Capitolo 3 - Un nuovo inizio (Parte 3)

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Alla vista di quel volto, Eve si paralizzò e il cuore smise di battere.

I suoi occhi glaciali si sciolsero all'istante e la voce abbandonò labbra come un sussurro: «Ray.»

Lui la guardò intensamente e si aprì in uno dei suoi magnifici sorrisi.
«Mi chiamo Daniel» rispose dolce, ma con un velo di sarcasmo.

Rimase pietrificata, persa in quegli occhi blu che non vedeva da oltre tre anni.
Aveva pensato spesso a quell'italiano, più di quanto avrebbe voluto. Si chiedeva continuamente come se la passasse, cosa stesse facendo, se fosse cambiato.
No, non era cambiato affatto, sembrava solo più maturo e sicuro di sé. Gli stessi capelli spettinati, lo stesso sguardo vivace, lo stesso sorriso.
Solo in quel momento si rese conto di quanto le fosse mancato quel sorriso che tutte le notti accompagnava i suoi sogni.

In automatico, come sotto ipnosi, si trovò a sussurrare: «Lo so-»

«Ray» la precedette il giovane ridacchiando.
«Mi sei mancata.»
La fissava con espressione carica di tenerezza e nostalgia.

Eve si scosse, ricordando quale fosse la sua situazione, e diede un infruttuoso strattone alle braccia incatenate.
«Ray, cosa ci fai qui? Perché lavori per questa gente?»

Daniel scoppiò a ridere, tornado poi a puntare gli occhi in quelli di lei.
«Io non lavoro per loro» esordì carico d'orgoglio, «io sono il capo.»

Rimase senza fiato, travolta da quelle parole.
Scosse ripetutamente la testa, «No, questo è impossibile...»

«Invece è tutto vero, Eve. Questa è casa mia.»
Il giovane spalancò le braccia in un plateale gesto.
«Perché non vai a chiedere a qualcuno dei miei uomini? Ah, già... sono tutti morti!»
Eruppe in una risata di maligno sarcasmo.
«Sei stata davvero incredibile. Sei riuscita a migliorare ancora. Erano tantissimi, eppure sei arrivata qui con solo un paio di graffi. Sei sempre la migliore.»
La fissò con sguardo sognante, poi prese un lungo respiro.
«Ma anch'io sono migliorato, hai visto? Dopo tutto quel tempo passato con te conosco alla perfezione ogni tua mossa. Ho imparato a pensare come te. Ammettilo che sono stato bravo!» Sollevò un angolo della bocca in un ghigno provocante, «A quanto pare sono l'unica persona al mondo in grado di catturarti.»

«Perché, Ray?» La voce le uscì strozzata dalle labbra, «Perché sei qui? Lavorare alla CIA era il tuo sogno. Cosa ti è successo?»

«È vero, ma restando alla CIA le mie priorità sono cambiate.»

«Perché?»

L'espressione del giovane si indurì e la fissò con sguardo severo.
«Hai idea di come mi sono sentito quando quella mattina mi sono svegliato e tu non eri nel tuo letto? Ti ho cercata dappertutto, in ogni singola stanza di quel cazzo di edificio. Ci ho messo giorni per accettare che te ne fossi andata senza dirmi nulla!»
Aveva un tono accusatorio, ma la voce era triste e i suoi occhi blu stavano diventando lucidi.
«Dannazione, Eve, ero nel panico. Avevo paura che te ne fossi andata in Medio Oriente a cercare quel bastardo. Anche John ne era certo. Ogni giorno mi informavo per sapere se erano state trovate tue tracce laggiù, qualche segno del tuo passaggio; pregando che non trovassero mai il tuo cadavere.»
Gesticolava agitato, poi puntò il braccio verso la finestra, sull'orizzonte che diveniva sempre più luminoso. «Sai quante volte ho pensato di salire sul primo aereo per venire lì a cercarti, eh? E stavo quasi per farlo, cazzo!»

Scosse il capo, abbattuto, mentre lei continuava a fissarlo in silenzio con sguardo affranto.

