9 ARRIVO ALL'ACCAMPAMENTO

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«Per qualunque esigenza, non esitate a chiedere a me!» aveva esclamato il sottufficiale che li aveva accolti prima di lasciare Dazira ed il suo "scudiero" Therar soli nella tenda.

Aveva detto di chiamarsi Tordolk – o qualcosa del genere – ed appariva un uomo tanto umile quanto diretto. Era stato lui ad accoglierli quella sera e a sistemarli nella tenda chiedendo scusa per non aver disposto uno spazio privato per la signorina. D'altronde, aveva meditato Dazira, erano in un accampamento militare, non certo ospiti di una reggia! L'uomo aveva comunque promesso di provvedere quanto prima ad una più corretta sistemazione, come gli era stato ordinato dal nuovo comandante che la ragazza avrebbe conosciuto l'indomani.

Dazira gettò il sacco con i propri effetti personali a terra e si lasciò cadere sulla branda con un tonfo non appena Tordolk fu fuori dalla tenda. «Sono esausta» mormorò con un sospiro.

Era ancora sporca di sangue a causa della sua ultima vittima presa a caso tra i prigionieri dell'accampamento, ma la stanchezza era troppa anche solo per spogliarsi.

Therar si sedette sulla brandina di fronte ed iniziò a sfilarsi gli stivali, riponendoli accanto all'entrata dell'improvvisato alloggio. La tenda occupava un'area non troppo limitata e due persone potevano viverci all'interno senza troppi problemi. Non era certo un alloggio di lusso, ma, pareva svolgere alla perfezione la sua funzione.

Quella sera, al loro arrivo, dopo un primo momento, erano stati accolti con grande entusiasmo e molti soldati del campo erano venuti a porgere i loro omaggi alla famosa eroina che era in grado di trasformarsi in bestia.

A quanto pareva, la sua fama era giunta fino a lì e, in parte, Dazira si sentiva lusingata.

«I soldati sembravano contenti di vedermi...» commentò lei con un mormorio, osservando Therar con la coda dell'occhio.

«Sei, per loro, una speranza» rispose il ragazzo alzando appena lo sguardo. «Da quanto ho capito, ne hanno bisogno».

Una speranza, si ripeté Dazira tra sé e sé. Le piaceva. Era desiderata. Una paladina. Un esempio. Una promessa per tanti uomini che avrebbero potuto non farcela. Ed ora lei era certa di potercela fare!

Therar si stese a pancia in su, portandosi le mani sotto la testa. «Ora dormi. Domani sarà una giornata lunga!» le ordinò dopo aver spento i lumini, facendo scendere il buio anche all'interno dell'ambiente.

●●●

La luce era debole e il cielo minacciava di rannuvolarsi, quella mattina.

Tordolk si era annunciato ed era entrato nella tenda di buon'ora, non appena il sole aveva fatto capolino oltre l'orizzonte.

«Vogliate seguirmi» aveva detto a Dazira non appena la ragazza fu in piedi. Con tutta probabilità, voleva portarla dal comandante.

Lei si guardò i vestiti che indossava e stabilì che non avrebbe potuto presentarsi in quelle condizioni, con il sangue rappreso sulla stoffa degli abiti e il fango sui calzoni.

Così fece attendere qualche minuto Tordolk al di fuori e diede una sbirciata in direzione di Therar, che sembrava dormire profondamente, anche se Dazira era quasi sicura che non fosse così.

Quindi, si girò dando le spalle al ragazzo assopito sulla brandina ed iniziò a spogliarsi in fretta per poi rivestirsi con una casacca pulita color terra e un paio di pantaloni appena più scuri che incastrò dentro ai suoi stivali neri prima di mettere in vita la cinta con la fodera di un pugnale. Poi uscì dall'ambiente rivolgendo un ultimo sguardo di sottecchi a Therar che non sembrava essersi mosso dalla sua posizione.

«Possiamo andare» dichiarò Dazira rivolta a Tordolk mentre, con un cordoncino, si legava i capelli dietro la nuca.

In risposta, l'uomo annuì ed iniziò a camminare lungo l'accampamento seguito da lei e dagli sguardi di molti soldati incuriositi.

