17 LA PARTENZA

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Il generale aveva preso la sua decisione. D'altronde, non avrebbe potuto attendere oltre e l'esito della missione gli aveva dato le conferme che attendeva con ansia.

«Ho stabilito chi sarà a prendere il posto di Rotoro» aveva iniziato, senza troppe cerimonie, una volta che tutti i cavalieri del battaglione furono giunti alla sua presenza.

Dopo la sentenza, non si era più espresso riguardo al precedente comandante, forse a causa del fatto che si trattasse di un diretto discendente di un ufficiale piuttosto influente all'interno dell'esercito. Probabilmente, infatti, il padre di Rotoro era un suo amico e, dal momento che commentare quanto successo non avrebbe fatto altro che accrescere la mala fama della famiglia, il generale aveva optato per un diplomatico silenzio.

L'aria era satura di aspettativa mentre gli uomini si guardavano a vicenda, consci che, forse, sarebbe stato proprio uno di loro a prendere il comando.

«Gli ultimi avvenimenti sono stati significativi e mi è impossibile ignorarli» aveva continuato il generale, davanti agli occhi attenti e impazienti di tutti i presenti.

Tutti aspettavano un nome, con una tale curiosità da renderli quasi nervosi. Perciò, quando il generale fece il nome di Ernik, ai presenti sfuggirono esclamazioni soprese, soprattutto considerando il suo punto di partenza: il ragazzo, infatti, non era che uno stalliere fino a pochissimi anni prima.

Ernik, ancora incredulo, si guardò intorno aspettandosi di osservare invidia e rabbia nei suoi confronti, ma le pacche sulle sue spalle giunsero ancora prima che potesse realmente rendersi conto di ciò che era successo.

Lo stalliere era diventato il comandante del sedicesimo battaglione dell'esercito forterrese.

●●●

Kaspiro era seduto con le ginocchia piegate ed il sedere appoggiato alla fresca erba primaverile, appena umida a causa della rugiada. Era un mattino insolitamente caldo e l'aria leggera preannunciava un'intera giornata di sole.

Stava per alzarsi quando notò una figura femminile venirgli incontro e, senza pensarci ulteriormente, si risedette. Aveva stranamente voglia di parlare con lei, nonostante non fossero mai andati troppo d'accordo. In fondo, però, era certo che in quella data situazione era forse l'unica persona a conoscerlo con qualcosa di interessante da raccontare... certo, ciò che era successo a lei era la cosa più singolare che Kaspiro avesse mai sentito!

Dazira gli sorrise e prese posto accanto a lui, godendo del sole tiepido sul volto e della lieve discesa che apriva davanti a loro una fiorita radura.

«Ehi» la salutò lui, rimanendo ad osservarla. Era diventata bella, più di quanto già non fosse, ma aveva uno strano modo di guardare. Un guizzo, nelle sue espressioni, tradiva una maturità che Kaspiro non le aveva mai visto... un'occhiata che sapeva di donna.

Lei si voltò a guardarlo con i suoi grandi occhi azzurri. «Ehi» rispose mostrando i suoi denti bianchi in un sorriso.

Kaspiro scosse la testa, tornando a guardare avanti a sé, con un'espressione indecifrabile. «Chi l'avrebbe mai detto? domandò lasciandosi sfuggire un accenno di risata mentre si passava una mano tra i capelli color pel di carota.

«Che avresti tirato un pugno in faccia ad Ernik?» Dazira scoppiò in una risata ancor prima di riuscire a terminare la domanda.

Il ragazzo sorrise mordendosi un labbro. «Che ci saremo ritrovati al fronte tutti e tre. Che saremo diventati cavalieri... con Ernik al comando!» considerò guardando l'erba che circondava i suoi stivali marroni. «Se me l'avessero detto due anni e mezzo fa non ci avrei creduto!»

Dazira annuì dolcemente e, per un attimo, tra i due calò il silenzio. Poi la ragazza ricominciò a ridacchiare. «Sono felice che tu l'abbia fatto... se lo meritava!» esclamò divertita mentre il suo volto mutava l'espressione in qualcosa che Kaspiro le aveva visto tante volte dipinto addosso, quando lavoravano a corte. In fondo, non era poi così cambiata!

A quel punto, cedette e sospirò rallegrato. «Hai visto che gancio?» le fece notare.

