12 IL LIBRO

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La principessa camminava a passo spedito lungo il corridoio, cercando, al tempo stesso, di non fare troppo rumore.

A quell'ora della notte avrebbe dovuto essere nelle sue stanze già da diverse ore. Sotto le coperte, vicino al suo scaldapiedi per evitare i geloni dati dall'inverno ormai alle porte.

Indossava poco più di una vestaglia sopra ai suoi indumenti da camera e, se mai suo padre l'avesse vista gironzolare per il castello in tali condizioni, di certo non sarebbe scappata ad una bella ramanzina.

Ma, di giorno, la biblioteca era diventata inaccessibile per ciò di cui necessitava lei. Doveva sbrigarsi a recuperare il libro e portarlo con sé fino alle sue stanze ove avrebbe potuto leggerlo con più tranquillità e in qualsiasi momento ella avesse voluto.

Pheanie aveva stabilito che, se l'avessero colta il flagrante, avrebbe detto di essere sonnambula.

Il portone della biblioteca si aprì con un cigolio assordante e la principessa si fiondò al suo interno con il cuore in gola prima che qualche guardia udisse il frastuono.

Le piaceva quella sensazione. Era un brivido di eccitazione che le mandava il petto in fibrillazione mentre agiva contro il volere di suo padre, re Gohr.

La luce fioca della torcia illuminava debolmente lo spazio intorno a lei mentre avanzava lungo i corridoio tra gli scaffali in direzione della sezione "storia dei regni".

Pheanie si ricordava all'incirca la posizione nella quale aveva trovato il libro che stava cercando un paio di sere prima e, per sicurezza, l'aveva lasciato nell'esatta ubicazione in cui era: capovolto rispetto agli altri.

La principessa scorse un po' di tomi fino a quando lo trovò: "Cronache del Re Bruto". Dal titolo, sembrava un libro di favole. Ma, allora, era nella sezione sbagliata.

No. Ladon non avrebbe mai commesso un errore del genere!

Senza ulteriori indugi, afferrò il rivestimento in cuoio del volume e lo estrasse accarezzandolo sul dorso per sentire la ruvidità sotto i suoi polpastrelli.

Pheanie aveva sempre amato i libri. Ne adorava l'aspetto, le copertine più antiche – quelle che avevano già di per sé una storia da raccontare –, amava l'odore delle pagine.

Stava per uscire dalla biblioteca quando udì dei rumori. La ronda notturna stava passando proprio in quel momento da quelle parti.

La principessa sospirò tenendo l'orecchio incollato alla porta. Maledizione! A quanto pareva, sarebbe stata costretta a rimanere lì per un po'.

In quel momento, decise che avrebbe iniziato la lettura, almeno per ingannare il tempo.

Così, acceso il lumino sulla scrivania che un tempo era appartenuta a Ladon, si sedette sulla poltrona e aprì il volume dall'interno ingiallito tornando all'indice che le avrebbe indicato l'esatta pagina in cui compariva il nome di Dorothar.

Pagina ventidue. Senza troppa fretta, sfogliò il libro fino a che, a pagina ventidue, un disegno appena sotto al numero del capitolo, attirò la sua attenzione.

In mezzo al foglio c'era l'immagine di una bestia orrenda dalle zanne acuminate e le immense ali sbrandellate.

Il resto della pagina era scritto a mano – come, del resto, lo era l'intero libro – con una calligrafia distesa ed elegante.

Pheanie si scostò i ricci scuri dietro alle orecchie ed iniziò a leggere ignorando le folate gelide di quell'immensa stanza che la investivano in continuazione.

Dorothar, re delle Terre Lontane, era appena stato incoronato quando convocò alla sua corte tutti i maghi del regno facenti parte del Consiglio Superiore, l'organo che controllava il buon andamento delle finanze del regno e che giudicava nelle cause più importanti.

I maghi. Pheanie aveva sentito parlare di tali creature a cui erano stati attribuiti poteri inumani, in grado di cambiare il corso delle stelle o la direzione del vento.

Era però risaputo che queste persone dotate di tali doni erano scomparse molti secoli prima per cause misteriose.

Perciò, quello che aveva tra le mani, meditò Pheanie, era il racconto di un tempo così lontano che persino i suoi avi parevano averlo rimosso.

Accolti come degli ospiti, Dorothar tentò di ingraziarseli per ottenere un posto di rilievo anche tra i magici del regno. Ma, quando il re si candidò al Consiglio, non ottenne altro che un rifiuto, fatto che lo fece inalberare non poco.