Il comandante li stava aspettando davanti ad un tendone più grande rispetto agli altri e, al loro arrivo, Tordolk si congedò con un cenno del capo lasciandoli soli.

L'ufficiale era, a guardarlo, un ragazzo che doveva avere appena qualche anno più di lei, dai capelli così biondi da apparire quasi bianchi, i lineamenti severi e una corporatura alta e proporzionata.

Dazira si sentì improvvisamente intimorita ed abbassò lo sguardo. Stava per presentarsi, quando lui la precedette: «È un onore grandissimo per me conoscervi... Eroica Creatura!» esordì il ragazzo lasciandola letteralmente sbigottita. Così, pensò Dazira con una punta d'ironia ed un'espressione divertita, ancora non mi avevano definita.

A quanto pareva, il comandante aveva tutto l'interesse ad ingraziarsela.

«Dazira» lo corresse lei porgendogli la mano così che potesse stringerla.

Il ragazzo la fissò dritto negli occhi con i suoi di un colore glaciale e un sorriso esagerato dipinto sul volto. «Ma certo!» esclamò con enfasi. «Comunque... io sono il comandante Rotoro! Sono a vostra disposizione per qualunque cosa la creatura del re desideri...» spiegò con un gesto della mano, iniziando a camminare ed invitando lei a seguirlo.

Creatura del re. Avrebbe forse dovuto sentirsi offesa? Beh, era quello che era, in fin dei conti... solo, un gentiluomo, forse, non sarebbe stato così esplicito!

«Graz...»

«Sono lusingato di poter accogliere tra le mie linee il demone di cui tutti parlano!» la interruppe Rotoro allargando, per quanto possibile, il sorriso. «Spero non vi offendiate, signorina!»

«N-no» balbettò la ragazza cercando di trattenere la voglia di riempirlo di schiaffi e di ridergli in faccia al tempo stesso.

«Non avete per niente l'aspetto che tutti descrivono! Anzi, siete molto avvenente!» Perché cosa dicono di me?, si ritrovò a pensare Dazira. «A tal proposito, se qualcuno vi importuna, non tardate a farmelo sapere! Ci penserò personalmente!» la ammonì il comandante ammiccante, facendo percorrere la schiena di Dazira da un brivido freddo. Era incredibile quanto fosse viscido quell'uomo!

Lui voleva difenderla? Da chi? Forse, pensò la ragazza, sarebbe stato meglio difendere i soldati da lei, non il contrario!

«Grazie» affermò divertita mentre si guardava intorno ed osservava le tende private dei cavalieri e quelle più grandi dei soldati passeggiando accanto a lui.

Rotoro scosse il capo ancora più raggiante. «Non dovete nemmeno dirlo, signorina Dazira!»

La ragazza, a quelle parole, sorrise divertita, ma Rotoro dovette male interpretare la sua espressione, perché si aggiustò la camicia con aria soddisfatta.

«E... a cosa devo tante lusinghe?» domandò, allora, Dazira, cercando di non mostrare i segni del sarcasmo.

«Non penserete certo che io sia uno degli altri zoticoni che non sanno accogliere come si deve chi è nelle grazie del nostro sovrano... soprattutto se si tratta di una rara bellezza come voi!»

A quel punto, Dazira dovette fare violenza su sé stessa per non scoppiare in una fragorosa risata. «Zoticoni, comandante?»

«Non ne parliamo! L'accampamento ne è pieno!» replicò l'uomo con un gesto infastidito della mano. «Io sono al comando di questo modesto battaglione e, benché sia un compito arduo – dovrebbe conoscere certi individui... –, da quando sono arrivato le cose sono migliorate parecchio!» gongolò drizzando per bene la schiena in modo da mostrarsi ancora più alto. Poi indicò una tenda a qualche decina di metri da loro. «La vede l'infermeria laggiù? Prima che arrivassi, non c'era! I soldati feriti erano tutti pigiati in quella del battaglione a ovest!» dichiarò indiganto.

«Comandante Rotoro!» chiamò una voce femminile all'udire della quale il ragazzo commentò a denti stretti, rivolto a Dazira: «Questa è una degli zoticoni di cui parlavo, appunto, pocanzi!» mormorò senza farsi sentire da lei. O quasi.