«Già... che miglioramenti!» commentò lei in risposta, mentre entrambi iniziavano a sghignazzare. «Se mi avessero detto che un giorno ti avrei visto mandare al tappeto Ernik per una donna sarei stata io a non crederci!» continuò tirandogli un pizzicotto che li riportò, per un attimo, indietro nel tempo. Poi l'aria si fece satura di una certa nostalgia e, in un momento, Dazira si fece appena meno ilare. «Sono felice di aver assistito alla scena» ammise con un certo compiacimento.

«Una piccola soddisfazione personale anche per te».

Ma Dazira non rispose. Cosa sta dicendo Kas? In cuor suo, la ragazza temeva già di saperlo, ma fingere il contrario anche con sé stessa, forse, l'avrebbe reso meno reale e meno imbarazzante.

Kaspiro, però, sembrava deciso a far emergere ogni verità: «Sai, ho sempre saputo che tu provavi di più per lui...»

Ancora una volta, silenzio. Dazira non voleva parlare della sua cotta assurda per quell'idiota di Ernik, benché, in parte, fosse grata della comprensione di Kaspiro. Quella piccola confessione, infatti, le scaldò il cuore per qualche secondo.

Dazira sospirò, scacciando ogni sensazione contrastante. «Sappiamo entrambi che lo perdonerai!» commentò sorridendo nella direzione del ragazzo.

Kaspiro sembrò pensarci un momento, poi si passò la lingua sulle labbra, indeciso su cosa dire. «Forse l'ho già fatto» ammise voltandosi a guardarla, in modo tale che lei leggesse la sua sincerità. «Tu lo perdonerai?» domandò a sua volta, incuriosito.

«Un giorno, forse».

E Kaspiro seppe che non mentiva. Dazira era una ragazza orgogliosa, lo era sempre stata. Ma Ernik aveva occupato un posto nel suo cuore che solo uno stolto avrebbe potuto non notarlo. Perciò, pensò Kaspiro, lei lo avrebbe perdonato.

Il perdono, però, meditò il ragazzo, era una grazia che tutti, prima o poi avrebbero dovuto concedere. Più per sentirsi in pace con sé stessi che per desiderio di riconciliazione verso chi si perdonava.

Chi non perdona si porta un peso. Fa del male a sé stesso e rimane aggrappato emotivamente a quella persona, in un modo o nell'altro. Kaspiro, però, non era certo di volersi allontanare emotivamente da tutte le persone che lui avrebbe dovuto perdonare... non era certo di riuscirci. Qualcuno, forse, avrebbe fatto parte della sua vita ancora per molto tempo.

«Un giorno, forse, perdonerò anche lei» affermò il ragazzo con un sospiro intenso.

Dazira avrebbe voluto fargli della domande su Amila, ma non parlò. Con tutta probabilità, era ancora troppo presto per affrontare un argomento così delicato e già il fatto che Kaspiro le stesse parlando con una tale sincerità era un avvenimento più unico che raro.

All'improvviso, il ragazzo cambiò espressione, scrollando le spalle quasi a voler allontanare le profonde riflessioni. «Visto che siamo in vena di confessioni, posso farti una domanda?» chiese portando lo sguardo verso il cielo e stendendosi sull'erba fresca mentre Dazira attendeva incuriosita che continuasse.

«Cosa provi?» domandò lui guardandola negli occhi dalla sua posizione distesa mentre scacciava alcuni insetti che gli stavano volando attorno. «Intendo... cosa provi quando sei... lui... il demone...»

A dire il vero, era la prima volta che le facevano questa esatta domanda e Dazira non era preparata a rispondere. «Mmm» mormorò pensandoci un poco. «È una frenesia incontrollata. Ad oggi riesco a gestire abbastanza bene i suoi poteri, anche se...» Come lo sposso spiegare? La ragazza non trovava le parole per descrivere quell'angosciante sensazione che le partiva dal ventre e le si irradiava in tutto il corpo. «Beh, è come avere fame di morte» disse, anche se, probabilmente, il ragazzo non avrebbe capito. soltanto... beh, non avrebbe potuto trovare altre parole per descriverlo. «Mi rendo conto di quello che faccio, ma allo stesso tempo, non me ne rendo conto fino a che non l'ho fatto!» continuò cercando di essere più chiara possibile, benché si rendesse conto che sarebbe stato difficile per chiunque comprenderla.

