16 LA MISSIONE

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«Vi starete chiedendo perché vi ho convocati qui» iniziò il generale, quando anche l'ultimo dei cavalieri disponibili nel plotone di Ernik – ad eccezione di Amila – fu entrato nella sua tenda. «Presto giungerà il nuovo comandante e il battaglione tornerà operativo autonomamente» spiegò in tono neutro, incrociando le braccia davanti al petto mentre tutti prendevano posto davanti a lui. «Ma vi ho fatto chiamare anche per un altro motivo» continuò guardandoli tutti, uno ad uno. «Un gruppo ristretto di loasiani ha assaltato un caseggiato nelle vicinanze... da cui prendevamo parte del nostro rifornimento. Deve tornare nostro!»

Una missione. Bene. Ernik sentiva di essere pronto, nonostante la recente disavventura. A dire il vero, forse, qualche giorno fuori dall'accampamento gli ci voleva.

In risposta, Alyconte annuì. «Partiremo domani con tutti i soldati a nostra disposizione!»

Il generale scosse la testa, tirando la tenda per illuminare l'ambiente buio e spartano. «Ho bisogno che il battaglione resti a difendere i confini sotto gli ordini del comandante Histro!» rispose con un sospiro. Era evidente quanto quell'uomo fosse provato, soprattutto negli ultimi tempi. «Per questa missione sono fiducioso nel fatto che riuscirete a portarla a termine in pochi» affermò soffermandosi su Ernik e sulle sue mani ancora parzialmente lese dal carbone ardente con il quale si era riuscito a liberare.

La sua avventura tra le linee nemiche era diventata la nuova epopea del campo base ed il ragazzo era sulla bocca di tutti, anche negli altri reggimenti.

«Di quanti uomini parliamo?» domandò un altro cavaliere, spostando il proprio peso da una gamba all'altra.

A quella domanda, il generale sorrise appena, fissando i ragazzi come se attendesse quella domanda con un certo divertimento, poi iniziò a contarli. «Mmm... sette» rispose.

«Solo noi? State scherzando, signore?»

Ancora una volta, l'ufficiale scosse il capo. «Siete o non siete cavalieri scelti?» esclamò in tono orgoglioso. Quell'uomo credeva davvero che ce l'avrebbero fatta. «Ah, al ritorno, portate quante più provviste possibili!» aggiunse mentre i cavalieri si congedavano incerti sull'esito di quella strana missione per recarsi al padiglione numero 3 e farsi dare maggiori spiegazioni, come da ordini del generale.

●●●

Stavano cavalcando a diversi chilometri dall'accampamento nemico, nascosti nella foresta, ormai da alcune ore.

Fino ad allora, non si erano concessi che una sosta, durante la quale era stata palesemente appurata l'ostilità di Kaspiro nei confronti degli altri cavalieri, di Ernik in particolare.

Non che qualcuno si fosse aspettato un atteggiamento diverso. D'altronde, la ferita era ancora aperta, e lo sarebbe stata per molto tempo.

Il ragazzo, per tutto il viaggio, era rimasto in silenzio e, salvo alcuni coinvolgimenti da parte di Barvis, non era parso interessato a partecipare alle disquisizioni della combriccola.

Ernik gli si avvicinò timidamente, affiancando il suo cavallo a quello del ragazzo. Fino ad allora, non aveva nemmeno provato a parlargli, ma, aveva deciso, non avrebbero potuto continuare così in eterno. D'altronde, erano amici da almeno una vita. «Kaspiro...»

Il ragazzo, però, non si voltò nemmeno a guardarlo. Rimase con gli occhi fissi sulla schiena del cavaliere che cavalcava avanti a lui, la bocca storta in una smorfia celata solo appena da un'incolta barba rossa. «Non mi parlare» lo ammonì.

«Amico...»

«No! Non te lo permetto!» sbottò allora, a voce più alta, fermando il cavallo così bruscamente che Alyconte, per poco, non gli andava addosso. Ernik inchiodò di rimando, senza spostare gli occhi verso i suoi compagni di viaggio che, era certo, non aspettavano altro che il confronto fra i due. «Non ti permetto nemmeno di chiamarmi così! Te lo ricordi ora che sei amico mio? Io, come un cretino, continuavo a mandare lettere sia a lei che a te, preoccupato per voi... E voi? Voi vi burlavate di me!» esplose ringhiando a denti stretti mentre la rabbia permeava da ogni poro.

«Questo non è vero!»

Kaspiro scosse il capo con uno sbuffo. «Quante risate vi siete fatti?» insistette sputando le parole con stizza. «Quel povero stupido di Kaspiro tanto va a morire...»

«Kas, ti prego...» lo supplicò Ernik con lo sguardo colpevole mentre con i denti si torturava il labbro inferiore.

«No, ti prego io: taci. Potevi scrivermelo in qualunque momento, ma hai preferito il silenzio. Bene. Continua a perseverare nel mutismo e stai lontano da me!»

Kaspiro, con gli stivali, spronò il cavallo e fece per ripartire, sotto gli occhi incuriositi di tutti gli altri che, senza nulla dire, si erano fermati assieme a loro.

Ernik sapeva di aver sbagliato. E sapeva che non c'erano, in verità, parole giuste da dire o cose giuste da fare, in quel momento. Però una cosa la sapeva: si odiava per il male che aveva causato a quel ragazzo. In cuor suo, aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato (Naston l'aveva previsto ancora prima che Amila diventasse la ragazza di Kaspiro)... solo, non si sarebbe mai aspettato che tutto sarebbe successo così in fretta.

«Non avremmo potuto dirtelo per lettera... sarebbe stata una vigliaccata!» si giustificò, sperando che l'amico si decidesse a fermarsi di nuovo per discutere della situazione e trovare, per quanto possibile, una soluzione. Ma non c'erano soluzioni.

Kaspiro sbuffò ancora una volta, voltandosi finalmente a guardarlo, con gli occhi iniettati di collera e rancore. «Invece arrivare qui aspettandomi che la mia ragazza ed il mio migliore amico mi accogliessero a braccia aperte e ritrovarmeli davanti intenti a sbaciucchiarsi è un modo decisamente migliore! Grande! Gran bel lavoro, hai fatto!» Poi tornò a guardare avanti a sé e, senza aggiungere nulla, tutti i cavalieri ripartirono, consapevoli che non sarebbe finita lì.

Un cavallo scuro si accostò ad Ernik, che si era posto in coda alla fila. «Fidati di me: sei fortunato ad essere vivo!» mormorò Barvis con un sorriso sornione. «Fossi stato al posto suo, a quest'ora di te non sarebbero rimaste che le ossa!»

Diavolo, lui sì che sapeva come farlo stare meglio!

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