Davanti a loro comparve una ragazza incredibilmente alta e con dei capelli lisci e castani che scendevano fino all'altezza del fondoschiena.

«Siete atteso dal vice-generale al diciassettesimo padiglione!» notificò la giovane guardando con serietà il comandante.

Ora che la guardava da vicino, Dazira si accorse di quanto fosse graziosa quella ragazza. Una bellezza, sicuramente, fuori dal comune! Cosa ci faceva in un posto come quello?

Rotoro scosse il capo e si voltò verso Dazira. «Vedete, in questo accampamento c'è sempre molto da fare!» le spiegò. «Vi devo abbandonare per svolgere i miei doveri, ma in mia assenza potete fidarvi di Tordolk!»

Congedatosi, il comandante si allontanò a passo spedito e, per un istante, la ragazza si sentì liberata dal parassita.

La giovane che era giunta a portare il messaggio, però, sembrava decisa a non allontanarsi e, atteso che Rotoro fosse abbastanza lontano da non sentirla, la prese gentilmente per un braccio e la invitò a camminare nella direzione opposta a quella del comandante.

«Tu devi essere lei!» esclamò con un certo entusiasmo dopo aver mollato la presa. «Sappi che già mi devi una birra per averti salvata dalle grinfie del comandante! Quando si accorgerà che nessuno ha richiesto la sua presenza, Rotoro non sarà contento...»

Una birra? Era così che si usava fare? Dazira, a quel punto, scoppiò in una risata liberatoria. «Chi ho il piacere di ringraziare?» domandò.

«Mi chiamo Amila» rispose la ragazza porgendole la mano e, senza attendere risposta, continuò: «E riguardo al nostro "amato comandante"... beh, dimezza tutto ciò che racconta se vuoi avvicinarti alla verità!» la ammonì lisciandosi la camicia blu notte – un po' troppo grande – infilata nei calzoni dello stesso colore.

Ne avevo avuto il sospetto, pensò Dazira canzonatoria. «Ha detto che prima del suo arrivo quell'infermeria non esisteva...»

Amila si lasciò andare ad una risata amara. «Non esisteva perché non c'erano così tanti feriti!» commentò acidamente guardando nella sua direzione in un modo che permise a Dazira di accorgersi che persino i suoi occhi erano fuori dal comune: di un verde così brillante da lasciare incantato chiunque.

Addirittura? «È così tragica la situazione qui?»

«Da quando è arrivato Rotoro, anche di più» rispose Amila annuendo con la testa e facendo ondeggiare la chioma sciolta di capelli. «Ti dirò la verità: non ce la passiamo bene!» ammise in un momento di serietà, per poi tornare immediatamente a sorridere. «Però non sono tutti come lui, per fortuna!» esclamò con una ritrovata allegria. «Esistono anche persone sane di mente... o, quasi

A quelle parole, scoppiarono a ridere entrambe.

«Beh, consolante» commentò Dazira in tono ilare.

Quella ragazza aveva una grinta incredibile. Un po', si ritrovò a pensare, somigliava a lei qualche anno prima, quando si aggirava per il castello insieme al suo amico Ernik a caccia di guai. Poi, il demone aveva cambiato la sua vita e quella gioiosità era andata, in parte, perduta.

Aveva iniziato a riscoprirla insieme al suo amico Rebjo, ma Therar l'aveva strappata a quel posto che stava iniziando ad essere casa sua.

«A meno che tu non preferisca la sensibilità di Rotoro...» la provocò Amila con una risata derisoria.

Dazira rise di rimando e, all'improvviso, si sentì più leggera. «Già mi manca» commentò ironica.

«Eh, fa quell'effetto a tutti! E pensare che non l'hai conosciuto all'interno dell'accademia!»

«Deve essere stato un vero spasso!» convenne la ragazza aggiustandosi i capelli che erano sfuggiti alla crocchia improvvisata alla base del capo.

Amila la osservò divertita. «Non sai quanto».

Non pareva spaventata che qualcuno le potesse sentire e riferisse tutto al comandante. Forse, lo stesso Rotoro, non era ben visto dal suo battaglione.

«Mi ha definita "Eroica Creatura". È così con tutte le donne?» domandò Dazira ricordando l'incipit che tanto l'aveva fatta sorridere quella mattina.