Dorothar, allora, ordinò loro di inchinarsi, per dimostrare la propria fedeltà e la sottomissione del Consiglio Superiore alla corona.

Gogljekerim, mago a capo del Consiglio, a quella richiesta, rise apertamente in faccia al re dicendo che un mago mai avrebbe potuto sottomettersi ad un semplice umano, e l'offesa fu talmente grave che Dorothar ordinò alle sue guardie di rinchiuderlo nelle prigioni.

Il mago, divertito, lasciò che le sentinelle del re lo conducessero in una cella talmente piccola che l'uomo doveva stare accucciato per non sbattere il capo sul soffitto.

L'indomani, quando una guardia si avvicinò alle sbarre della prigione, notò che non c'era nessuno: Gogljekerim era fuggito grazie alla magia.

Dorothar si rese conto che, se avesse voluto regnare senza intromissioni, avrebbe dovuto essere temibile per tutti, soprattutto per i magici che minacciavano la sua autorità. Ma il re era altresì consapevole che liberarsi dei maghi non sarebbe stata cosa semplice e che i mezzi a sua disposizione non erano certo sufficienti.

Per sua fortuna giunse a corte, qualche giorno dopo, un forestiero dotato di una grande cultura al quale un mago aveva fatto un grave torto. Il forestiero, Oderum, disse a Dorothar che l'unico modo per sconfiggere il Consiglio sarebbe stato essere più forte di loro.

Il re lo ascoltò con attenzione e Oderum gli rivelò che, sulle montagne a est, al di là di Piccola Terra, c'era un santuario abitato da spiriti. Solo loro avrebbero potuto aiutarlo a liberarsi dei suoi sudditi infedeli.

Gli spiriti, se avesse portato cinque fedeli sudditi e li avesse sacrificati, lo avrebbero dotato di capacità sovrumane al punto che uccidere i maghi non sarebbe stato poi difficile.

Soddisfatto della rivelazione, Dorothar ricompensò generosamente il forestiero e gli concesse l'usufrutto di alcune terre sulle quali, anni dopo, sorse una nuova città: Oderia.

Prima, però, di porgere tali doni, il re pretese che fosse proprio Oderum ad accompagnarlo fino al santuario.

Racimolati una manciata di sudditi, Dorothar partì con una parte del suo esercito ed il forestiero guidò la spedizione attraverso le fitte boscaglie ai piedi dei monti, nel cuore di quella regione che, ad oggi, chiamiamo Forterra.

Lungo la strada, incontrarono una vecchia. Una signora vestita da un manto pulcioso e sporco di terra, con tante rughe sul volto da sembrare una ragnatela.

La vecchia si scoprì essere una veggente che pregò il re di rinunciare alla sua impresa. Gli disse che avrebbe parlato lei stessa con Gogljekerim e gli avrebbe fatto cambiare idea.

Ma le suppliche dell'anziana veggente non fecero che incoraggiare Dorothar a proseguire il suo viaggio e, abbandonatala esattamente ove l'avevano trovata, si incamminarono tutti a passo spedito.

Giunti al santuario oltre Piccola Terra, il re sacrificò i cinque seguaci. Quando anche l'ultimo sacrificio fu compiuto, comparve l'ombra di un uomo, ma non il suo corpo.

Egli parlò con la sua voce tanto profonda da intimorire anche Dorothar: «So cosa siete venuto a chiedere» disse scandendo bene ogni parola.

Ivi, Pheanie si fermò. Mancava una pagina. C'erano i segni di uno strappo che doveva essere stato fatto di recente.

Qualcuno aveva portato via un pezzo del racconto. Perché mai?

Frustrata, Pheanie sospirò e decise di proseguire alla pagina successiva la sua lettura:

«Voglio solo avvertirvi: se vorrete tra le vostre mani il potere divino, dovrete subire in cambio tante sofferenze quanti sono stati i sacrifici!»

«Sofferenze?» domandò ancora Dorothar, prendendo coraggio e facendosi avanti mentre si mostrava in tutta la sua fiera ambizione.

L'ombra si mosse a sua volta ed indicò gli affreschi che erano stati dipinti sul muro del santuario. «Cinque grandi supplizi che dovrete sopportare voi stesso: dolore fisico, eterna solitudine, perdita dei cari, senso di colpa, l'assenza del calore umano» rispose l'ombra del santuario. «Ma c'è dell'altro» aggiunse mentre il re ascoltava con attenzione. «Dovrete fondere la vostra spada»

«La mia spada?»

