XXIV. UNA VISITA

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La mia rinnovata vicinanza con Albert non mi tranquillizzò. Continuavo a pensare al viaggio. A quello che avevamo davanti. L'Africa. Era un continente di cui non mi ero mai interessata, Nei miei sogni di ragazza c'erano state l'America e l'Europa.

Albert c'era già stato diverse volte. -Ti ho mai raccontato della volta in cui ho cacciato un leone gigante?

-Ho perso il conto delle volte in cui me l'hai detto

Albert rise. Aveva una bella risata. Quella del passato. Quella dell'adolescenza. Quella del sogno. -Creeremo altre storie insieme, che ne dici?

Forse era quello che ci voleva. Un viaggio noi due. Senza ombre. Senza Lotte o Herman.

Cercai l'Africa su un vecchio Atlante di mio padre, grondante polvere. Tratteggiai con le dita quel continente enorme. I polpastrelli mi tremavano. Era l'ennesima avventura.

Fu nello stesso periodo che cominciai a passare molto tempo in giardino. Scoprii di aver ereditato la passione di mia madre per la botanica. Era un nuovo modo per sfuggire al mondo. Ci passavo le ore.

Furono le urla di Julien a farmi alzare lo sguardo dalle rose un pomeriggio. Sembravano urla di gioia. Mi alzai e non mi curai delle cesoie che cadevano a terra. Mi sollevai la gonna e procedetti rapida. Julien stava parlando con qualcuno. Un uomo. Herman. Lo stomaco mi si contorse. Non era possibile. Vedevo male. Mi appoggiai al muro. Tremai. Gli andai incontro.

Herman riconobbe il mio passo. Lo compresi da come irrigidì le spalle. Non diede altri segni. Attese che fossi vicina, che lo salutassi.

-Viola, sei più bella ogni volta che ti vedo

Sentii le guance bruciarmi. Non davanti a Julien. Non dovevamo coinvolgerlo più di quanto già non fosse.

-Che ci fai qua?

-Sono venuto a Bolzano per lavoro e ho pensato di venirti a trovare- venirti, non venirvi. -Lo so che avrei dovuto avvisare, ma non sapevo se sarei riuscito a passare

-Se qualcuno dovesse vederti- sussurrai -potrebbero denunciarti per i fatti della guerra

-Non potevo non venire- fece un passo avanti -non riesco a stare senza di te

M'incendiai. Perché le cose diventavano ogni giorno più pericolose? Perché il mondo stava per esplodere? Perché nonostante tutto ero felice che Herman fosse lì con me? Mi sentii sciocca. La solita bimba in un mondo di adulti.

Albert lo accolse con gioia, sebbene fosse sorpreso dal suo arrivo. -Non lo sai che è pericoloso? Non potrai farti vedere

-Non ho intenzione di andare in giro- parole che mi misero a disagio senza che sapessi dire il perché. -E poi dovevo vedere mio figlio

La scusa che giustificava ogni cosa. Una ragnatela in cui eravamo incastrati.

Herman portò gioia in casa. O almeno questo percepii io. La mia di gioia fu immensa. Tanto da stordirmi. Ma con lui era sempre la solita vecchia storia. Mi chiedo oggi come quella nostra ossessione, perché solo di amore non si poteva parlare, non ci abbia dissanguati, prosciugati, resi cenere. Forse fu la giovinezza a sostenermi. Oppure ero più resistente di quanto sembrassi. Sopravvissi. L'ossessione divenne più forte. Questa volta, a differenza di Londra, dovevamo stare attenti. C'erano occhi ovunque. Prima di tutto quelli di mia madre. Lei lo capì. Lei capiva ogni cosa.

-Devi essere prudente- mi sussurrò un pomeriggio.

-Perché?- finsi sorpresa, il cuore che mi esplodeva nel petto. Se lei sapeva, chissà quanti altri sapevano.

-Nulla vale la tua famiglia, tesoro, ricordalo

I sensi di colpa mi divoravano. O almeno avrebbero dovuto divorarmi. Eppure ogni volta che passavo vicino a Herman cercavo di sfiorarlo. E lui faceva lo stesso con me. Un modo per fonderci. Se era possibile. Perché forse noi eravamo persi per sempre.

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