11 GELOSIA

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Davanti a lei, un meraviglioso corso d'acqua scintillante alla chiara luce del sole estivo durante le torride ore pomeridiane.

Le uniche zone all'ombra erano date dai robusti olmi ai lati del torrente che portavano un po' del fresco della foresta.

Dazira si chinò posandosi su un masso per riuscire ad abbeverarsi, ma, non appena toccò l'acqua, quest'ultima si fece nera. Nera come la pece.

Poi il masso su cui era posata iniziò a traballare e, prima che lei si riuscisse a risollevare in piedi, cadde dentro al ruscello.

A quel punto, delle mani sbucarono dalla pece, mani munite di pugnale, tutte con lo stesso: una lama argentata e finemente lavorata che Dazira aveva visto da qualche parte, nel su passato.

Poi iniziò il dolore. Le mani infierivano sulla carne della ragazza tingendo il ruscello di sangue ed ad ogni mano corrispondeva un volto: Ladon, Ernik, la principessa Pheanie, Therar...

Infine, Dazira si svegliò di soprassalto.

Con il cuore ancora in gola, si sollevò a sedere e si tastò il corpo, quasi a voler controllare che non fosse realmente ferito.

Aveva già fatto quell'incubo orrendo, ma non allo stesso modo. Di solito, a pugnalarla erano le sue vittime, non i suoi cari.

Rapidamente, gettò un'occhiata nella direzione della branda di Therar e, per qualche secondo, le parve di vederla vuota. Si stropicciò gli occhi, mentre la pelle d'oca le scresceva sulle braccia nude.

Therar era lì, come al suo solito. E, anche senza dire nulla, la sua sola presenza era un elemento di conforto. Ora più che mai.

●●●

Ernik inspirò profondamente l'aria pungente di quella ventosa giornata invernale. Si preannunciava una stagione fredda, specialmente per chi, come loro, risiedeva poco riparato vicino al campo di battaglia.

Il ragazzo rimase per qualche minuto fermo davanti alla tenda dell'infermeria. Non sapeva cosa aspettarsi una volta varcata quella soglia.

Non sapeva come stesse lei – non le era stato permesso di vederla fino a quel momento – né in che termini lei fosse arrabbiata con lui a causa della gelosia che Amila aveva mostrato nei confronti di Dazira.

Sperava solo che stesse bene. Il dottore gli aveva confessato che per lei era stata una nottataccia e che i dolori non le avevano permesso di chiudere occhio, ma che, se la ferita non si fosse infettata, con tutta probabilità sarebbe guarita senza riportare conseguenze.

Amila era stata trovata alla fine della battaglia quasi in fin di vita. Era stata pugnalata al fianco, ma, per un assurdo colpo di fortuna, pur non essendo una ferita superficiale, non appariva niente di irreparabile.

Ernik sospirò e, voltatosi indietro una volta, entrò nella tenda avvicinandosi alla brandina sulla quale stava distesa Amila.

La ragazza era sveglia e lo stava fissando con il volto tendente al ceruleo, gli occhi stanchi e cerchiati e la fronte imperlata di sudore sulla quale ricadevano le ciocche che erano sfuggite alla crocchia di capelli improvvisata che l'infermiere le aveva fatto sopra la testa.

«Amila...» le sussurrò avvicinandosi.

Lei distolse lo sguardo. «Vattene via, Ernik!» La sua voce era debole, ma il tono appariva determinato.

«Penso che dovresti...»

«Vattene, ho detto!» ribadì la ragazza riportando gli occhi su di lui e guardandolo con una traccia di disperazione. «So benissimo chi è lei

Lei. Dazira. In fin dei conti, Barvis non si era sbagliato. Era lei il problema.

Era appena stata ferita gravemente e il suo problema era Dazira. Era davvero così insicura da ritenersi inferiore a lei o pensava ci fossero dei precedenti? Con più probabilità, la seconda.

