16.2

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

L'immensa fattoria era circondata da uomini. In tutto, erano almeno una quarantina.

«Quarantatré» aveva precisato Lejok che, appostatosi, aveva iniziato a contarli. «Per una media di sei uomini a testa».

Era stato subito chiaro che, affrontarli frontalmente in uno scontro aperto sarebbe stato controproducente e, anche se fossero riusciti nel loro intento, era alquanto improbabile che ne sarebbero usciti tutti vivi. Il piano più logico sarebbe stato dividersi in stazioni e colpirli di notte, quando per i loasiani sarebbe stato più difficile avvistarli e distinguerli.

Il perimetro era piuttosto ampio ma, dopo alcune ore di appostamenti, i cavalieri avevano realizzato che il giro di ronda era sempre lo stesso. Chi, tra loro, si sarebbe appostato tra la selva con arco e frecce avrebbe dovuto muoversi silenziosamente ed in velocità per creare il giusto spazio a coloro che si sarebbero intrufolati nel casolare senza che le altre guardie si accorgessero dell'assenza del compagno. avrebbero dovuto spostarsi in modo circolare, cosicché la rottura della catena di comunicazione tra le sentinelle notturne avvenisse lasciando maggior tempo possibile prima che l'allarme scattasse per l'intera fattoria.

A occhio e croce, aveva notato Kaspiro, dovevano lavorare almeno dieci uomini in quel piccolo angolo di paradiso circondato dai boschi sartesiani. Forse avrebbero ricevuto un aiuto da loro, benché non potessero contare di fare affidamento su questa possibilità.

Scese la sera e, all'interno del grande edificio che, a giudicare dalle dimensioni, ospitava più di una famiglia, si accesero le luci dei lumini ed il camino iniziò ad emanare un forte profumo di cibo.

Kaspiro inspirò profondamente. Lui e Alyconte erano stati incaricati di occuparsi delle ronde esterne: uccisa la prima guardia, si sarebbero divisi, così da completare il cerchio senza che nessuna delle guardie si accorgesse del fatto che il compagno era scomparso o del fatto che quello da cui attendeva informazioni non si era ancora fatto vivo.

La prima guardia sarebbe morta subito dopo aver date le sue ultime informazioni, quando sarebbe tornata a percorrere il sentiero in mezzo al frutteto. Da lì, infatti, per i cavalieri scelti forterresi, sarebbe stato più facile entrare, dal momento che, in mezzo ai grandi alberi, a quell'ora della notte, sarebbe stato difficile distinguere delle ombre ed essere sicuri che si trattasse di un uomo.

La freccia fu scoccata ed andò a segno, senza permettere alla sentinella di lasciarsi sfuggire un solo lamento.

Senza attendere oltre, dopo un cenno, Alyconte si diresse ad est, Kaspiro ad ovest, mentre quattro dei cinque cavalieri rimasti si intrufolavano furtivi all'interno delle terre che i loasiani avevano invaso.

Il settimo cavaliere era nascosto a nord, pronto ad intervenire qualora si fosse accorto che Kaspiro o Alyconte ci avessero messo troppo e qualcosa fosse andato storto.

La ronda notturna era composta da quindici uomini, che si sarebbero alternati ad intervalli di tre ore. Un lasso di tempo più che ragionevole. Ma voleva dire che, all'interno del casolare, avrebbero trovato una trentina scarsa di uomini. Considerando che, alcuni stavano probabilmente dormendo prima di sostituire i propri commilitoni di guardia, avrebbero dovuto muoversi con la maggiore discrezione possibile, cosicché quelli svegli non lanciassero l'allarme e svegliassero l'intero abitacolo mettendo a repentaglio la missione e la loro stessa vita.

Gli arcieri incaricati di uccidere l'intera componente della ronda, poi, avrebbero raggiunto i compagni all'interno della cascina una volta finito. Se tutto fosse andato secondo i piani, quella notte, la fattoria sarebbe tornata a far parte di Sartesia.

Ernik corse a perdifiato, spostandosi sulle ombre degli alberi nel tentativo di non dare nell'occhio. Il cuore gli era balzato in gola e l'adrenalina gli scorreva nelle vene dandogli una scarica elettrica in grado di non fargli sentire la fatica che un intero giorno a cavallo aveva comportato. Amava quella sensazione. Quel brivido che gli scorreva sulla pelle mentre agiva sommessamente. Gli era sempre piaciuto, fin da quando, insieme a Dazira, combinava le ragazzate all'interno delle mura del castello a Forterra.

L'abitazione distava solo poche decine di metri quando si accorse di un uomo che vestito con logori abiti marroni, si accingeva a recuperare la legna da ardere.

Fu un secondo. L'uomo si voltò proprio nella sua direzione e, con un lampo fulmineo negli occhi, non nascose un sorriso speranzoso. Aveva capito. Forse, ora, avrebbe avvisato anche gli altri contadini del casolare.

