Capitolo 9 - Vacanze di Natale (Parte 6)

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Il cellulare di Daniel vibrò sul tavolo ed emise un breve squillo.

«Finalmente è arrivato!»
Si alzò di scatto dalla sedia della cucina e si rivolse ai genitori, a cui nell'attesa stava facendo compagnia mentre cenavano, «Noi andiamo! Non so a che ora torniamo, comunque ho le chiavi.» Li congedò con un inchino e chiuse la lampo della giacca, che aveva già indosso.
Si incamminò in salotto, diretto verso il portone, ma dopo qualche falcata si voltò, insospettito dal silenzio, e si lasciò sfuggire uno sbuffo di disapprovazione.
Tornò sui suoi passi fino a fare capolino dalla porta vetrata, «Eve, andiamo!»

La ragazza era accucciata a terra nell'angolo opposto della cucina, probabilmente nel vano tentativo di mimetizzarsi con i mobili, intenta a coccolare Neko, che in un tripudio di fusa le si stava strusciando sulle gambe.
Si voltò a guardarlo da oltre la spalla con aria di falsa innocenza e uno sguardo da bambina che oscillava tra il "merda, mi ha scoperta!" e il "ma quindi devo venire anch'io?".

«È inutile che fai la finta tonta. Dai, alzati, che ci sta aspettando.»

Mugugnò contrariata mentre si tirava su, «Va bene... usciamo pure con quello che si s-»

Venne fulminata dal giovane, che accompagnò l'occhiataccia con un lieve cenno del capo verso i genitori, mentre mimava con le labbra un "hai promesso".

Emise un muto sbuffo, «Ok... ma solo perché non vedo l'ora di mangiare una pizza italiana.»

Mentre lui scompariva di nuovo oltre la porta, si voltò verso Philip e Diana per salutarli con un timido gesto della mano, poi si dilungò a elargire un'ultima grattata sulla testa del gatto, che le si era seduto di fronte e la fissava colmo di aspettative con i suoi irresistibili occhioni dorati.

Quando uscì dal portone, Daniel era già oltre il cancello, intento a parlare con un moro che lo superava di oltre una decina di centimetri. Doveva rasentare il metro e novanta.
Li raggiunse a passo lento, per poi fermarsi a un paio di metri da loro, a distanza di sicurezza, accanto alla Clio blu del nuovo arrivato, quasi sperasse di passare inosservata.

Rimase a guardare i due, illuminati dalla fredda luce del lampione. Danny era raggiante, pareva davvero felice di rivedere l'amico.
Non riusciva davvero a capire quell'italiano, la sua socialità innata e la capacità di andare oltre. Dire che avesse perdonato Andrea era eccessivo, semplicemente aveva lasciato stare.
Aveva passato tutto il pomeriggio a spiegarle che non gli importava più niente di Simona. Era una cosa del passato, di quel passato che aveva lasciato in Italia, mentre il suo presente era alla CIA, così come il futuro.
Per lei tutto ciò non aveva senso, lei che viveva solo per il passato e per la vendetta.

Le aveva anche detto che nel momento in cui aveva accettato di trasferirsi negli USA, già sapeva che la storia con la ex non avrebbe potuto avere futuro, anche se aveva continuato a illudersi del contrario.
Forse, fra tutte, quella era l'unica argomentazione che le era parsa sensata.
In fondo, che ne sapeva lei di relazioni? Era l'ultima persona al mondo che poteva criticare la sua scelta di dimenticare quel breve avvenimento, per dare importanza solo agli anni passati al fianco dell'amico d'infanzia.

Non avrebbe mai capito quel giovane, ma non poteva fare altro che rispettare la sua scelta. Così, controvoglia, gli aveva promesso che quella sera non avrebbe tirato fuori l'argomento con Andrea né lo avrebbe insultato a riguardo.

Lo notò rabbuiarsi e iniziare muovere le mani dentro e fuori da tutte le tasche.

«Merda, ho dimenticato il cellulare sul tavolo... Torno subito!»
Daniel si voltò per correre in casa, ma dopo un paio di passi si rivolse di nuovo all'altro: «Oh, Andrea, lei è Eve!»
Puntò l'indice sulla ragazza, che gli scoccò un'eloquente occhiata che pareva a tutti gli effetti implorarlo di non lasciarla sola con quel tipo.
In risposta le fece un gran sorriso e sfrecciò in direzione del portico.

Lo guardò sconsolata armeggiare con la porta, poi si voltò di scatto nell'altra direzione, richiamata dallo schiarirsi la voce di Andrea.

«Hello!» Il moro l'aveva raggiunta e le stava tendendo la mano, con un amichevole sorriso incorniciato da una folta barba nera, che l'avrebbe fatto apparire più maturo della sua età, se non fosse stato per i vispi occhi scuri e i capelli a spazzola che gli donavano un'aria da ragazzino.
«Nice to meet you, Eve!» (Piacere di conoscerti, Eve!)

Lo fissò stranita, mentre cercava di non ridere per la sua imbarazzante pronuncia. Era certa che il compagno gli avesse detto che lei parlasse italiano, ma evidentemente...
Un fugace lampo malizioso perturbò le sue iridi.
Ignorò la mano e si sforzò di fare un cordiale sorriso, «Nice to meet you too.» (Piacere mio.)

Rimasero immobili a guardarsi, in un silenzioso imbarazzo.
Sul viso di Andrea era stampata un'espressione concentrata, mentre apriva e chiudeva le labbra alla ricerca di qualcosa da dire.

La ragazza si costrinse a mantenere quel falso atteggiamento cordiale di chi avrebbe tanto voluto fare conversazione ma purtroppo rischiava di non essere capita.
Ripassò a mente la promessa fatta quel pomeriggio: trattava solo di umiliazioni verbali a tema "ex", nessun riferimento a prese per il culo in campo fonetico.
Certo, a quel punto avrebbe potuto dirgli che parlava italiano, ma si sarebbe persa tutto il divertimento. Poi il divario linguistico l'avrebbe salvata dal dover intrattenere delle conversazioni. Nel migliore dei casi sarebbe riuscita a trascorrere tutta la sera in pace, senza doversi sforzare di seguire i discorsi altrui.

Purtroppo, il giovane riuscì a connettere i neuroni e attingere a quel poco di inglese che aveva studiato a scuola. Per spezzare il momento di stallo optò per la cosa più semplice che gli venne in mente: «Do you like Italy?» (Ti piace l'Italia?)

Decisamente molto semplice, alquanto deludente.
Così, però, non aveva fatto altro che confermare le speranze di lei, che decise di tastare ancora un po' il terreno: «Oh, yes! I could't wait to come here. Italy is such an amazing country, full of history and breathtaking landscapes! And in Christmas time it gets a magical atmosphere...» Si trattenne dal ridere alla vista dello sguardo dell'altro, che tendeva sempre di più verso lo sconvolto nell'udire quell'ammasso di suoni per lui privi di significato.

«Oh... bello... beautiful...»

«Yes!»

«Eccomi! Possiamo andare!» Daniel li raggiunse, puntando subito verso l'auto.

«Oh, Danny, potresti chiedere a Eve di ripeterti quello che mi ha appena detto? Che mi è sfuggita qualche parola.»

Si bloccò con la mano stretta sulla maniglia della portiera del passeggero e scoccò ad Andrea un'occhiata perplessa, «In che senso?»

«Le ho chiesto se le piace l'Italia, ma parla troppo veloce...»

Smise di ascoltarlo per girarsi sempre più confuso verso la ragazza, che aveva stampato in faccia il suo miglior sorriso falso, «Eve, cosa sta-»

«What?» (Cosa?) Venne interrotto dal suo credibilissimo tono spaesato.

Roteò gli occhi e si impedì a forza dall'imprecare. Avrebbe dovuto capirlo subito.
Prese a parlare in un rapido inglese, per evitare che l'amico lo capisse: «Cosa sta succedendo? Perché ora parli inglese?»

«Non lo so, è lui che ha iniziato! Mi ha fatto delle domande in inglese e io gli ho risposto nella stessa lingua. La mia è semplice buona educazione.»
Eve esibì un sorrisetto innocente.
«Poi è colpa tua che non hai detto al tuo amichetto che io parlo italiano.»

«Ma certo che gliel'ho detto, è ovvio!»
Si fermò un istante a pensare, mentre l'amico faceva rimbalzare lo sguardo tra i due senza riuscire a comprendere nessuna delle loro parole.
«O almeno credo... Però gli ho detto che eri la mia tutor e interprete, era ovvio che parlassi italiano, no? Magari se l'è solo dimenticato.» Sollevò le spalle, per poi indurire leggermente il tono, «Comunque non sarebbe un problema se tu gli avessi detto subito che sei-»

«Oh, proprio come si era dimenticato che con la tua ex ci stavi già tu?»