«E sai perché non l'ho fatto? Solo perché poco prima della partenza il "killer dei killer" è tornato a fare notizia dall'altra parte del mondo! Avevo già la valigia pronta, cazzo. Non hai idea del sollievo. È stato come se dopo settimane finalmente avessi ripreso a respirare.»
Chiuse le palpebre e si lasciò sfuggire un lungo sospiro. La mano andò d'istinto a massaggiare la nuca, e abbassò i toni.
«Ho subito capito: volevi solo allenarti un po' a modo tuo, per una volta senza dover seguire le regole di John. Mi avevi detto che la CIA ti stava stretta, ma pensavo che avessi cambiato idea, che un po' ti piacesse stare lì, con me. Ci credevo davvero.»
Scosse il capo.
«Così ti ho aspettata, sicuro che una volta sfogata e compiuto quel massacro saresti tornata alla CIA.»
Abbassò gli occhi.
«Da me.»

Deglutì, tentando di controllare il tremolio che perturbava la sua voce, «Appena terminata la scia di sangue, ho aspettato ogni giorno davanti alla porta il tuo ritorno. Ma non sei mai arrivata.»
Sbuffò sconsolato, continuando a fissare il pavimento.
«Poi il "killer dei killer" ha iniziato a mietere vittime da un'altra parte.»
La sentì sospirare e le lanciò uno sguardo fugace, per poi tornare ad abbassare la testa, quasi non riuscisse a guardarla.
«È allora che ho capito che non saresti mai più tornata.»

La ragazza fu attraversata da un fremito e distolse lo sguardo da lui, incapace di continuare a sostenere la vista dei suoi occhi lucidi, incapace di rispondergli.

«Eve, volevo ritrovarti. Volevo vederti. Era come se non riuscissi più a vivere senza di te. Come se il giorno che te n'eri andata ti fossi portata via una parte di me e io non riuscivo più a funzionare senza.»
Prese un lungo respiro, continuando a passarsi le dita sulla nuca.
«Così ho chiesto a John di affidarmi la caccia del "killer dei killer". Non ho fatto altro che rincorrerti per mesi, forse anni... a me sono sembrati secoli. Arrivavo sempre così vicino, ma poi tu riuscivi a sfuggirmi di nuovo. Tutte le volte.»
Scosse il capo abbattuto.
«Ho capito che era inutile inseguirti: non sarei mai riuscito a prenderti. Ti conoscevo bene. Ho sempre ammirato questa parte di te.»
Sospirò.
«Ho sempre ammirato ogni parte di te.»

Le lanciò una breve occhiata, abbozzando per un istante un mezzo, timido sorriso; ma non riuscì a incrociare le sue iridi, che risaltavano sulla sclera sempre più arrossata, rivolte verso il basso in un'espressione di sconforto.

«Sai, Eve, ho capito che l'unico modo che avevo per rivederti era attirarti, fare in modo che fossi tu a venire da me, e la sola maniera che avevo per farlo era diventare il bersaglio del "killer dei killer". Così me ne sono andato dalla CIA, ho trovato una piccola, inutile associazione mafiosa di periferia e ho iniziato a scalare i ranghi. Dopo tutto il tempo passato a lavorare con te, sapevo esattamente quali errori non fare per essere un bravo criminale. In breve tempo sono diventato il braccio destro del capo e abbiamo allargato gli affari.»
Le sue labbra si incresparono in un ghigno.
«Poi l'ho ucciso, ho preso il suo posto e mi sono seduto qui ad aspettarti.»

La ragazza ebbe un fremito e chinò il capo per celare ancora di più gli occhi lucidi.
Era stata un'idiota.

«Ray, ti chiedo scusa» sussurrò.
Prese un respiro, tentando di controllare il tono della voce e trattenere le lacrime che spingevano per uscire.
«Ma l'hai detto tu stesso: la CIA non era il mio posto e John non faceva altro che ostacolarmi e tenermi imprigionata lì. Sai quanto lo odiavo.»

«Sai benissimo che lo faceva per il tuo bene.»

«Ciò che è bene per me lo so solo io!» sbottò, dando uno strattone alle catene, senza successo.

«Certo» sussurrò sarcastico, puntando gli occhi al soffitto. 

Lo ignorò, «Sai che ho un obiettivo e l'unico modo che ho per realizzarlo è allenandomi seriamente. Non ho nessun altro modo per riuscirci, per trovare la pace e per fare in modo che gli incubi mi diano tregua.»

«Eve, non dire stronzate. Non mi sembra che alla CIA stessi con le mani in mano. Non facevamo altro che allenarci tutto il giorno. E poi mi pare che ne abbiamo fatte parecchie di stragi, no? Quante persone abbiamo ammazzato?»