I quattro rimasero nascosti tra gli alberi alcuni minuti, prima che una donna uscisse con in braccio un'immensa brocca che sarebbe andata a riempiere al pozzo. Era piuttosto giovane, non doveva avere più di venticinque anni, ma il suo volto era coperto di graffi ed ematomi che Ernik riconobbe solo quando, da dietro al grosso melo ove era nascosto, la vide da vicino.

Ella gli passò accanto camminando lentamente, ma senza fermarsi. «Al piano di sopra stanno dormendo dieci uomini. Se passate dalle scale esterne a lato della stalla non dovreste incontrare ostacoli» mormorò senza voltarsi a guardarlo per non destare sospetti nel caso in cui qualcuno, all'interno dell'abitacolo, si fosse affacciato. «Grazie» aggiunse poi con un timido sorriso. «Che il Cielo vi benedica». Poi proseguì con in braccio la sua brocca, lungo il sentiero del frutteto.

Una ventata d'aria fredda fece oscillare le fronde degli alberi. Ernik inspirò prima di agire. Dovevano recarsi al piano di sopra. Esclusi i dieci che stavano dormendo e i quindici che i loro arcieri avrebbero eliminati non sarebbero rimasti che una ventina scarsa di uomini che loro avrebbero potuto facilmente affrontare, una volta raggiunti da Kaspiro e gli altri.

Facendo cenno di seguirlo, Ernik si mosse lateralmente, raggiungendo di soppiatto la piccola scuderia a lato della grande abitazione dall'aspetto rustico e suggestivo.

Il ragazzo sospirò pensando a cosa quei lavoratori indifesi, armati solo di badile e forcone, dovevano aver passato se le loro donne erano ridotte in quello stato. Scacciò velocemente quella riflessione e, senza indugiare, salì le scale in pietra senza fare rumore, seguito a ruota dai suoi commilitoni.

Uccidere a sangue freddo gli uomini nei loro letti era un gesto per nulla eroico e, molto probabilmente, contro ogni etica militare. Ma non avevano alternative. Deglutirono e, ignorando le obiezioni della coscienza, affondarono le loro lame prima che questi potessero dare l'allarme.

Appostati al piano di sopra, cercando di celare al buio le lenzuola insanguinate per evitare che chiunque fosse salito si sarebbe insospettito prima del tempo, attesero che qualcun altro si facesse vivo. Meno uomini avrebbero affrontato corpo a corpo, più possibilità di riuscita avrebbe avuto la missione.

Forse, se tutto fosse proseguito nel migliore dei modi, avrebbero anche potuto evitare lo scontro diretto.

Ma ciò non accadde.

Il secondo uomo loasiano che salì le scale si guardò intorno, circospetto. Poi vide il riflesso di una lama alla luce della luna che penetrava dalla finestra. Stava per urlare, quando la freccia di Barvis partì, con l'intento di farlo tacere, ma il corpo finì ugualmente in fondo alle scale, destando l'attenzione di tutti gli uomini nella casa.

Nel giro di pochi minuti, il piano superiore fu raggiunto da sedici soldati e i quattro si ritrovarono a sguainare le spade circondati da uomini.

Dove diavolo è Kas?, si domandò Ernik, ormai esausto. Se gli arcieri non li avessero raggiunti, forse non ce l'avrebbero fatta.

Ma un aiuto quasi insperato giunse in loro soccorso. I contadini, saliti sul tetto, avevano iniziato a scagliare delle pietre contro i soldati loasiani attraverso le finestre, distraendo e colpendo i nemici, giusto il tempo di cui necessitavano i restanti cavalieri per raggiungere i compagni d'armi.

Ben presto, non rimase che una moltitudine di corpi nemici di cui, l'indomani, i lavoratori si sarebbero sbarazzati.

●●●

Il buio della sera era calato nella foresta e, intorno ad un piccolo fuoco, i cavalieri stavano arrostendo una delle galline che i contadini sartesiani avevano loro regalato, insieme ad una scorta di viveri su di un mulo che trainava un carretto per l'esercito e ad una fiasca di vino per il viaggio, in segno di gratitudine.

Ernik si accasciò sopra ad un tronco, con un sospiro soddisfatto. «Dopo questa spedizione voglio una promozione!»

Alyconte saggiò un pezzo di pelle, controllando la cottura. «A me basterebbe tornare a casa»ammise.

«Cos'hai da fare, a casa, Alyconte?» domandò Barvis, passando la fiasca di vino a Kaspiro che, già alticcio da almeno mezzora, la prese con slancio, facendo ridacchiare il compagno d'armi.

«Voglio una moglie... magari dei figli, quando sarà finita la guerra!»rispose il cavaliere gesticolando con le mani. «Sì, mi comprerò una grande tenuta e ci farò allevare i cavalli!» concluse dopo un secondo di riflessivo silenzio.

Lejok si sedette ridacchiando. «Prima devi trovare una donna che ti sopporti, amico!»

