non la era stata.

-Torniamo in Italia

-Cosa?- sussultai. Ero una bambina in preda agli eventi.

-Non hai voglia di tornare a casa?

No. Sì. Forse. Guardai il pavimento di marmo, le piccole crepe che lo percorrevano, alla ricerca di parole che non trovai. Sapevo che avrei dovuto dirgli di sì, che non vedevo l'ora di rivedere casa mia. Questo però avrebbe voluto lasciare Herman. Lui sarebbe rimasto a Londra. L'unica cosa che mi rendeva felice era che avrei riabbracciato Jola, i miei genitori, Lola.

Non mi opposi ad Albert. Non c'era nulla che avrei potuto usare come scusa per rimanere a Londra.

Il giorno seguente Herman si presentò alla villa con un mazzo di fiori e il sorriso di chi ha visto il mondo cadere in pezzi. -Ho saputo che partite

-Avrei voluto dirtelo io- abbassai lo sguardo. Lo avevo fatto accomodare in salotto, lui seduto sul divano, io sulla poltrona, come se fosse stato un normale ospite. Non l'uomo che amavo.

-Resterai qua?- gli chiesi, titubante.

Lui annuì. -Non posso fare altro, il mio lavoro, tutto è qua... però vorrei chiederti un favore

-Quale?- e il mio cuore prese a battere più forte.

-Potresti guardare i bambini? Io... non posso farlo

Sentii il ghiaccio invadermi lo stomaco. Come poteva chiedermi di guardare Gwen? Suo figlio sì, lo avrei tenuto con me con piacere perché era parte di lui, ma Gwen... quella bambina mi odiava.

-Lo so che ti chiedo molto, Violett, ma io non so fare il padre

-Con Julien sei molto bravo- gli ricordai.

Herman sospirò. -Forse è Gwen il problema- mi sorrise -è solo una separazione momentanea

-Non ne dubito- avrei voluto sedermi vicino a lui, toccarlo, baciarlo.

-E poi questo mi permetterà di sentirti più spesso

-Herman, lo sai che...

-Lo so, ma che ci posso fare? Non riesco a starti lontano- si alzò e lasciò cadere i fiori. I petali si sparsero ovunque. Non che m'importasse, perché ero già tra le sue braccia.

Il ritorno al castello mi riempì di malinconia. Mi sembrò di tornare all'infanzia, all'adolescenza, all'inadeguatezza.

Riabbracciai Jola.

-Quanto sei cresciuta- le sussurrai contro i capelli. Assomigliava ad Albert, con i suoi lineamenti e i capelli neri.

-Mamma

La riempii di baci e riuscii ad allontanare il pensiero di Herman. Almeno per un po'.

Non passò nemmeno una settimana che Albert si chiuse in sé stesso. Il castello non era il luogo fatto per lui, compresi. Lui amava viaggiare. Lui era fatto per il mondo. Il solo pensiero di rinchiudersi lo rattristava. Il mondo mi cadde addosso. Tornò a mancarmi Herman. Mi mancava come se fosse stato un pezzo di me dimenticato da qualche parte.

Inoltre cominciai a odiare il lavoro al ristorante. Ero stanca, annoiata, soffocata da quelle montagne che avevano racchiuso la mia infanzia. Ripensavo a Londra.

E poi c'era Gwen. Non faceva altro che mettere il broncio e lamentarsi.

-Non ce la faccio- mi lamentai, seduta nell'erba. -Herman sarà deluso- era questa la cosa che mi terrorizzava. Deludere Herman.

-Sembra un caso difficile- mia madre potava le rose. -Ma non c'è nessun caso impossibile

Cercò di conquistarla con dolci, regali, complimenti.

Gwen resistette per qualche giorno, poi capitolò. Con mia madre, non con me. Non sarei mai riuscita a conquistarla.

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