La ragazza era già pronta a ribattere, ma a quelle ultime parole la sua espressione dura si sciolse e gli occhi si colmarono di nuovo di tristezza.
Rimase alcuni secondi con la bocca spalancata a guardarlo, poi fu attraversata da un fremito e chiuse le palpebre, chinando il capo.

«Dannazione, Eve, non mi hai neanche salutato! Potevi almeno avvertirmi. Una telefonata, un messaggio. Invece guarda che cazzo ho dovuto fare per riuscire a parlarti!»

Lo ascoltò immobile, prendendo lunghi vacillanti respiri.
Deglutì un paio di volte senza però riuscire a ricacciare il groppo che le attanagliava la gola.
Le dita stavano tremando, le serrò con forza sui braccioli a cui era imprigionata.
Infine scosse il capo, sempre rivolto alle sue stesse cosce, e inspirò a fondo.
«Hai ragione, Ray, alla CIA non mi mancava niente e non era poi così male, anzi...» Sospirò, «e ciò che fa il "killer dei killer" non è tanto diverso dalle missioni che ci affidava John, me ne sono resa conto subito, appena ho ricominciato a lavorare da sola.»
Fece una lunga pausa, poi le sue fioche parole perturbarono nuovamente il silenzio: «Vuoi davvero sapere perché non sono più tornata?»

Sollevò un istante gli occhi, incrociando lo sguardo amareggiato di Daniel, che la fissava severo a braccia conserte, ma li riabbassò subito.

«Avrei voluto tornare. Davvero.»
Deglutì di nuovo e quando ricominciò a parlare la sua voce tremava: «Non hai idea di quanto tu mi sia mancato... pensavo a te ogni giorno... ma non volevo continuare a metterti in pericolo. A ogni missione mi preoccupavo più della tua incolumità che della buona riuscita dell'operazione. Per me lo scopo delle missioni non era più fare fuori i bersagli, ma riuscire a riportarti a casa sano e salvo. Non mi sarei mai perdonata se ti fosse successo qualcosa a causa mia.» Il suo tono diventava a ogni parola sempre più strozzato.
«Per questo non sono tornata. Ho sopportato la tua mancanza solo perché sapevo che tu eri al sicuro.»
Scosse la testa e delle grosse lacrime le si staccarono dal mento per atterrarle sulle gambe.
«Ma ho sbagliato tutto» sussurrò infine con un filo di voce, trattenendo a forza un singulto.

Sentì una calda mano posarsi sulla guancia e fare dolcemente forza per sollevarle il viso.
Ebbe un fremito, si irrigidì d'istinto, ma non si ritirò da quel tocco, lo assecondò fino a incrociare due lucidi occhi blu.

Daniel scese dalla scrivania, mettendosi in piedi davanti alla sedia.
Si sporse verso di lei e portò anche l'altra mano sul suo viso, immergendo le dita in quei morbidi ricci.

Ora che l'aveva ritrovata non l'avrebbe mai più lasciata andare. Non avrebbe mai più sprecato nessuna occasione. Non si sarebbe mai più tirato indietro dinanzi a lei.

La strinse con dolcezza e la baciò, come avrebbe voluto fare fin dal primo istante in cui aveva incrociato quei sublimi occhi di ghiaccio.

Sotto il tocco inaspettato di quelle labbra, la ragazza si paralizzò, ma solo per un istante, poi il suo corpo fu pervaso da una scarica di brividi caldi che dalla bocca scorreva fino al profondo della sua anima.
Si abbandonò a quel bacio dischiudendo le labbra e si protese verso di lui, tirando con forza la catena che la teneva prigioniera.

Daniel non aspettava altro che quel cenno di complicità. La sua lingua si insinuò tra le morbide labbra di Eve alla ricerca di quella di lei.
La strinse ancora di più a sé, quasi a voler fondere le loro anime che per troppo tempo erano state distanti, per fare di nuovo proprio quel pezzo di cuore che la ragazza andandosene gli aveva strappato via.
Eve.
Era lei quella parte che per anni era mancata nella sua vita, l'ingranaggio principale che faceva girare tutto il resto.

Annebbiato da quel bacio, le fece scorrere inconsciamente la mano sul collo, poi sulla spalla, sul braccio, fino alla catena che lo imprigionava.

