11.2

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Il vento gelido le sferzava i capelli mentre Dazira attraversava due file di tende per raggiungere l'infermeria, decisa ad accertarsi che Amila, la gentile ragazza che l'aveva accolta all'accampamento, stesse bene.

Era con lei che stava parlando quando era stato dato l'allarme dell'imminente battaglia, il giorno prima e, una volta giunta all'accampamento dopo il combattimento, Dazira aveva visto degli uomini sollevare la barella dell'infermeria e portarla dentro la tenda con una certa fretta.

Fino a quel momento era stato impossibile per chiunque entrare nel tendone: i dottori avevano avvertito che chiunque avesse voluto farle visita avrebbe dovuto attendere il nuovo giorno.

Ed eccola lì, davanti alla tenda. Ma il sorriso le morì in gola non appena giunse all'entrata.

Lui era lì. Era con lei.

Mille pensieri le affollarono la testa, ma di una cosa era certa: mai aveva visto Ernik piegato sul lettino di un'astanteria con lo sguardo così stanco e sfibrato nell'osservare una donna stare male.

Poi successe. I due si baciarono e Dazira ebbe la sua conferma.

Una conferma che fece male, più di quanto la ragazza non pensasse.

Forse aveva creduto che il tempo si fosse portato via quei sentimenti. Tutto ciò che lei aveva provato per il suo migliore amico. Ma non era così, erano solo sepolti sotto ad un cumulo di rancore.

Aveva visto decine di volte Ernik affiancato da delle donne bellissime. Ma quello era un contesto diverso. Era una situazione talmente intima che in un attimo Dazira concepì l'idea che lui non sarebbe mai stato suo. E questa considerazione la trapassò da parte a parte in una fitta lancinante.

Come era possibile che lei ci tenesse ancora così tanto dopo tutto questo tempo? Dopo tutto ciò che lui aveva fatto?

Indugiò sulla soglia ancora per un attimo, poi si voltò e se ne andò, lasciando dietro di lei un pezzo della speranza che il suo cuore, di nascosto, aveva coltivato negli ultimi anni.

Accelerò il passo lungo i camminamenti del campo militare e, senza nemmeno essersene resa conto prima, giunta alla sua tenda si accorse che stava correndo.

Non sapeva nemmeno lei come descrivere ciò che stava provando. Sapeva solo che aveva voglia di rompere qualcosa o di prendere a pugni qualcuno.

Si precipitò all'interno della tenda con foga e, resasi conto dell'assenza di Therar, prese con rabbia il suo arco e lo spezzò sulle sue ginocchia per poi buttare all'aria l'improvvisato materassino, indumenti e tutto il poco che c'era nello spartano alloggio militare.

«Cosa cavolo stai facendo, Dazira?» domandò la voce severa e incredula al tempo stesso di Therar.

La ragazza si voltò verso di lui con uno stivale in mano, sospeso a mezz'aria. Lui la stava osservando con le mani appoggiate sui fianchi e gli intensi occhi scuri fissi sui suoi, la cicatrice ben evidenziata dalle rughe d'espressione.

Dazira portò lo sguardo da lui al disastro che la circondava, con una punta di senso di colpa per aver distrutto il suo arco. «Sistemo» rispose semplicemente, come se la vista dell'ambiente a soqquadro non la toccasse minimamente.

Per qualche istante, Therar rimase immobile sulla soglia, poi scosse la testa e le si avvicinò.

«Strano modo...»

A quelle parole, la ragazza sbuffò e si lasciò cadere su quello che restava della sua brandina. «Ernik...» iniziò a dire con un sospiro. Ma Therar non la lasciò continuare: «Non dirmi che hai ancora una cotta per quel moccioso senza spina dorsale!» esclamò duramente rimproverandola con lo sguardo.

Perché quel ragazzo ci teneva tanto che lei diventasse una fredda assassina dall'animo apatico? «E allora?» lo provocò lei senza negare.

«Devi smetterla di fare la bambina!» sbraitò lui puntandole il dito contro mentre scuoteva la testa in segno di dissenso.

Offesa, la ragazza le diede le spalle e gli indicò la porta. «Va' al diavolo, Therar!»

«Maledizione, Dazira! Tu uccidi persone e ti disperi tanto per un ragazzino...»

Ma lei lo interruppe con un gesto della mano: «Vattene!» esclamò cercando di trattenere le lacrime cariche di nervosismo che le stavano affiorando e minacciavano di far crollare tutta la sua collera per lasciare spazio alla delusione. «Lasciami stare, per favore!»

E, contro ogni pronostico, Therar se ne andò scostando la tenda con rabbia. «Voglio tutto in ordine prima dell'ora di pranzo!» dichiarò prima di uscire mentre Dazira tornava a respirare e i goccioloni le scendevano lungo le guance piene.

Fu allora che non pensò ulteriormente. Prese carta, penna e calamaio ed iniziò a scrivere al centro di quel disastro che sovrastava quell'ambiente e che tanto le portava alla mente il ricordo delle stanze di Ladon al castello il giorno in cui lui era stato trovato morto.

Accampamento bat. 13, terzultimo giorno d'autunno

Gentile Principessa Pheanielle,

sono consapevole che forse non dovrei contraddirvi, ma il maestro Therar è un vero bastardo!

Sono stanca. Sono stanca di essere solo "il demone", "la bestia", " il mostro"... adesso, addirittura, "la creatura"!

Forse non dovrei sfogarmi con voi, ma sento di non avere alleati qui. Tutti quelli che mi acclamano, celebrano cosa sono e non chi sono.

Sono stanca di uccidere le persone. Stanca di questo senso di colpa che non mi lascia dormire serena la notte. Io non voglio essere quello che sono! Non voglio fare quello che faccio!

A nessuno importa del fatto che ci sia una ragazza in questo corpo! Tutti vogliono l'assassino, e Therar non è da meno...

E diede sfogo così ad ogni suo pensiero, informando la principessa di nozioni e pensieri a cui, con tutta probabilità, non avrebbe dato importanza.

Ma erano importanti per Dazira.

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