Capitolo 4 - Vacanze di Natale (Parte 1)

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L'aereo sorvolava le montagne.
Il segnale che invitava i passeggeri ad allacciare le cinture di sicurezza si accese, l'atterraggio era imminente.

Eve guardò fuori dal finestrino sospirando.
Giocherellava inquieta con la catenina, rigirandosi gli anelli tra le dita. Era più pensierosa del solito, ma non era di certo il volo a preoccuparla.

«Finalmente! Non vedo l'ora di atterrare!»

Si girò verso Daniel. Era raggiante, non riusciva a stare fermo per l'entusiasmo, durante l'interminabile volo non era stato zitto un attimo. Ormai la ragazza aveva esaurito tutti i suoi "cazzo, Ray, stai zitto!", rassegnandosi al fatto che non avrebbe mai ottenuto il tanto agognato silenzio. Se quel dannato viaggio fosse durato ancora, pur di dare un po' di sollievo alle sue orecchie si sarebbe gettata dal finestrino.

Sospirò e si sforzò di rispondergli con un timido sorriso.
Più passava il tempo e meno quella cosa la convinceva. Non avrebbe mai dovuto accettare.

«E non fare quella faccia, Eve! Sembra che tu ti stia imbarcando in non so quale missione suicida... Anzi, conoscendoti non vedresti l'ora di fare una cosa tanto adrenalinica.»
La scrutò con fare indagatore e un sorrisetto furbo.
«Credo di non aver mai visto così tanto panico nei tuoi occhi. No, aspetta, forse si avvicina molto di più a pura insicurezza.»
Lei distolse lo sguardo sbuffando.
«Oh, oh, non mi dire che la fredda e impavida killer è terrorizzata da qualcosa?»

«Non ho paura!» rispose stizzita, «È che semplicemente non mi sento a mio agio. Non so bene come comportarmi.»

«Tu sii semplicemente te stessa... beh, senza gli scatti di follia omicida e la sete di sangue!»
L'italiano eruppe in una risata.
«Dai, stai tranquilla, sono sicuro che i miei ti adoreranno.»

Lo fissò con espressione poco convinta e si lasciò sfuggire un sonoro sospiro, «Se lo dici tu...»

Daniel aveva passato l'ultimo periodo a cercare di convincerla ad andare da lui durante l'imminente settimana di ferie invernali. Aveva insistito fino allo sfinimento, continuando a ripetere che nessuno dovrebbe restare da solo a Natale.
Era riuscito a coinvolgere anche John in quel suo folle piano.
Il Capo aveva sciorinato un sacco di motivazioni senza senso, tipo che sotto Natale il Centro chiudeva, tutti se ne andavano e staccavano anche i contatori delle utenze, quindi non c'era più acqua né elettricità. Quando poi Eve gli aveva fatto notare che alla CIA era pieno di agenti non cristiani, per i quali quella festività neanche esisteva, Graham aveva tagliato corto dicendo che pur di farla andare in vacanza l'avrebbe stanata col fumo e avrebbe istituito una denuncia a suo carico, così da poter congelare tutti i suoi conti e impedirle di andarsene a zonzo da sola.

L'ultimatum era stato che o andava in Italia con Daniel, oppure avrebbe dovuto passare le ferie natalizie con John, i suoi genitori e gli zii ottantenni.

Mentre la ragazza se ne andava dal suo ufficio con passo pesante e mugugnando imprecazioni, l'uomo aveva anche avuto la faccia tosta di urlarle dietro: "Buone vacanze, Eve! E ricordati di portarmi dall'Italia un panettone e un bel po' di torrone alle mandorle!"

Maledetto John!

Il problema non era Ray e nemmeno i suoi genitori.
Il problema era lei stessa, non sapeva come comportarsi in una situazione simile. Era da una decade che non aveva a che fare con una vera famiglia e si rifiutava di festeggiare il Natale.

