Capitolo 2 - Un nuovo inizio (Parte 2)

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Rimase qualche istante immobile a riprendere fiato. Il dolore alla schiena imperversava ancora, insieme agli altri colpi che aveva incassato.
Anche al piano inferiore aveva trovato molte più guardie di quanto si aspettasse, e tutt'altro che inesperte. Molti di loro dovevano vivere rinchiusi lì, perché durante i giorni di appostamento alcuni non li aveva mai visti entrare né lasciare quell'immensa villa, che pareva essere uscita direttamente da una rivista di architettura moderna.

Come previsto, la stanza in cui il capo viveva nascosto era quella all'ultimo piano, in cima alla scala che il bastardo aveva guardato con tanta apprensione prima di scegliere di mentire.
Non capiva cosa portasse quegli uomini ad avere una tale devozione verso un individuo che non avevano nemmeno mai visto in faccia. Molti sottoposti non erano neanche certi che lui esistesse davvero.
Si trattava di un'associazione criminale piuttosto giovane. Era solo da un annetto che aveva iniziato a fare notizia. In poco tempo il capo era riuscito a mettere in piedi un enorme impero grazie a contrabbando e atti illeciti. Quel tipo era tutt'altro che uno sprovveduto, ma ormai non aveva scampo.

Raccolse le energie e prese un profondo respiro, inondando i polmoni dell'inebriante profumo di sangue e polvere da sparo di cui l'atmosfera era satura.

Si incamminò a testa alta verso la scala. Il familiare sibilo della catena che le ruotava a fianco la accompagnava, mentre percorreva il pavimento in legno scuro costellato di pozze scarlatte.

Lo sguardo venne attratto da una delle poche mensole presenti sulla parete. Al centro di essa dava sfoggio un set di tre spade giapponesi con katana, wakizashi e tanto, dagli eleganti foderi di un intenso rosso lucido con intricati decori dorati.

Abbassò gli occhi, mentre un involontario sospiro abbandonava le sue labbra.

Erano trascorsi ormai oltre tre anni da quando aveva lasciato la CIA.
Se n'era andata di notte, senza salutare nessuno, senza lasciare messaggi.
Aveva preferito così, sapeva che non avrebbe mai sopportato un addio. Sapeva che non sarebbe mai riuscita ad andare se avesse guardato in faccia l'unica persona che, dalla morte dei genitori, avesse mai contato qualcosa per lei.
Ma non poteva più restare, aveva un obiettivo e John non stava facendo altro che allontanarla da esso. Si sentiva imprigionata lì dentro. Quel bastardo la stava tenendo al guinzaglio come un cane.

Per questo aveva deciso di tornare ad allenarsi a modo suo, era certa che solo così avrebbe potuto un giorno diventare abbastanza abile da riuscire a sopraffare Oz e il suo gruppo terroristico.
Solo così avrebbe finalmente ottenuto l'agognata vendetta, per placare i demoni nella sua testa e colmare il glaciale vuoto nel suo cuore.

Aveva gustato di nuovo il sangue e la libertà, ed era ricaduta nell'irresistibile dipendenza da adrenalina.
Le era bastato un attimo per tornare a essere il "killer dei killer".

Grazie al breve tempo trascorso all'Agenzia era diventata ancora più abile. Ironicamente, coloro che l'avevano aiutata a migliorare si erano poi ritrovati a inseguirla e a tentare di sabotare i suoi piani.
Invano.
Per quanto alla CIA fossero bravi, era sempre stata lei la migliore e continuava a essere un passo avanti a loro. Arrivavano sempre a strage compiuta, quando ormai era già lontana.
Per anni quegli sprovveduti non avevano fatto altro che rincorrere il "killer dei killer" a vuoto, e questa volta non avrebbe fatto eccezione.

Salì le scale e appena raggiunto il soppalco andò a passo deciso verso l'unica porta presente sulla candida parete.