«Quindi è una questione di gelosia» commentò Ernik sedendosi sulla sedia accanto alla branda di Amila.

La ragazza scosse il capo con un'espressione scocciata. «Non dovrebbe importarmi?» lo provocò mentre i suoi occhi verdi si accendevano improvvisamente.

Per un momento, Ernik si sentì rincuorato dalla paura che quella ragazza aveva di perderlo e un calore crescente gli invase il petto.

«Ti sbagli sul suo conto» le disse in tono comprensivo.

Ma lei parve non sentirlo nemmeno. «Carina, non c'è che dire!» commentò aspramente.

Ernik aggrottò la fronte e cercò di trattenere un sorriso per poi sfiorarle il mento con le dita e spostarlo delicatamente in modo tale che lei non potesse sfuggire al suo sguardo.

«Amila, mi devi ascoltare» affermò in un sussurro, catturando la sua attenzione. «Non siamo mai stati insieme... era mia amica».

«Vi guardate proprio come due amici!»

A quanto pareva, Amila proprio non era disposta a capire. Era il momento della verità. Amila avrebbe saputo tutto, avrebbe saputo chi era lui e come aveva trattato le persone che aveva amato e, se, a quel punto, lei avesse ancora voluto stare con lui, sarebbe stata una scelta consapevole. Cosciente di tutti i rischi che comportava voler bene ad un tale idiota.

«Io... mi vergogno di me stesso per quello che ho fatto...» ammise abbassando lo sguardo mentre il peso della verità gli crollava addosso.

Per qualche secondo, Amila rimase in silenzio e parve pensarci, poi cercò i suoi occhi. «Cosa vuoi dire?»

«Le ho voltato le spalle» iniziò a spiegare Ernik, ricacciando indietro ogni rimorso. «Noi siamo cresciuti insieme... io, Kaspiro e Dazira. Noi eravamo... eravamo affiatati...» spiegò sospirando. «Lei era la mia migliore amica ed io avrei dovuto essere con lei, quella sera...»

«Quale sera?» lo interruppe lei indagando mentre coglieva ogni parola come un uomo fa con l'acqua dopo un'attraversata nel deserto.

«Quella in cui incontrò il demone».

Già. Quella maledetta sera. Quella sera aveva rovinato tutto. Anche se Ernik sapeva bene di non poter dare tutta la colpa al demone.

Di nuovo silenzio. Amila sembrava pensare velocemente mentre tutti gli ingranaggi venivano finalmente posizionati nel posto giusto. E, in pochi istanti, sembrò comprendere il peso che per troppo tempo quelle parole non dette gli stavano facendo portare addosso.

«Non è stata colpa tua...» mormorò lei accarezzandogli la barba ispida mente il tono le si addolciva.

Ma lui la fermò. «Non è tutto» dichiarò contraendo la mascella per il senso di colpa. «Quando l'ho saputo, me ne sono andato. Sparito! Le ho detto addio e l'ho lasciata sola a marcire in quella dannata prigione per tanto, tanto tempo!» confessò mentre gli occhi diventavano lucidi, tanto che il ragazzo abbassò il capo per non farlo notare.

Amila non rispose per qualche secondo, con un'espressione riflessiva stampata sul volto. «Dove sei andato?»

«Sono entrato in accademia».

La ragazza annuì comprensiva, ma con un'espressione impassibile che Ernik non seppe decifrare. «Capisco... L'ultima volta che l'hai vista è stato in quella prigione?» chiese lei osservandolo con i suoi grandi occhi verdi cerchiati per la notte passata in bianco a causa dei dolori.

Lui non rispose. Annuì semplicemente, con una smorfia d'amarezza che troneggiava sugli angoli della sua bocca.

Amila sospirò e in quello sbuffo d'aria Ernik percepì tutta la sua tensione. Forse non era stata una grande idea parlargliene in quel momento, ma non poteva più tirarsi indietro.

«È tutto?» domandò la ragazza posandogli una mano sul petto con lo sguardo implorante. «Ernik, se c'è dell'altro devi dirmelo!» esclamò.