Da bambina, quello era il periodo dell'anno che preferiva: i suoi genitori erano entrambi in congedo e per un paio di settimane li aveva tutti per sé.
Adorava addobbare l'albero insieme a suo padre. Massimo la prendeva in braccio per farle raggiungere la cima e consentirle di mettere il puntale dorato.
Poi preparava i biscotti con la mamma, il suo compito era fare gli stampini e riporre ordinatamente le forme sulla carta da forno.

Era stato proprio durante un Natale che le avevano regalato la sua prima catena. Non era di certo il dono più ambito da una normale bambina di appena una decina d'anni, però lei l'aveva tanto desiderata. Fino a quel momento aveva sempre usato una spessa corda per non farsi male. Janet era tutt'altro che d'accordo, ma aveva chiesto quell'arma con così tanta insistenza, che alla fine gliel'avevano presa.
Ancora ricordava il momento in cui aprendo il pesante pacco aveva scoperto il metallo scintillante.
Si era messa a saltare per la gioia.

"Così adesso potrò venire in missione con voi! Vi farò da scudo con la mia barriera impenetrabile!" aveva continuato a urlare piena di entusiasmo.
Era davvero convinta di ciò e, sì, era per quello che la desiderava tanto.

La teneva appesa al muro della palestra al piano seminterrato di casa. Era il suo trofeo, l'obiettivo che la spingeva ad allenarsi e diventare sempre più brava con la corda.
Suo padre, però, non era mai riuscito a insegnarle a usarla, perché il settembre successivo...

«Ehi, tutto bene?» Daniel aveva notato gli occhi della compagna rattristirsi, come velati da una cupa nebbia che pareva soffocarli, privandoli della loro lucentezza.

Eve si scosse da quel pensiero, «Sì... è che non mi piace il Natale.»

«Beh, allora vedremo se riuscirò a farti cambiare idea. Guarda che la prendo come una sfida, eh!»

Rispose al luminoso sorriso del ragazzo con un timido cenno del capo, poi volse di nuovo gli occhi versò l'oblò.
Ormai il terreno sotto di loro era sempre più vicino, mancava solo qualche decina di minuti all'atterraggio.

Fece un sospiro e si sforzò di incurvare le labbra, «Temo di non avere scelta, ormai. Tanto se anche i tuoi sono chiacchieroni come te, non dovrò nemmeno preoccuparmi di ciò che dico, giusto? Con tre Hiwatari non avrò mai la possibilità di parlare.»

«Quattro! La mattina di Natale mio fratello Francis dovrebbe tornare dall'università e si fermerà qualche giorno a casa.»

«Allora non avrò proprio il problema di dover trovare argomenti di conversazione!»

Scoppiarono entrambi in una risata.

---

Recuperarono le valigie dal nastro trasportatore e si avviarono verso l'uscita.
L'aeroporto quel pomeriggio era piuttosto affollato, intorno a loro sfrecciavano frotte di persone in partenza o di ritorno a casa per le feste.

Daniel notò un uomo tra la folla e gli corse incontro, trascinandosi dietro la valigia. «Papà!»

Si abbracciarono, poi presero entusiasti a parlare tra loro.

Eve si avvicinò con passo lento, osservandoli incuriosita.
Quei due erano molto diversi, ma allo stesso modo simili. Il cinquantenne era più basso del figlio e molto più magro, le spalle larghe e muscolose del giovane risaltavano ancora di più accanto a lui.
Notò subito che avevano lo stesso sorriso, però gli occhi del padre erano neri, con un taglio a mandorla, l'unico dettaglio che lasciava trasparire le sue origini nipponiche, oltre ai capelli scurissimi.

La ragazza li raggiunse abbozzando un sorriso e gli porse la mano.

«Tu devi essere Eve!» L'uomo ignorò completamente il suo gesto e la sorprese con un abbraccio.

Si irrigidì, serrando i pugni, e d'istinto trattenne il fiato.

Maledizione, ma allora è un vizio di famiglia!

Sperava davvero che Daniel avesse messo in guardia i genitori riguardo alla sua repulsione per il contatto fisico; invece non solo non l'aveva fatto, ma lo sentì addirittura scoppiare in una risatina di scherno. Quel coglione sapeva che in presenza di testimoni lei si sarebbe per forza trattenuta e non rischiava ripercussioni, ma una volta soli gliel'avrebbe fatta pagare.
Gli lanciò un'occhiata truce oltre la spalla dell'uomo.