Il tocco del metallo fu come una scintilla nella sua testa. Fece appello a tutto il proprio autocontrollo per riuscire a interrompere quel contatto, separando le loro labbra quel poco che bastava per riprendere fiato.

Aprì gli occhi giusto in tempo per vedere le palpebre di lei spalancarsi e rimase trafitto da quelle iridi azzurre che non aveva mai potuto ammirare da così vicino.
Attraverso quei due stralci di cielo poteva leggere ognuna delle emozioni che attraversavano la mente di quella ragazza: era stupita, felice, eccitata e sopraffatta da tutto ciò che stava accadendo.
Era finalmente sua.

D'un tratto un lampo malizioso attraversò quegli occhi, la catena tintinnò e lei scattò in avanti, avventandosi di nuovo sulle sue labbra per cercare un secondo avido scontro con la sua lingua.
L'assecondò, lasciandola prendere il comando e godendo di quel contatto a lungo agognato e che sperava non finisse mai.

Nonostante il cervello ovattato dalle emozioni, continuava a sentire il metallo sfregare sui braccioli della sedia, tirato con forza dagli arti della ragazza che tentavano invano di guadagnare la libertà.
Fermò di nuovo quel bacio e sussurrò sulla sua bocca, mentre lei gli mordeva il labbro inferiore: «Se ti libero, mi prometti che non te ne andrai mai più?» Suonava come una supplica.

Eve si allontanò di una spanna per guardarlo intensamente.
«Non faccio mai due volte lo stesso errore, dovresti saperlo.»

Si perse in quegli occhi. Era sincera, sicura, carica di passione, voleva esattamente ciò che voleva lui. Ne era certo.

Puntò lo sguardo verso il basso e prese a svolgerle la catena dal braccio sinistro con foga, con una velocità che non sapeva di possedere.

Appena le fu possibile, Eve sfilò la mano, facendogliela scattare con un guizzo verso il collo.

Il cuore di Danny cessò di battere e in quell'istante capì di avere fatto un errore fatale, aveva travisato ciò che animava quegli occhi ed era caduto nella trappola della killer.
Fu così rapida che non ebbe nemmeno il tempo di reagire.

La ragazza agganciò la mano alla sua gola, affondandogli le dita nei fasci di muscoli tesi.

Lo tirò a sé, travolgendolo con un bacio che lo scosse fino al centro della sua anima, togliendogli il respiro e disattivandogli il cervello.

La catena cadde a terra con un fragore che rimbombò in tutta la stanza, ma Daniel non la sentì. Percepì solo l'altra mano di Eve che gli percorreva la schiena, tirandolo a sé, procurandogli un brivido talmente caldo da ustionarlo, come carboni ardenti passati sulla pelle, su fino alle spalle, poi la nuca, fino a raggiungere la guancia.
La presa alla gola si sciolse e le dita scivolarono indietro, affondandogli nei capelli.

Le portò una mano sulla schiena. Fece forza per tirarla in piedi, libera dalle catene, ma non dal suo abbraccio. Non l'avrebbe mai liberata dalla stretta del suo corpo.

Senza mai interrompere quel bacio, indietreggiò di mezzo passo fino ad appoggiarsi alla scrivania. Tirò la ragazza a sé e la strinse fino a sentire il suo cuore battergli contro il petto; ma non era abbastanza, la voleva ancora più vicino, voleva sentirla ancora di più. Desiderava accarezzare la sua candida e inaccessibile pelle dall'istante in cui aveva incrociato i suoi occhi glaciali su quel tetto.

Le passò alla cieca le mani sul corpo, spogliandola lentamente della tuta nera.

Eve lo lasciò fare. Sollevò le braccia emettendo flebili sospiri mentre le sfilava la maglietta, passandole dolcemente le mani sulla pelle mentre accompagnava la stoffa.

Quando le liberò il capo, rimase immobile dinanzi a lui.

Perse il respiro, incantato ad ammirarla in tutta la sua perfezione, come se fino all'istante prima fosse stato cieco e quella donna lambita dalla luce dell'alba era la prima cosa su cui i suoi occhi si fossero mai posati.

Eve fece un passo verso di lui, con sguardo seducente.
Gli passò le dita sul petto e iniziò a ricambiare il favore, slacciandogli le cinghie della candida tuta.
Senza smettere di muovere le mani, si avvicinò di nuovo al viso di Daniel, lasciandogli un casto bacio sulle labbra. Continuò poi a baciarlo sulla guancia, la mascella, su, fino all'orecchio.
«Il bianco ti dona, lo sai?» sussurrò suadente mentre gli sfilava le maniche, «Ma senza stai ancora meglio.»