Kaspiro si sollevò di nuovo a sedere, visibilmente interessato. «E quando te ne sei resa conto?» insistette aggrottando la fronte. «Cosa provi?»

«Colpa» dichiarò lei senza nemmeno doverci pensare. Era talmente intenso quel sentimento nella sua vita, che dirlo sembrava quasi una liberazione. «Un grande, immenso senso di colpa che mi attanaglia le viscere!» esclamò gettando fuori ogni parola con una tale intensità da sorprendere il suo interlocutore.

Per qualche secondo, Kaspiro non rispose, riflettendo su quanto ella gli aveva appena rivelato. «Come fai a sopportarlo?» chiese poi, mentre Dazira comprendeva il suo sforzo nel mettersi nei suoi panni.

E lo apprezzò. Salvo la principessa Pheanielle, nessuno aveva mai dimostrato una tale empatia da portarla ad aprirsi ancora e, il fatto che quella persona fosse Kas la sorprendeva ancora di più.

«A dire il vero è stato più difficile all'inizio...» affermò la ragazza, pensandoci su. «Mi hanno aiutato alcune persone e anche io ho capito una cosa: la soluzione è dividere gli aspetti della mia vita in compartimenti stagni» spiegò gesticolando con le mani mentre ammetteva quanto le era successo negli ultimi due anni. «Amicizie, rapporti sul campo di battaglia, dolori passati, il Nero... Se prendo tutto insieme non riesco a discernere quanto di positivo potrà mai esserci nella mia vita e mi ritrovo con l'acqua alla gola, pronta ad affogare» continuò Dazira con semplicità, davanti allo sguardo allibito di Kaspiro. «Dividendo la mia vita, invece, nei momenti in cui sono "libera" dal demone, mi concentro su ciò che mi fa sentire viva. Su ciò che mi rende umana» spiegò lei portando lo sguardo verso il cielo che, in quel momento, pareva avere lo stesso colore dei suoi occhi. «Non penso quasi mai alle persone che ho ucciso, anche se continuano a tormentarmi nei miei incubi».

Il ragazzo ci rifletté per un po', con l'espressione seria e comprensiva. Due aggettivi che fino a qualche anno prima Dazira non gli avrebbe mai affibbiato. «Una parte di te rifiuta di pensarci, ma l'altra è ben consapevole di quanto sia sbagliato» constatò Kaspiro.

Sbagliato. Era qualcosa che le stava logorando corpo e anima. Non era un errore, ma una maledizione. La sua vita era una distrazione, una dimenticanza di ciò che, difatti, la opprimeva.

«Io lo so che non potrò andare avanti così in eterno. Che impazzirò prima. Che qualcuno riuscirà ad uccidermi... e, in parte, lo spero, persino!» esclamò la ragazza con affettazione mentre una punta di risentimento si faceva largo nella sua voce. Poi sospirò, accorgendosi del suo stesso veleno. «Ma, fino ad allora, voglio vivere il più intensamente possibile!» affermò con un tenue sorriso carico di tensione. «Forse è un discorso egoista il mio... ma, tanto, la mia anima è già corrotta dalla morte. Cosa mi resta se non prendere quanto più posso dalla vita?» La domanda rimase sospesa per alcuni minuti. Tra i due, infatti, calò di nuovo il silenzio.

«Sei cambiata» affermò lui infine, con un'espressione che Dazira non seppe decifrare.

Lei accennò un sorriso. «Non sai quanto» ammise riflettendo sugli avvenimenti che l'avevano segnata negli ultimi anni.

Kaspiro si alzò in piedi. «Inizio ad averne un'idea» rispose prono ad avviarsi di nuovo verso l'accampamento. «Su una cosa, però, sei rimasta la stessa» dichiarò suscitando la curiosità della ragazza. «Hai sempre avuto questo entusiasmo verso la vita. Sono felice che quello che ti porti dentro non ti abbia spenta!» esclamò senza attendere che lei replicasse. Poi si incamminò nella direzione della sua tenda.

«Kaspiro!» lo chiamò lei, facendolo voltare. «Grazie» gli sussurrò mentre lasciava che lui comprendesse tutta la sua riconoscenza per la sua umanità.

Lui le sorrise debolmente, segno che aveva capito. Poi la salutò con la mano.

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