Era il momento. Amila avrebbe saputo e le avrebbe fatto male e forse non era il momento, ma Ernik non avrebbe potuto tollerare un'altra bugia.

«A dire il vero, c'è dell'altro...» dichiarò in un bisbiglio con la voce rotta dalla frustrazione.

La ragazza parve boccheggiare. «Lo sapevo!»

«Non... non riguarda lei...» si accinse subito a spiegare Ernik, onde evitare malintesi. «Non ti ho detto una cosa...» disse il ragazzo prendendo le distanze appena un poco. «Io... avevo trovato un bigliettino...»

Gli occhi di lei divennero due fessure in attesa di comprendere il nesso, ma lui sembrava non voler proseguire. «Che cosa? Cosa centra?» incalzò lei cercando di leggergli negli occhi la verità.

«Ti prego, ascoltami!» la interruppe lui in tono disperato. Sapeva di aver bisogno di tutto il suo tempo per confessare qualcosa che l'aveva tormentato per così tante notti... «Nella stanza di Naston! Voi mi tenevate nascosto qualcosa ed eravate tutti strani... ed io volevo sapere!» le ricordò Ernik enfatizzando con le braccia, quasi a voler scacciare la tensione con una risata isterica.

«Cosa stai cercando di dirmi?»

«Esattamente quello che pensi. Ho rubato il foglietto a Naston mentre non guardava!» confessò il ragazzo mentre Amila, davanti a lui, sbarrava gli occhi, segno che aveva capito.

«Vuoi sapere cosa c'era scritto?» continuò Ernik mentre la ragazza scuoteva il capo in segno di diniego e le lacrime si affacciavano alla finestra dei suoi occhi. Ma lui ignorò la supplica silenziosa e andò avanti: «Locanda De' Solé, stanza 11. Mezzanotte».

A quelle parole, Ernik poté percepire il brivido che invase il corpo già provato di Amila, ma infierì ancora, come se avesse preferito che lei lo odiasse. Forse era ciò che sperava. «Esatto: il luogo dove è morto. Il biglietto che è stato mostrato al processo. L'ho perso durante un allenamento... deve essermi uscito da qualche tasca...» continuò il cavaliere.

Amila era a dir poco sbigottita. «Tu...»

«Ho ucciso io Naston» dichiarò il ragazzo lasciando che le lacrime sgorgassero sul suo volto, senza più riuscire a trattenerle. «Non direttamente, ma Rotoro non l'avrebbe fatto se non fosse stato per me! È colpa mia se è morto» ammise mentre i singulti spezzavano le sue frasi. «Ti chiedo perdono».

Ma Amila non rispose. Lo guardò e basta, con le lacrime agli occhi, assorbendo tutto il suo dolore.

Poi, inaspettatamente, la ragazza gli posò una mano sulla guancia, fissandolo dritto negli occhi. «Ernik...» lo chiamò con voce greve. «Non è stata colpa tua» gli disse mentre lui coglieva il suo perdono.

Lei non era arrabbiata. Avrebbe dovuto odiarlo e mostrava solo compassione. Perché?

«Perché non me l'hai detto?» gli domandò Amila accarezzandogli la zazzera biondo scuro.

Ernik ricacciò indietro le lacrime che però non smisero di sgorgare. «Mi vergognavo» rispose. «Come mi vergogno di come mi sono comportato con Dazira, di quello che sto facendo a Kaspiro e per non essere andato al funerale di Ladon!» ammise con un gemito. «Forse dovresti starmi lontana».

Quelle parole, però, Amila parve ignorarle, perché, presogli il viso tra le sue mani, lo avvicinò a lei e lo baciò, mischiando le sue lacrime a quelle di lui.

Ed Ernik capì che lei aveva compreso il peso che per tutto questo tempo lui aveva portato sulle proprie spalle. E che ora non era più solo ad affrontare tutto.

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