Lo liberò dai vestiti mordicchiandogli il lobo, per poi lasciargli una scia di ustionanti baci lungo il collo, fino alla clavicola, e sempre più giù, scendendo lungo il petto, mentre gli passava avida le dita sugli addominali.

Ognuno di quei baci era per lui come un ferro rovente premuto sulla pelle. Una scarica elettrica che gli attraversava il corpo da parte a parte, talmente piacevole da fare male, talmente dolorosa da fare bene. Sapeva solo di volere che quelle sensazioni durassero in eterno.

Eve era la benzina che alimentava il suo motore, che faceva divampare le fiamme dentro di lui.
Stava morendo di freddo senza quella ragazza...

Daniel si svegliò di soprassalto.

Si guardò intorno spaesato.

Aveva il respiro affannato e ancora impresse nella mente le vivide immagini di quel sogno. Riusciva a sentire sul corpo ognuna di quelle sensazioni, come se tutto ciò fosse realmente accaduto.

Restò immobile con gli occhi puntati sulle doghe in legno sopra di lui, immerse nella semioscurità della stanza, rischiarata solo dalla tenue luce dei lampioni che filtrava dalla finestra. Tentò di recuperare il controllo e di rallentare il cuore che sembrava volergli uscire dal corpo squarciando la gola.

Riuscì gradualmente a calmarsi, poi la sua mente fu attraversata da un dubbio che gli tolse il respiro.
Scattò in piedi e si sporse oltre il materasso superiore del letto a castello, attanagliato dalla paura che ciò che aveva appena vissuto non fosse del tutto fantasia. Lacerato dalla preoccupazione che lei fosse davvero fuggita.

Rimase paralizzato da ciò che vide.

Lentamente riprese a respirare.

Eve dormiva serena, girata verso di lui. I ricci adagiati sul cuscino le incorniciavano il viso.

Era ancora lì, non se n'era andata.

Prese un lungo respiro e incrociò le braccia sul materasso, appoggiandoci sopra il mento.
Rimase incantato a guardarla, mentre il suo battito tornava regolare.

Non riusciva a togliersi dalla mente il panico che aveva provato il giorno in cui aveva temuto di averla persa per sempre, quando, ormai diverse settimane prima, aveva scoperto il triste passato di quella ragazza. Poteva ancora sentire la calda sensazione di stringerla tra le braccia mentre tremava sopraffatta dal pianto.

Avrebbe voluto stare lì ad ammirarla dormire per sempre, o almeno finché non l'avesse vista aprire gli occhi, allarmata dal suo stesso istinto che le diceva di essere osservata.
Sapeva che era una cosa stupida; ma non riusciva a farne a meno, non riusciva a smettere di percorrere con lo sguardo i suoi lineamenti e le onde dei suoi ricci. Si sarebbe ritirato prima che lei potesse accorgersi della sua presenza, tornando di soppiatto nel letto per addormentarsi con l'immagine della ragazza impressa nella mente.

La incontrava spesso nei propri sogni, ma quella volta era stato più vivido e reale del solito.

Forse avrebbe dovuto prendere esempio dal suo se stesso onirico: raccogliere il coraggio e buttarsi, confessarle quei sentimenti che ogni giorno si impegnava a reprimere.
Se fosse andata male, però, l'avrebbe persa per sempre e ormai sapeva di non poter più vivere nemmeno un minuto lontano da lei. Gli era bastato quel giorno di inizio settembre per averne la certezza.

Sospirò forse con troppo energia, perché Eve si mosse e fece per aprire gli occhi.
Danny sollevò di scatto la testa dalle braccia, facendo un mezzo passo indietro, ma indugiò un istante di troppo.

«Ray?» Quegli occhi azzurri lo scrutarono allarmati, «Che ora è? È successo qualcosa?» Si guardò intorno frastornata, sbattendo rapida le palpebre per mettere meglio a fuoco la stanza.

Lui fece un sorriso imbarazzato, «No, stai tranquilla, è tutto a posto.» Si portò d'istinto una mano tra i capelli spettinati, «Non ti volevo svegliare, scusa.»

«Perché sei in piedi?»

«Ho fatto un sogno e-»

«Un incubo?»