Posò la mano destra sulla maniglia, mentre l'altra continuava a far ruotare la catena alle sue spalle.

Espirò lentamente, facendo uscire tutta l'aria che aveva nei polmoni. Si sforzò di scacciare i ricordi, per concentrarsi sul suo obiettivo.
Un brivido caldo scaturì dalla punta delle dita e si irradiò in tutto il corpo. Socchiuse gli occhi, inebriandosi dell'adrenalina che prendeva il sopravvento sul dolore e la stanchezza.
Dopo settimane di indagini, appostamenti e interrogatori, finalmente era solo a un passo dal bersaglio; non poteva permettersi di perdere la concentrazione.

Prese un ultimo profondo respiro e abbassò la maniglia, che non fece resistenza. Non era chiusa a chiave. Pessimo segnale.
Messa in allarme, varcò la soglia in fretta, facendo subito roteare la catena dinanzi a sé, e serrò l'uscio alle proprie spalle.

Gli occhi saettarono rapidi ad analizzare ogni centimetro della stanza: un vicolo cieco, pareva proprio che non ci fossero altre porte al suo interno, solo un'ampia vetrata che occupava l'intera parete di fronte, a sbalzo sulla scogliera a picco sull'oceano.
Si aspettava una schiera di uomini e cecchini, invece sembrava non esserci nessuno lì, anche se gli intricati lampadari che pendevano dal soffitto erano accesi.
Il salone rettangolare aveva tutto l'aspetto di un elegante monolocale, talmente ampio da apparire spoglio. Tutto era ordinato e immacolato. Non vi era altro che un letto matrimoniale, un bagno con pareti vetrate, qualche armadio e un divano; infine, proprio dinanzi al finestrone di fronte a lei, un'ampia scrivania in legno scuro, oltre la quale una poltrona in pelle nera le dava le spalle.

Fece qualche cauto passo in avanti.

«Finalmente.» Una voce profonda rimbombò nella stanza. «Ti stavo aspettando.» Non sembrava naturale, era come se qualcosa la distorcesse, rendendola neutra, quasi metallica.

La poltrona iniziò a ruotare fino a rivelare una candida figura.
Eve nemmeno attese di vedere di chi si trattasse, estrasse la pistola e fece fuoco. L'uomo però fu più veloce: appena la vide muovere la mano in direzione della coscia, si alzò di scatto e schivò il colpo rotolando a terra.
Lo seguì con lo sguardo e mirò nel punto in cui prevedeva si sarebbe fermato, ma un bagliore metallico la mise in allarme e fece appena in tempo a portare nuovamente la barriera davanti a sé, prima di venire crivellata di proiettili.

L'individuo impugnava due pistole e gliele stava svuotando addosso.
Non avrebbe potuto contrattaccare finché non avesse finito i colpi, che continuavano a infrangersi sulla catena generando un tripudio di scintille.

Assordata dagli spari incessanti, rimase in attesa, approfittando del momento di stallo per osservarlo. Quell'uomo indossava una tuta molto simile alla sua, solo che era di colore bianco, così come il casco che gli celava il volto e distorceva la voce. Dalla corporatura si poteva intuire quanto fosse allenato: muscoloso ma non troppo, il fisico perfetto per un guerriero, forte e agile allo stesso tempo.
Doveva essere anche piuttosto furbo, perché stava sfruttando la scarica di pallottole per avvicinarsi sempre di più a lei, un passo alla volta.

In situazioni normali, Eve avrebbe fatto un improvviso scatto laterale, abbassando la guardia un solo breve istante per sfruttare l'attimo di smarrimento dell'avversario e sparargli un singolo colpo ben calibrato. Da come era riuscito a schivare il suo primo proiettile, però, quel tipo doveva avere dei riflessi fulminei. Non era certa di poterlo sorprendere.
Stava per finire le proprie munizioni, non poteva permettersi di sprecarne nemmeno una, poi doveva stare attenta e dosare al meglio le poche energie che le erano rimaste.

Gli spari all'improvviso cessarono, così ne approfittò per scoccare un rapido colpo di pistola.
L'uomo riuscì a schivarlo scartando di lato e le lanciò contro una delle sue armi ormai scariche, intercettata da un colpo di catena; sfruttò poi quell'istante per avventarsi su di lei impugnando una spranga in acciaio, che fino a quel momento aveva tenuto fissata dietro la schiena.
Un acuto fragore rimbombò nella stanza. Il metallo impattò con violenza sull'arma della killer, che smise di roteare e ci si avvolse attorno.

La ragazza brandì l'altro capo, il destro, portando la lama verso il fianco dell'avversario, ma questo la intercettò, serrando le dita sul suo braccio.
Reagì d'istinto e lo centrò con un calcio nel ventre scoperto.

Il bianco incassò indietreggiando e le mollò l'arto, ma tenne ben salda la presa sul palo a cui era ancora avviluppata la catena. Gli diede uno strattone e Eve fu trascinata in avanti insieme a essa.
La ragazza decise di non opporre resistenza. Sfruttò quello slancio per tentare nuovamente di piantare la lama nel busto dell'avversario, che però fu più veloce, assestandole un poderoso pugno nello stomaco.

Rimase senza fiato. Barcollò all'indietro, poi fu di nuovo trascinata in avanti dalla catena.
La mano saettò verso la schiena e con un rapido gesto sbloccò il meccanismo che la ancorava alla sua arma, lasciando che questa cadesse sul pavimento scuro con un fragore acuto.

Libera e alleggerita, riuscì a schivare di lato il fendente che l'avversario sferrò brandendo la spranga, e con un paio di balzi aggraziati si allontanò di qualche metro da lui.

Mentre con la sinistra si stringeva il ventre dolorante, con la destra sparò un altro colpo, che il bianco riuscì nuovamente a schivare.

Quel bastardo pareva prevedere ogni sua mossa.

Non fece in tempo a mirarlo di nuovo, che lui le scagliò il palo contro, come un giavellotto, che si trascinò dietro tutta la catena.

Distolse gli occhi dall'uomo solo un istante, per scansare quell'ammasso metallico; quando lo guardò di nuovo, le era già addosso.
Le strinse il polso destro, torcendolo fino a costringerla a far cadere la pistola a terra e con l'altra mano le sferrò l'ennesimo pugno verso il ventre.

Eve riuscì a spostarsi, ma venne colpita di striscio al fianco.
Nonostante il dolore, si sforzò di non perdere la concentrazione e contrattaccò centrando con un calcio la spalla dell'altro. Il colpo, unito a una sapiente rotazione del braccio imprigionato, gli fece perdere la presa sul polso della ragazza, che riuscì ad allontanarsi; ma non per molto. L'avversario non le permise nemmeno di riprendere fiato, le fu addosso prima che riuscisse a usare la sua seconda pistola, che teneva nella fondina sulla coscia sinistra. Le fece cadere anche quella, per poi calciarla a diversi metri di distanza.

Per quanto lei fosse veloce, quell'uomo sapeva esattamente ciò che stava per fare. Com'era possibile?

Gli sferrò una violenta testata, facendo scontrare i loro caschi, e riuscì a divincolarsi da lui per allontanarsi di qualche metro, finché la schiena incontrò la parete.

Era alle strette. Doveva pensare in fretta, le energie la stavano abbandonando.
La catena era ancora aggrovigliata sul palo, inutilizzabile.
Individuò le sue due armi da fuoco sul pavimento dall'altra parte della stanza. Ne aveva bisogno, non aveva più forze per uno scontro corpo a corpo.
Avrebbe dovuto correre a recuperarne almeno una, una mossa decisamente troppo prevedibile.

Non aveva più tempo.

Fece la sua scelta.

Scattò verso la pistola più distante dall'avversario, che fece altrettanto per precederla. Appena lo vide muoversi, cambiò repentina direzione, andandogli incontro con la mano già pronta a brandire il pugnale celato dietro la schiena.
Quando gli fu abbastanza vicino, si diede l'ultimo slancio per l'affondo.

Il bianco non si lasciò sorprendere, le afferrò il braccio, tirandola a sé, e le piantò qualcosa nel collo.

Il corpo della ragazza fu attraversato da una scarica elettrica e perse i sensi.

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Si svegliò.
La testa era pesante e un acuto dolore si irradiava dal collo.

Fanculo, di nuovo! Fottuti taser...

Le mancava l'aria. Cercò di fare un profondo respiro, ma un intenso dolore le pervase il busto; il pugno incassato sul diaframma stava ancora avendo ripercussioni, o forse ne aveva ricevuti altri mentre era incosciente.

Tentò di muoversi, ma non ci riuscì: aveva gambe e braccia bloccate.
Il cuore accelerò i battiti e spalancò gli occhi.

Sollevò lentamente il capo, mettendo a fuoco l'ambiente circostante.
Indossava ancora il casco e aveva gli arti legati con la sua stessa catena alla poltrona in pelle nera.

«Buongiorno!»

Voltò di scatto la testa verso la figura dell'uomo con la tuta bianca che risaltava in controluce al centro all'ampia vetrata. Il sole che stava lentamente sorgendo dall'oceano tingeva la stanza dei suoi tenui toni rosati.

A passo lento, quello si avvicinò a lei. Le sfilò di fianco e fece ruotare la poltrona in modo che continuassero a fronteggiarsi, poi si sedette sulla scrivania. Appoggiò i piedi sulla sedia, ai lati delle ginocchia immobilizzate della killer, e puntellò i gomiti sulle cosce, in una posa fin troppo rilassata.
Inclinò da un lato la testa, osservando la prigioniera attraverso la visiera scura che risaltava sulla sua candida maschera.

Dopo un minuto in solenne silenzio, si lasciò sfuggire un sospiro e allungò le mani verso di lei.
Gli ci volle solo un istante per slacciarle il casco e sfilarglielo.

I ricci castani le ricaddero sulle spalle e i suoi occhi azzurri carichi di odio si puntarono su di lui, che dinanzi a quello sguardo venne perturbato da un brivido e si fermò a fissarla. Non sembrava però essere caduto vittima del potere di quelle iridi, anzi, pareva semplicemente in contemplazione di esse, con il palmo della mano a sostenersi la testa.

Eve rimase immobile per oltre un minuto, scrutando la sua stessa espressione minacciosa riflessa sulla visiera dell'altro. Di solito gli avversari vacillavano quando trafitti dai suoi occhi, ma quell'uomo era imperturbabile: il suo corpo non rivelava nemmeno un fremito, non un accenno di debolezza.

Capì di non avere più nessuna speranza.

Ormai sconfitta, gli ruggì contro: «Allora, perché non mi ammazzi subito e la facciamo finita, eh, pezzo di merda? Se aspetti, rischi che poi trovo un modo per liberarmi e tagliarti quella tua fottutissima testa di cazzo!»

Il bianco scosse lievemente il capo, come ridestandosi dal suo stato di contemplazione di quella dea, giunta a lui con il solo scopo di strappargli via la vita.
Nonostante fosse a un passo dalla morte, quella donna continuava a mantenere la sua espressione fiera e quel sublime sguardo intimidatorio che sembrava poterlo trapassare da parte a parte; invece di spaventarlo, però, quello non faceva altro che alimentare il fuoco che ardeva dentro di lui.

Posò il copricapo della ragazza accanto a sé, sulla scrivania, e portò le mani verso il proprio, sbloccando la chiusura; poi, con un gesto estremamente lento, lo sfilò.
«È da un po' che non ci vediamo...» La guardò fisso negli occhi, mentre appoggiava il suo casco accanto all'altro, «Eve.»




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