Danny smise di sghignazzare, ma non si tolse dalla faccia quel suo solare sorriso, poi diede una delicata pacca sulla schiena del padre per richiamare la sua attenzione, «Allora, pa', andiamo? Non vedo l'ora di tornare a casa!»

Quel gesto funzionò, perché l'uomo la lasciò subito andare.
Appena sentì la presa allentarsi, Eve fece un paio di fulminei passi indietro per sottrarsi a lui e si sforzò di esibire un sorriso il più sincero possibile, mentre riprendeva a respirare e rilassava i muscoli.

«Certo, muoviamoci prima che scada il parcheggio!» Le fece un gran sorriso, molto simile a quello che illuminava il volto del figlio; poi si incamminò, seguito dai due giovani.

La ragazza ne approfittò per trafiggere con uno sguardo di rimprovero il compagno, che si limitò ad avvicinarsi con espressione gioviale, per sussurrarle in inglese: «Dai, è solo un rapido saluto. Tranquilla, qui nessuno vuole farti del male.»

Lei stava già per rispondergli in malo modo, ma venne interrotta dall'uomo, che si voltò a guardarli assumendo una strana espressione indispettita, poi le scattò incontro.

Trasalì, colta di sorpresa.
Fece un passo all'indietro, frapponendo d'istinto il bagaglio tra loro.

«Dammi pure la tua valigia, Eve.»

Rimase interdetta e rispose in automatico, stringendo ancora di più quell'improvvisata barriera a sé: «Oh, non si preoccupi, signor Hiwatari, me la porto io.»

«Su, su, dammi qua! Se quel cafone di mio figlio non vuole fare il cavaliere, lo farò io! E chiamami pure Philip, oppure Phil.» Le strappò letteralmente la valigia dalle mani, mentre scoccava un'occhiata di sbieco a Daniel.

«Papà, stai tranquillo, Eve è abbastanza forte da non avere bisogno di un cavaliere!» ribatté il giovane ridacchiando, sempre più divertito alla vista della compagna in preda all'imbarazzo.
Le aveva fatto promettere di essere se stessa, non voleva che recitasse con i suoi genitori. In effetti, quasi se stessa... chissà per quanto sarebbe riuscita ad andare avanti sforzandosi di essere educata e trattenere la sua sboccataggine, oltre agli scatti d'ira?
Quella vacanza sarebbe stata esilarante.
Non era solo per questo, però, che aveva insistito tanto per portarla in Italia. Era certo che dopo tutti quegli anni di lutto, richiusa nel gelo della sua solitudine, un po' di calore familiare le avrebbe fatto bene.

Philip continuò a guardare male il secondogenito, che non sembrava intenzionato a smettere di sghignazzare, poi si rivolse nuovamente all'ospite: «Non stare ad ascoltarlo. Ogni principessa ha bisogno del suo cavaliere.» Le fece l'occhiolino e si incamminò versò l'uscita, trascinandosi dietro la voluminosa valigia.

Una volta in auto, l'uomo attaccò a parlare e non si fermò più.
Tale padre, tale figlio.
I due probabilmente non avrebbero chiuso bocca finché non fossero arrivati davanti al portone di casa, e l'aeroporto non era di certo dietro l'angolo.

Eve sedeva sul sedile posteriore, in religioso silenzio.
Accompagnata dall'incessante sottofondo delle voci dei due italiani, ebbe modo di pentirsi della sua scelta almeno un centinaio di volte.

Si chiedeva se forse non avesse fatto meglio ad accettare l'invito di John... Cosa aveva detto che avrebbe fatto? Pranzo con i genitori settantenni e poi il giro di parenti e ospizi per salutare tutti i vari zii.
In effetti avrebbe potuto andarle decisamente peggio.

«Eve!» La voce di Daniel si fece largo tra i suoi pensieri, «Eve, mi senti?»
Si scosse e annuì con un mugugno poco convinto, senza nemmeno voltarsi.
«Mio papà voleva sapere da quanto non festeggi il Natale.»