Sorrise, mentre le sue gote si inondavano di rosso, «No, un sogno.»
Appoggiò di nuovo le braccia sul letto, proprio accanto a lei, che lo guardava confusa con la guancia immersa nel cuscino.
«Sai, tu te n'eri andata e avevi ricominciato a fare la killer. Io cercavo di catturarti, ma arrivavo sempre troppo tardi, a strage compiuta. Volevo così tanto rivederti che me ne sono andato dalla CIA, sono diventato un boss della malavita e ho aspettato che tu venissi a prendermi.»

«Cosa? Sei diventato un boss della mala solo per potermi rivedere?» Lo fissò sconvolta.

Ridacchiò imbarazzato, «Già...»

«E poi com'è finita? Non dirmi che ti ho ucciso?»

Sospirò. «No... non mi hai ucciso» sussurrò con aria sognate.

«Meno male. Sai, non credo che riuscirei mai a farti del male, Ray, nemmeno se diventassi il mio peggior nemico...»

«Buono a sapersi.» Rise, tentando di scacciare dalla mente i fotogrammi di quel sogno.

Per un istante immaginò di scattare verso di lei, sulle sue labbra. Chissà come avrebbe reagito? Probabilmente non ne sarebbe uscito vivo.
Strinse con forza la mascella per impedirsi di mettere in atto quella follia ed eliminare quello stupido pensiero.

Rimasero in silenzio a fissarsi, poi Eve prese la parola: «Davvero faresti tutto questo se io me ne andassi?»

Le rispose con voce decisa senza nemmeno pensarci: «Sì, sarei disposto a fare qualunque cosa pur di ritrovarti, ne sono sicuro. Anche diventare il peggiore dei criminali.»

La ragazza sorrise, «Allora non posso proprio andarmene» ribatté in tono scherzoso.

«Già. Oppure devi avvertirmi prima, così ho il tempo per fare i bagagli e venire con te.»

«Addirittura...»

«Sì, sappi che non riuscirai mai a convincermi a restare qui da solo.»

«Ok, Ray, lo terrò presente.» I ricci le solleticarono le guance quando annuì con un cenno della testa, mentre sogghignava.

Danny si fece serio, fissandola con sguardo inquisitore, «Non stai pensando di andartene, vero?»

«No, per ora non ho niente di meglio da fare. Puoi tenere da parte la valigia ancora per un po'.»

La bocca dell'italiano si dipinse in uno dei suoi meravigliosi, enormi sorrisi. «Beh, sarà meglio tornare a dormire ora. Scusa ancora se ti ho svegliata.»
Le diede un ultimo avido sguardo, per poi tornare nel suo letto.

«Buonanotte, Ray» sussurrò Eve avvolgendosi nelle coperte, con il sorriso impresso sulle labbra.

Beh, che dire? BENTORNATI!

Lo so... ora mi odierete... XD

Però a mia discolpa... ok, lo ammetto, non ho scusanti, ero consapevole che vi avrei fatto incazzare... 

Peròòòò avevo questo capitolo in serbo da così tanto tempo... e non vedevo l'ora di pubblicarlo, precisamente dal primo aprile 2021!

(Un anno e mezzo fa... già...)

Mi è venuto fuori proprio un bel pesce d'aprile, eh?! 

In effetti, è così che è nato nella mia mente, con una stupida battutina: "se Eve tornasse a fare la killer, l'unico modo che avrebbe Ray per ricontattarla sarebbe diventare un boss e aspettare che sia lei ad andare da lui per farlo fuori" e ho finito per ricamarci sopra un po' troppo, scusate... ho esagerato, però ero davvero curiosa di provare a scrivere una scenetta un minimo minimo spicy... giusto così per mettermi alla prova... e ormai che la prova era stata fatta mi pareva egoista tenermela tutta per me, no?!?   ^w^'

A mia discolpa, però, posso dire che questo doveva solo essere un inutile capitolo bonus... e invece eccolo qua, con la prima parte di massacro ampliata per renderlo un nuovo inizio coi fiocchi e gli schizzi di sangue (e un po' di tensione, un po' di lacrime e un po' di pepe... così, giusto per non farsi mancare nulla ;-P ).

Non so come ringraziarvi per essere ancora qui con Eve e Ray dopo tutti questi capitoli. Grazie infinite davvero e buon proseguo di lettura con la prossima nuova avventura!

^w^


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