«Tua sorella non sembrava così insoddisfatta...» replicò Alyconte con un'occhiata di scherno che fece esplodere una risata all'interno del gruppo.

«Prima che tu possa arrivare a mia sorella, gli asini combatteranno in armatura!»

«Beh, a guardare te, allora non sembra così impossibile!» ribatté il cavaliere, indicandolo davanti alle sghignazzate dei presenti.

Barvis si passò una mano tra i capelli, ravvivando un poco le braci. «Visto che Amila è già impegnata – anche se ancora non ci è chiaro con chi – e la sorella di Lejok l'abbiamo ormai provata tutti» disse con una smorfia di provocazione, guardando Ernik e Kaspiro con la coda dell'occhio «dovremo buttare lo sguardo altrove!» esclamò in tono ilare, con finta indifferenza.

«Anche Alyconte ha una sorella!»suggerì Lejok, ignorando apertamente le istigazioni riguardo alla sua, di sorella. «Il problema è che non le si avvicinerebbe neanche un vagabondo da quanto è brutta!»

Un'altra risata abbatté completamente le strane tensioni che, fino ad allora, si erano create all'interno del gruppo, a causa dell'accaduto tra Ernik e Kaspiro. Forse, era esattamente ciò di cui avevano bisogno in quel momento, meditò Ernik. Per quanto potesse apparire stupido e immaturo, le beffe tra loro avrebbero forse riequilibrato la squadra.

Barvis scosse il capo. «Veramente mi riferivo a qualcuno di più vicino a noi...» suggerì con un sorriso che non preannunciava niente di buono.

Lejok fece una smorfia, incredulo. «Parli della ragazza-demone? Sicuro di non aver preso una botta in testa, Barvis?»

«Non potete negare che sia affascinante!»

«Ho detto che voglio una moglie, non un cane da guardia!» replicò Alyconte canzonatorio.

Barvis scoppiò a ridere, ma, qualcosa nella sua espressione non nascondeva che, in fondo, non stava scherzando del tutto. «Se escludiamo per un momento la faccenda della bestia che può diventare... beh, ragazzi, ma l'avete guardata bene?»

Ernik, a quelle parole, sentì uno strano calore in fondo allo stomaco. Una sorta di nervosismo che faceva capolino eliminando completamente la sua voglia di continuare ad ascoltare quella conversazione. Poi si accorse di uno sguardo fulmineo da parte di Barvis nella sua direzione, e capì: lo stava facendo di proposito, quel bastardo. Lo stava istigando.

«È vero! convenne Kaspiro con un'espressione da ubriaco. «Una volta, credetemi, non ci avreste scommesso nemmeno un soldo! Era una tale rompiscatole...»

Ernik non credeva alle sue orecchie. Per Kaspiro, Dazira era stata sempre e solo una specie di parassita. Una piattola, come lui stessa l'aveva definita un paio d'anni prima. In quel momento, però, gli tornarono alla mente le sue parole: Kas gli aveva suggerito che lui stesso, un giorno, forse, avrebbe potuto provare ad entrare nelle sue grazie. E, per quanto il ragazzo non vantasse alcun diritto sull'amica, il pensiero lo infastidì.

«Forse è il caso che questa tu la dia a me!» disse Ernik, cercando di levargli da le mani la fiaschetta, ma senza riuscire nel suo intento, perché Kaspiro la spostò nell'altra mano, allontanando completamente quel che restava del vino dal ragazzo.

Lejok sgranò gli occhi, sistemandosi meglio sopra al tronco d'albero caduto. «Non credo a ciò che sto per dire, ma sono d'accordo con Alyconte! Vorrei dare ordini in casa mia, non rischiare la vita ogni volta che non sono d'accordo con la mia donna!» esclamò ridacchiando.

Barvis, allora, fissò Ernik dritto negli occhi, con un sorriso sornione. «A me non dispiacciono le pollastre con carattere! Poi, mica sei costretto a sposartela! Io un pensierino me lo faccio su quel bel corpo minuto... magari ci provo quando me ne torno all'accampamento!»

Era il colpo di grazia. Non poteva continuare ad ascoltare. Senza aggiungere altro, Ernik si alzò e, afferrato un pezzo di pollo, decise che l'avrebbe consumato lontano dalle frecciatine di Barvis.

«Ma che diavolo gli è preso?» domandò Alyconte corrucciando le sopracciglia mentre spostava lo sguardo verso i suoi compagni.

Un altro cavaliere sospirò, fingendo di non essersi accorto della strana aggressione di Barvis. «Forse anche lui ha bisogno di una pausa... tutti, in fondo, avremo necessità di tornare a casa!» spiegò nel tentativo di giustificare Ernik per la sua reazione gelosa.

«Sapete che vi dico? Io neanche ce l'ho una casa!» sbottò, a quel punto, Kaspiro. «Avevo solo due cose e ho scoperto di averle perse giusto un paio di giorni fa! Assurda, la vita!» aggiunse scoppiando in una risata isterica e ubriaca.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro