15.2

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Ernik arrancò ancora qualche metro. Era da ore che si nascondeva nella foresta, fuggendo.

Fu in quel momento che lo vide: un soldato sartesiano era a qualche passo da lui, ma non si era ancora accorto della sua presenza.

Senza più fiato, Ernik iniziò ad agitare le braccia sporche e coperte di fuliggine, come lo erano, d'altronde, altresì il suo viso, i suoi capelli ed i suoi indumenti che i loasiani avevano strappato per le pene corporali.

Non appena il ragazzo si accorse di lui, si accinse subito a raggiungerlo e, messogli il braccio intorno alle sue spalle, lo aiutò a raggiungere l'accampamento.

Ci vollero alcuni minuti e diverse sorsate d'acqua prima che Ernik potesse riprendersi e rendersi conto che nessuno dei suoi amici era giunto ad aiutarlo. «Dove sono tutti?» domandò, infatti.

«È in corso il processo al comandante Rotoro» rispose il giovane che l'aveva soccorso.

Giusto. Rotoro. Per un istante Ernik si era dimenticato che, prima che venisse catturato, il suo comandante aveva tentato di far uccidere Dazira. Quel maledetto. In cuor suo, Ernik sperò che venisse fatta giustizia e che, finalmente, si fosse deciso di sbarazzarsi di quel parassita.

«Cavaliere Ernik, cosa...»

«Ci sarà tempo per parlare» lo interruppe lui, con un cenno della mano, rialzandosi in piedi. «Dove si sta tenendo il processo?»

Il ragazzo, davanti a lui, lo osservò sbieco, incerto sul da farsi. Di certo non si aspettava una tale reazione da parte di un uomo che sembrava finito dentro ad un forno prima di essersi rotolato nel fango ed aveva certamente bisogno di un bagno e di cure, benché le ferite fossero superficiali. «Al poligono di tiro» affermò poi il ragazzo, seguendolo con lo sguardo fino a che Ernik non scomparì tra le tende dell'accampamento, diretto al luogo dove il suo intero battaglione era radunato.

Quando Ernik arrivò, il processo era appena finito e gli ufficiali se n'erano appena andati. Riuniti tra le balle di paglia che costituivano i bersagli, tutti i cavalieri sembravano nel mezzo di un'accesa discussione.

Fu allora che qualcuno, in lontananza, lo vide e, prima di chiunque altro, iniziò a correre verso di lui, mentre i suoi compagni la seguivano a rotta di collo. Amila, incurante dello stato pietoso nel quale Ernik si trovava, gli si gettò con le braccia al collo, stringendolo forte mentre i dolori lancinanti delle angherie subite tornavano a farsi sentire sul corpo di lui.

Senza attendere oltre, la ragazza lo baciò con disperazione per un infinito attimo. Poi successe l'impensabile.

Ernik non se ne rese nemmeno conto e, dopo un forte colpo alla faccia, si ritrovò a terra, completamente gambe all'aria, davanti allo sguardo esterrefatto di tutti i presenti.

In un secondo, nel prato in mezzo al poligono, calò il silenzio.

Il ragazzo si portò le mani alla faccia sanguinante. «Ma che diavolo...» Poi alzò lo sguardo, e lo vide. Kaspiro, con la sacca da viaggio sulle spalle, era proprio ad un metro da lui e lo stava fissando con un'espressione che, in tanti anni di amicizia, mai gli aveva visto dipinta addosso.

Il tutto durò pochi attimi, prima che Kaspiro si voltasse e facesse per tornare sui propri passi.

Era tornato. Kaspiro era tornato.

Ernik si voltò verso Amila che, ancora stupefatta, stava cercando di fermare il ragazzo afferrandolo per un polso. «Kas!» urlò. Con uno strattone rabbioso, lui si liberò dalla presa. «Mi disp...»

Ma non la lasciò terminare. «Vallo a dire a qualcuno a cui importa, Amila!» sbottò prima di farsi largo tra la folla di cavalieri che, divertiti, stavano assistendo alla scena.

●●●

Dazira respirò profondamente, facendo penetrare i profumi della notte all'interno del suo corpo.

Questa volta era sicura: Therar stava dormendo e non l'avrebbe seguita.

Era stata una giornata impegnativa e, ben presto, ne sarebbero giunte di peggiori. Il reggimento non aveva più il suo comandante: egli, infatti, era stato espulso dall'esercito, con il ripudio ed il disconoscimento da parte del padre che, davanti a tutti, una volta giunti a sentenza, l'aveva punito con un simbolico schiaffo.

Presto, dunque, il generale avrebbe dovuto nominare un nuovo comandante, con la gioia e l'entusiasmo da parte di tutti i membri del plotone.

Un altro ruggito, più potente, si fece largo nel corpo di Dazira. Maledizione. Il demone si stava svegliando di nuovo.

Con un sospiro, la ragazza si avviò verso la tenda di detenzione. L'avrebbe sfamato, ancora una volta. Come aveva fatto tutte le notti da qualche luna a questa parte.

A passo deciso, Dazira entrò nella tenda, ormai in una sorta di automatismo e, presa dall'ingente desiderio che negli ultimi tempi non l'abbandonava, lasciò che il Nero soddisfasse la sua sete.

Fu come un sogno ad occhi aperti. Un incubo.

Quando la ragazza se ne rese conto, ormai era troppo tardi: tutti i prigionieri, tutti, erano morti sotto le grinfie del demone. Una ventina di uomini in una sola notte. In pochi minuti.

Dazira si raggelò, rimanendo sconcertata a fissare l'orrido spettacolo in completo stato di shock.

Poi si voltò, decisa a lasciarsi dietro alle spalle anche quella tremenda notte, ma Therar la stava guardando. Proprio lì, accanto a quel massacro.

Lei non lo aveva nemmeno sentito entrare nella tenda.

Gli occhi profondi del ragazzo erano due pozze nere, cariche di un'intensa apprensione. «Sei pronta, ora, a parlarne?» le domandò con un' intransigente nota nella voce. E Dazira realizzò che non avrebbe più potuto evitare. Non avrebbe potuto sfuggire al fatto che la situazione era peggiorata.

Una cosa, fra tutte, però, era sicura: in quella dannata cella non avrebbe messo piede mai più.

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