XXVI. DI NUOVO SOLA

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Herman mantenne la sua promessa. Partì il giorno seguente. Io rimasi a guardarlo fino a quando non salì in auto e non scomparve. Il dolore mi esplose in petto. Era come se una parte di me fosse stata strappata.

-Se n'è andato finalmente

La voce di Gwen. Lo stomaco mi si strinse.

-Lo odio- il tono era carico di una crudeltà che mi fece male. Mi voltai a guardarla. Per un folle istante rividi Margaret, tornata per punirmi.

-Torna dentro

-Conosco il vostro segreto- Gwen mi fissò con un ghigno -non credo che tuo marito ne sarebbe felice

-Non so cosa stai dicendo

-Mamma mi ha detto tutto- strinse i pugnetti.

-Non so a cosa ti riferisci- un brivido mi percorse la schiena. Ci mancava solo quello.

-Lo so io... verrà il giorno in cui tutto andrà come deve andare

Il terrore mi scivolò lungo le vene. Bruciava. Guardai Gwen voltarsi e andare via. Era una bambina, non dovevo provare nulla di cattivo per lei. Il pensiero non mi rassicurò. Era una bambina, certo, ma questo non significava che non fosse crudele. Questo non significava nulla. Me lo aveva insegnato Lotte. La crudeltà può avere qualsiasi volto. E io ne ebbi paura. Gwen avrebbe fatto tutto a pezzi se le fosse convenuto.

Era una mattina ventosa quella in cui lasciammo il castello. Questa volta il dolore era enorme. Non volevo andarmene. Non dormivo bene ormai da giorni, tormentata dagli incubi. Albert era preoccupato.

-Ci troveremo bene- mi promise più volte -e se non dovesse essere così torneremo a casa

Casa. Per lui il mio castello non era casa, era un luogo come un altro. Sospettavo che Albert non sapesse cosa fosse una casa. Era cresciuto così. Da un luogo a un altro, sempre la valigia pronta. Mi abbandonai nel suo abbraccio, il cuore che sanguinava. Non potevo fare nulla.

Fu un viaggio lungo, estenuante. Soffrii tanto la nave che per poco non mi buttai in mare. Odiai Albert. Lo scrivo con tranquillità perché glielo dissi pure. Lui la prese per una battuta scherzosa, dettata dal mio malessere. Fu dolce, premuroso, le solite stupide cose che lui era sempre e che non mi permettevano di dirgli la verità per non ferirlo. Herman avrebbe trovato una soluzione pratica e non mi avrebbe sommersa di parole d'amore. Non solo almeno.

Quando arrivammo ero esausta. Tremavo. Volevo solo lasciarmi cadere sul letto. Avevo male ovunque.

Ci toccò invece un lungo viaggio in automobile. Si trattava di un rottame vecchio di decenni che dovette procedere su una strada che non era una strada.

E come se tutto questo non fosse bastato Gwen ridacchiava, lanciava frecciatine, tirava i capelli a Rose.

Quando arrivammo alla nostra nuova casa avevo le tempie doloranti.

La villa era bianca e s'inalzava su due livelli. La fissai sorpresa. Non mi ero mai aspettata qualcosa di simile.

-Non puoi dire che sia brutta- Albert sembrava timido.

Avvampai. -Sì, è bella- ammisi.

-Devi solo abituarti- m'incoraggiò.

Annuii appena. Per lui era facile parlare. Lui non aveva mai avuto una vera casa. Lui aveva sempre viaggiato. Non esisteva luogo in cui non fosse stato. Io invece... volevo il mio castello. Volevo solo tornare dov'ero cresciuta.

Nonostante questo le giornate presero a trascorrere serenamente. Seguivamo una routine soffocante, ma che mi permetteva di tenere sotto controllo il mio malessere. Presto tutto mi parve procedere per il meglio. Perfino la competizione tra Adam e Julien parve assopirsi. Io ripresi a scrivere. Unica pecca in quell'idillio era Gwen. Non sorrideva, chiusa in un mondo cupo. Mi odiava. Io lo sapevo e lei sapeva che io sapevo. Vivevo in questa consapevolezza. Non ne soffrivo. Inutile provare sofferenza per qualcosa che non potevo evitare. Io avrei potuto amare quella bambina se lei avesse voluto farsi amare. Gwen però non voleva. Suppongo che non avrei potuto far nulla per farmi amare. Sua madre le aveva avvelenato il cuore con il suo odio.

Mi dedicai al giardinaggio, come un tempo aveva fatto mia madre. In particolare iniziai a interessarmi delle rose. Non capivo perché vicino alla tenuta non riuscissero a crescere. Decisi che sarei riuscita a piantarle.

Albert mi assecondò, felice che avessi un nuovo interesse.

Sigfrido cresceva. Simile al padre.

Fu una lettera ad avvisarmi di una cosa che mai avrei pensato. Lotte si era fidanzata.

Albert rise quando lo seppe. Una risatina isterica che forse nascondeva altro. -E chi è lo sfortunato?

-Non lo dice- mormorai. Possibile che dentro di lui ci fosse del sentimento per mia cugina?

-Povero

Fissai mio marito, cercando di capire cosa gli passasse per la mente. Invidiava forse il "fortunato"?

C'era qualcosa nella lettera di Lotte che mi turbava. Dormii poco e male. Perché non mi parlava di questo misterioso fidanzato?

-Verrà a trovarci- aggiunsi con un filo di voce, gli occhi persi tra quelle parole. C'era qualcosa di strano.

-Con il fortunato?- chiese Albert, ironico.

-Sì, credo di sì- un senso di turbamento non mi permise di aggiungere altro.

-Sono proprio curioso- serrò le labbra -spero solo che non lo faccia soffrire, ma forse chiedere questo a Lotte è troppo

-Cosa t'importa?- le parole mi sfuggirono di bocca. Una cascata che si riversa in un fiume. Le guance mi bruciarono. Guardai altrove.

-Beh, credo che sia umano, mi preoccupo degli altri esseri umani

-Sembri geloso- non ero mai stata così combattiva con lui.

Albert mi fissò. Mi sentii a disagio. Mi ero messa in una situazione spiacevole. Piegai le labbra in un sorriso, abbassai la testa, sbattei le palpebre. Sottomessa.

-Vivi, tesoro, non devi dire così- mi avvolse tra le sue braccia. Affondai in lui. Fu confortevole come essere di nuovo una ragazzina. Fu un ritorno a un passato che non esisteva. Fu vedere ciò che non avrebbe potuto essere se non avessi mai conosciuto Herman.

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