Le scoccò uno sguardo accigliato. «Spero tu non stia facendo questa sceneggiata solo per punirlo. Lascia stare e smettila, ti ho già detto che non me ne frega più nulla. Anzi, mi ha fatto un favore, ero troppo cieco per capire che quella storia non poteva più funzionare. Ci sono passato sopra.»

«Avresti dovuto passargli sopra con un tir

«Ehi, ti ricordo che hai fatto una promessa! Non puoi parlare di queste cose stasera!»

«Non dovevo parlare con lui di queste cose!»

Rimasero immobili in silenzio a scrutarsi.

«Allora, cosa ha detto?»

Si voltarono entrambi verso il moro, quasi si fossero dimenticati della sua presenza.
Danny si sforzò di sorridergli, poi cercò con gli occhi Eve: «Which was the question?» (Qual era la domanda?)

«I don't rem-» (Non ric-)

D'un tratto ebbe un'illuminazione: «Oh, sì, l'Italia le piace tantissimo. È da tanto che ci voleva venire. Sai, mi ha letteralmente implorato di portarla qui per le ferie. Se non avessi accettato temevo che si sarebbe nascosta dentro la mia valigia.»

«E come biasimarla!» Andrea scoccò un sorriso a Eve annuendo gioviale con il capo; poi interruppe di nuovo l'amico, che nel mentre stava aprendo la portiera nella speranza di partire il prima possibile, «Allora chiedile cosa le piacerebbe fare qui.»

Daniel si trattenne dallo sbuffare e puntò di nuovo lo sguardo sulla collega, che lo precedette in lingua anglofona prima che potesse aprire bocca: «"Implorato", eh...»

Le scoccò un sorrisetto di sfida, «Se tu fai il tuo gioco, allora io faccio il mio! E ti conviene smettere subito, perché non ho intenzione di passare tutta la sera a farvi da interprete solo perché tu ti diverti a prenderlo per il culo.»

«Ehi, io ho passato mesi al lavoro a farti da interprete! Che vuoi che sia una serata?»

«Che c'entra, io davvero non capivo.»

Eve lo fissava con quella sua faccia da attrice. Dall'espressione e dal tono nessuno avrebbe potuto dubitare che in quel momento stesse decantando le qualità del Belpaese. «Beh, ora sopporti un po'. E non dimenticare tutti i mesi in cui lui ha preso per il culo te mentre si incul-»

«Ok, va bene! Allora divertiamoci
Danny le scoccò un sorrisetto malvagio, poi si voltò verso l'amico: «Eve dice che il suo sogno è vedere la torre di Pisa mentre fa un giro in gondola nella fontana di Trevi!»

«Ehi! What the f-» (Ehi, ma che caz-)

La ignorò, «E soprattutto non vede l'ora di assaggiare la vera mozzarella italiana!»

Andrea ridacchiò e gli assestò una lieve gomitata sul braccio, «A proposito di cibi tipici... quand'è che le fai assaggiare la tua salsiccia italiana?»

Daniel si pietrificò.
Quella battuta era talmente di infimo livello che il suo cervello non era riuscito a prevederla in tempo per poter fermare il moro prima del disastro.
Il mondo intero si congelò in quell'ultimo istante che gli restava da vivere, mentre il suo viso sbiancava, sopraffatto dal panico.

Vide al rallentatore il volto dell'ignaro amico ammiccare, per poi deformarsi in una risata.
Quel bastardo era fottuto.
Erano entrambi fottuti.
Non avevano nemmeno il tempo di scappare. Eve era troppo vicina.
Avrebbe dovuto ascoltarla e lasciarla a casa col gatto.
Maledetto Andrea e le sue cazzate.

Avrebbe potuto spingere quell'idiota addosso alla ragazza per darglielo in pasto e guadagnare secondi preziosi per mettersi in salvo. D'altronde era disarmata, non poteva nuocergli dalla distanza. Però mentre fuggiva avrebbe potuto scagliargli in testa la borsetta per tramortirlo e raggiungerlo. Chissà se dieci metri di vantaggio sarebbero stati sufficienti per essere fuori dalla portata di un tale bolide? No, meglio venti, come minimo.