La ragazza, davanti a lei, sgranò gli occhi. «Verso di me non ha mai dimostrato, in realtà, grande ammirazione, ma...» Fece una pausa e la fronte le si aggrottò in un'espressione buffa. «Ti ha chiamata davvero così?» chiese con un accenno di risata.

«Già» ammise Dazira con un gesto di derisione. Era arrivata da qualche ora e stava già prendendo in giro il suo comandante... come sarebbe andata a finire?

«Non. Ci. Credo» scandì Amila prima di esplodere in una sghignazzata così clamorosa da coinvolgere anche Dazira.

Più i minuti passavano, più la ragazza si chiedeva cosa ci facesse una come lei in mezzo ad un accampamento militare. Aveva tutto fuorché l'aria di una che scendeva sul campo di battaglia per andare ad ammazzare la gente.

Sulla sua camicia, portava altresì una spilla, segno che non era un soldato semplice. Fatto che incuriosì ancor di più Dazira.

«Avrà paura di te... Sei davvero come tutti dicono?» chiese Amila spostando i capelli dietro la schiena.

«Cosa dicono tutti?» domandò di rimando la ragazza, non senza una certa curiosità.

Amila alzò le sopracciglia in segno di derisione, forse verso qualcosa che qualcun altro le aveva detto. «Che ti trasformi in una bestia mostruosa e ingurgiti gli uomini interi senza nemmeno togliere loro le scarpe!» esclamò.

«Solo se non ho pranzato».

Per qualche istante, calò il silenzio, poi Amila ricominciò a ridere sguaiatamente. «Mi piaci! Sei irriverente!» dichiarò senza smettere di ghignare. «Ti ho vista già dall'espressione mentre l'idiota ti parlava che saresti stata dei nostri!» stabilì recuperando un po' di contegno, ma le guance le si erano imporporate per le risa. «Non mi hai detto come ti chiami...» constatò rivolgendo di nuovo il capo nella sua direzione.

Le due non si erano nemmeno accorte di essersi fermate e di trovarsi esattamente nel mezzo del passaggio fra le tende.

«Dazira».

Amila sgranò gli occhi. «Dazira» ripeté come se il suo nome non le fosse nuovo. E, in quel momento, nello stesso istante in cui la ragazza davanti a Dazira parve ricordare ove aveva sentito il suo nome, lei si accorse di due occhi che la stavano fissando. Due occhi fin troppo familiari che le fecero balzare il cuore in gola.

Per un attimo il tempo si fermò in quello sguardo carico di tensione, rabbia, nostalgia. Carico di parole non dette e di qualcosa che era appartenuto a loro per anni e che si era dissolto come una nuvola in quella maledetta cella, quando lui le aveva detto «addio».

Ed ora erano lì, tutti e due. E quell'addio era tanto lontano quanto lo erano i ricordi che avevano condiviso!

Era così diverso, quel ragazzo... tanto che non sembrava avere nulla dell'Ernik che Dazira conosceva. Eppure era lui, solo più muscoloso, con la barba un po' più lunga e i capelli biondi un po' più corti, gli zigomi più scavati e gli occhi nocciola circondati da un alone più scuro. Ma era lui.

La stava guardando fisso, come se, per qualche secondo, avesse dimenticato il passato, con la stessa intensità con la quale si osserva qualcosa che non si conosce, seguita da una freddezza che mostrava tutti i segni del loro distacco.

Quello era Ernik, avrebbe potuto riconoscerlo tra milioni. Ma, al tempo stesso, Dazira non ne era sicura.

Ernik, per lei, se n'era andato un anno e mezzo prima. Quel ragazzo era nel suo corpo, aveva i suoi occhi e i suoi lineamenti marcati... ma non aveva la stessa luce, lo stesso modo di guardare.

Amila spostò lo sguardo da Dazira ad Ernik, poi posò gli occhi di nuovo su Dazira e, in quel momento, capì. Forse c'era del vero in quel che aveva detto Kaspiro e, per un istante si sentì boccheggiare.

Ma non ebbe il tempo di fare domande, perché il suono della tromba diede l'avviso dell'attacco imminente.

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