«Dovrete ricavarne cinque. Quando deciderete di fare dei passi indietro, dovrete pugnalarvi ed un supplizio sparirà... ma, attenzione! Quando sarà conficcata l'ultima lama, la quinta, voi sarete morto!»

A quelle parole, Dorothar rabbrividì, ma si costrinse a non farsi intimorire e...

In quel momento, Pheanie si rese conto di essere osservata. Qualcuno, chissà da quanto tempo, se ne stava in piedi a qualche metro da lei.

La principessa rabbrividì e il suo colorito sbiancò all'improvviso. Non aveva sentito entrare nessuno. Forse era così concentrata nella lettura da non essersene resa conto.

Gineris fece un passo avanti verso di lei e Pheanie si alzò d'istinto dalla poltrona chiudendo il libro.

Aveva un sorriso strano quella ragazza e la principessa si ritrovò angosciosamente a pensare: adesso mi uccide.

Ma la ragazza, dritta sulla schiena mentre i biondi capelli sciolti le ricadevano lungo le spalle, si fermò a circa un metro da lei, senza smettere di fissarla.

«Cercate qualcosa?» domandò Pheanie con un tremolio nella voce.

Il sorriso beffardo della ragazza si allargò. «Mi domando, piuttosto, voi, cosa cercate» ribatté aggrottando la fronte.

«Non gradisco che mi si spii, Gineris!»

In risposta, lei scosse la testa. «È il mio lavoro».

Incredibilmente fastidiosa. Ed inquietante. «Non ritengo di essere un individuo sospettato di mettere a repentaglio l'incolumità del regno» replicò Pheanie stizzita. «Forse dovresti impiegare meglio il tuo tempo, visto quello che ti pagano!» sbottò spostando indietro i capelli che le erano ricaduti davanti al volto.

«Vostra sorella Edilla ha ragione: non avreste alcun motivo di essere qui a quest'ora se non aveste nulla da nascondere...» fece notare Gineris appoggiandosi con le mani sulla scrivania e sporgendosi in avanti, dando una completa visuale a Pheanie del suo seno prosperoso. È così che intorta mio fratello?, si ritrovò a pensare.

Con un movimento deciso, la donna dai lunghi capelli biondi afferrò il libro osservandolo da vicino, mentre Pheanie cercava di mantenere il controllo e non uscire dai gangheri, facendo il suo gioco.

«Cronache del Re Bruto» lesse Gineris maneggiando la copertina senza troppa cura, gesto che fece irritare ancor di più la principessa. «Non trovo proprio che sia una lettura adatta a voi!» commentò.

«Non me ne frega un accidente di cosa pensi tu!» esclamò Pheanie nella più completa indignazione. «Non sei tu a decidere cosa è adatto a me!»

Ma la ragazza parve ignorare l'irritazione della principessa, tanto che l'espressione indifferente le rimase impressa sul volto. «Non sembra un libro scelto da Pustos...» dichiarò mentre lo sfogliava rozzamente.

«Ridammelo subito!» ordinò Pheanie mentre la rabbia le cresceva nel petto e la pazienza sembrava lasciare il suo corpo.

Gineris, a quella richiesta, sollevò gli occhi glaciali verso la principessa e sorrise di nuovo. «No» rispose soltanto.

«Sono la tua principessa!» Pheanie odiava dover dire certe cose, ma la sua spocchia la rendeva eccessivamente inopportuna e lei doveva rimetterla al posto suo. «Farò punire la tua disobbedienza!»

La ragazza, dall'altra parte della scrivania in legno, scosse la testa. «Così dovrete spiegare a vostro padre come trasgredite ai suoi ordini e scavalcate Pustos...» osservò beffarda. «Vedete, io sto solo rispettando la sua volontà» concluse in tono innocente.

A quanto pareva, il sentimento di astio era reciproco. Era palese come la collaboratrice di Arthis intendesse soltanto metterle i bastoni fra le ruote. Forse per i tentativi di Pheanie di tenerla lontana da suo fratello e per il suo modo, quindi, di impicciarsi nella sua carriera lavorativa. Ma, il fatto appena successo non faceva che alimentare i dubbi che la principessa aveva su di lei.

«Cosa te ne fai di un libro, Gineris?»

«Magari mi faccio una cultura» rispose ridacchiando mentre si avviava verso la porta d'uscita. «Anche se credo che il principe Arthis lo riterrà persino più interessante di me!»

Odiosa. Senza alcun dubbio.

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