Distolse l'attenzione dal finestrino. Ruotò la testa fino a incrociare lo sguardo incoraggiante del compagno di stanza, che la fissava dal sedile del passeggero.
Rispose con voce piatta: «Una decina d'anni.»

Phil la guardò dallo specchietto retrovisore, con i suoi gioviali occhi a mandorla, «Perché? Sei di una qualche particolare religione?»

«No.» Scosse mesta il capo, poi fissò senza interesse oltre il vetro per evitare il suo sguardo. «Non c'è nulla in cui credo.» Si sforzò di alzare la voce per farsi sentire.

«Atea?»

«Non lo so. Non mi sono mai posta il problema di identificarmi in qualche modo.»

Danny intervenne cambiando discorso: «Pa', Francis mi ha detto che arriva il venticinque mattina. Ma davvero?»

«Sì.» Philip abbandonò il suo tono cordiale, che divenne all'istante scocciato.

«E mamma non ha protestato?»

«Beh, con lui si è trattenuta, ma è da una settimana che si lamenta con me! Non voglio più nemmeno sentirne parlare. Non ho neanche capito perché tuo fratello non viene per la cena della vigilia.»

Daniel ridacchiò alla vista dell'espressione contrariata del genitore. Dato il carattere della madre, si era stupito che non avesse obiettato alla scelta del primogenito di saltare la tradizionale cena del ventiquattro dicembre.
«Lo so io: la sua coinquilina australiana non torna a casa e sarebbe rimasta da sola in appartamento per tutte le feste, così i coinquilini hanno deciso di festeggiare con lei tutti insieme almeno la vigilia.»

Philip sospirò sonoramente. «Giusto, ora ricordo, Diana me l'aveva detto... tra le altre cose... Per questo non ha troppo obiettato con Francis... Con me invece non si è risparmiata.» Scoppiò in una risatina nervosa. «Beh, dai, almeno è un bel gesto per quella ragazza.»
Poi scoccò a Danny una rapida occhiata indagatrice, «Quindi quella è la sua fidanzata?»

Il giovane scoppiò a ridere, «Francis con una fidanzata? Papà, sembra quasi che non conosci tuo figlio!»

«Vabbè, sai cosa intendo... Esce con lei?»

«Beh, perché no? Direi che è parecchio probabile che la frequenti... come ogni altra ragazza al mondo, d'altronde!»

Phil scosse il capo ridacchiando, «Ancora non mi spiego da chi abbia preso tuo fratello...»

«Dai, è adulto e vaccinato. Finché nessuna si presenta da lui con paio di figli, lascia che si diverta!»

L'uomo sospirò puntando gli occhi al cielo, poi si sforzò di cambiare discorso: «E voi invece?» Gli lanciò un'occhiatina furba.

«Noi chi?»

Puntò il pollice verso i sedili posteriori, occupati dalla ragazza che continuava a ignorare i loro discorsi, persa nei suoi pensieri con gli occhi fissi sul finestrino.

Le guance di Daniel si tinsero all'istante di rosso. «Noi lavoriamo insieme. Siamo una specie di squadra. Sai, tipo poliziotto buono e poliziotta cattiva.» Ridacchiò cercando di risultare disinvolto.

Il padre lo fissò poco convinto.
«Non mi hai mai detto però di cosa vi occupate.»

«Oh, niente di che... indagini, pedinamenti... le solite cose che fa la CIA...»

«Tipo?»

Danny sorrise sempre più imbarazzato, portandosi d'istinto una mano sulla nuca, «Tipo... beh... te l'ho detto... indagini... interrogatori...»

La voce di Eve si fece strada dai sedili posteriori: «E tante altre belle cose di cui purtroppo non siamo autorizzati a parlare, perché abbiamo firmato un accordo di riservatezza.»

«Esatto! Esatto! Segreto professionale! Comunque niente di troppo pericoloso... tranquillo, pa'... Poi per il momento per la maggior parte del tempo studiamo e ci alleniamo, quindi niente di che.»
Cercò di scacciare il nervosismo e cambiare argomento: «Invece mi ha detto mamma che i nonni sono via.»

«Sì, quest'anno passano le feste in Germania dallo zio. Quindi a Natale saremo solo noi quattro. Cinque, anzi.»

Rincuorata dal fatto che Phil aveva distolto l'attenzione dal loro discutibile lavoro, Eve tornò a guardare il panorama scorrere rapido al di là del guardrail, immerso nel buio di quel tardo pomeriggio d'inverno.
Daniel le aveva raccontato che i nonni paterni vivevano in Italia, a poca distanza da loro. Suo zio, invece, subito dopo la laurea in ingegneria era andato a lavorare in Germania, patria natia della madre, stabilendosi lì in pianta stabile con moglie e figli.
Non aveva dubbi sul fatto che il giovane stesse parlano di quei nonni.
La mamma di Danny non aveva più rapporti con i genitori e i due fratelli, per delle vecchie liti risalenti a molti anni prima.
Il giovane l'aveva informata di ciò in aereo, poco prima di atterrare, probabilmente solo per sincerarsi che la collega non tirasse fuori l'argomento. Quel logorroico aveva stranamente omesso i dettagli, cosa piuttosto insolita per lui. Era stato sufficiente quello a farle capire quanto fosse delicato l'argomento.
Il compagno avrebbe anche potuto evitare di specificare quanto la donna si infastidisse quando le venivano fatte domande riguardo la sua famiglia. I loro rapporti si limitavano al minimo indispensabile. Già quando era bambino vedeva i nonni materni raramente, solo per qualche visita di rappresentanza per compleanni e ricorrenze. Crescendo, quegli incontri erano diventati sempre più occasionali, fino a limitarsi a fugaci e forzate telefonate di auguri.

Sentì i due uomini scoppiare a ridere.
Voltò d'istinto la testa verso i sedili anteriori. Anche la loro risata era simile.
Daniel non aveva ereditato nessun tratto orientale dal padre, per metà giapponese, ma aveva attinto a man bassa per quanto riguardava allegria e socialità.

Scosse il capo sospirando, mentre un sorrisetto si dipingeva inconsciamente sulle sue labbra.
Si girò a guardare oltre il finestrino, con la guancia appoggiata alle nocche.
Se si era abituata a Ray, poteva tranquillamente abituarsi ad altri tre come lui; in fondo, il tempo passato con quel maledetto logorroico non era poi così male.


Eccomi con una nuova saga che fino all'ultimo non sapevo se pubblicare o no.

Inizialmente doveva essere solamente un capitolo bonus (in ogni serie che si rispetti ci deve per forza essere lo "speciale di Natale"), poi, non so come, la sola bozza è arrivata a 15mila parole... alla faccia del capitoletto... 😅

(Lo ammetto... avevo troppo bisogno di scrivere qualcosa di più spensierato dopo il Nine-Eleven. Proprio per questo motivo questo "capitolo bonus" è venuto così lungo: tra una parte drammatica e l'altra passavo qui per sfogare il mio bisogno di leggerezza e ironia)

Ero in dubbio se pubblicarlo in un libro a sé stante, ma uno spin-off leggibile solo una volta arrivati al capitolo 70 mi sembrava un po' stupido; quindi intanto lo pubblico qui, poi deciderò il da farsi, magari mi direte anche voi se vale la pena lasciarlo, oppure spezza troppo la trama e il clima del libro (ma d'altronde, ho un interno nuovo volume da riempire di capitoli, quindi perché non approfittarne?! XD )

Sarà una saga di "momenti di vita vissuta" e un'opportunità per conoscere un po' di più Daniel e rispondere a domande che nessuno si era mai posto, tipo "ma il fratello di Danny è davvero così figo come si dice in giro?" oppure "Eve preferisce i gatti o i cani?"... Ok, anche cose serie e piuttosto importanti che non sto qui a spoilerare.

Spero che possa piacervi e regalarvi una boccata d'aria e leggerezza dopo le rivelazioni del finale del volume 1 e l'incazzatura per lo scorso capitolo... 🙄

A presto!

^w^



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