Ma non avrebbe potuto fuggire per sempre, prima o poi l'avrebbe preso.
Era tutto inutile, in ogni caso era fottuto.
L'unica speranza rimasta era che Eve fosse troppo ignorante in materia per riuscire a capire il doppio senso di quella battuta.

Dopo un istante che parve infinito, venne trafitto da un verso sguaiato della ragazza.
Voltò a scatti la testa fino a inquadrare il suo viso deformato dalle risa.

«Oh, cazzo, Andrea, questa era tremenda!»

Appena la sentì parlare italiano, il moro trasalì, smettendo all'istante di respirare, e, al contrario dell'amico che ormai era cadaverico, la sua pelle non protetta dalla barba assunse una colorazione purpurea.

«Ray, ho capito perché 'sto qua è il tuo migliore amico: siete proprio una gran coppia di coglioni!»

Daniel uscì dall'apnea, rincuorato da quella risata, ma tutt'altro che sicuro di poter superare indenne la serata.
Fu la sua istintiva loquacità nervosa a rispondere per lui: «Grazie, Eve, e con te che fai la testa di cazzo il nostro trio è finalmente al completo!»

---

Il locale era modesto, una piccola pizzeria di paese a conduzione familiare.
La tranquillità era di tanto in tanto spezzata dal via vai di persone che si fermavano solo un paio di minuti per poi uscire con una pila di cartoni in mano. Erano in pochi quelli che prendevano posto nella saletta accessibile attraverso un'ampia arcata in mattoni subito accanto al bancone. Non era nulla di speciale, ma le pizze erano cariche di ingredienti di qualità.

Appena erano entrati, l'energica proprietaria aveva salutato Daniel con entusiasmo, chiedendogli come se la passasse negli USA, così come il marito che solo per qualche istante aveva lasciato la sua postazione accanto al forno; finché non era stata costretta a rispondere al telefono per prendere l'ennesimo ordine, e i tre giovani avevano potuto andare a sedersi.

«Eve, c'è qualche problema? La pizza non ti piace?» Andrea per la prima volta le rivolse di nuovo la parola; dopo la pessima battuta aveva evitato anche solo di incrociare i suoi occhi.

Venne raggiunto da uno sguardo stranito, «No, perché?»

Fissò eloquente il piatto di lei: la pizza era ancora intonsa, mentre gli altri due erano quasi a metà.

«Tranquillo, Andre, fa sempre così. Sta spezzettando tutti gli ingredienti per distribuirli uniformemente in ogni morso. Lo fa con qualunque cosa, dovresti vederla mangiare le brioches.»

«È un comportamento un po' da serial killer, sai?» L'amico ridacchiò, rivolto verso la ragazza.

A quelle parole a Daniel andò di traverso il boccone e iniziò a tossicchiare mentre il viso tendeva al bordeaux. Come era possibile che ogni volta che quell'idiota apriva bocca, riuscisse sempre a dire qualche pericolosa cazzata?

Eve non si scomposte, fece un sorrisetto sadico e assottigliò lo sguardo, puntandolo negli occhi del moro mentre poggiava il mento sulle nocche. «Chissà...» gli rispose con voce bassa e lenta, fin troppo sensuale, «Forse lo sono davvero. Per questo dovresti stare attento a ciò che dic-»

Il collega le assestò un calcio da sotto il tavolo che la costrinse a cancellarsi dalla faccia quell'espressione, poi tentò di distogliere l'attenzione dall'argomento punzecchiandola con ironia: «Eve, se vuoi faccio un salto a casa a prendere il frullatore, così puoi direttamente tritare tutto e farci un bel frullato. Così sì che i sapori si amalgamano tutti per bene!»

Lei gli scoccò un'occhiataccia, mentre si costringeva a non rispondere a quel calcio con un pugno in pieno viso. «Ray, lo sai che mi piace così, quindi pensa alla tua di pizza e fatti i cazzi tuoi!»

«Cosa significa Ray?»

Daniel distolse lo sguardo di sfida dalla ragazza, richiamato dalla timida domanda dell'amico, «Niente, è solo un soprannome. Lei mi chiama così.»

«Perché?»

Sollevò un angolo della bocca in un ghigno e gli rispose mentre guardava negli occhi la collega, «Perché Eve non si ricorda il mio nome!»

«Ma che cazzo dici? Lo so benissimo come ti chiami, coglione!»

Si girò di nuovo verso l'amico, «Ecco, quello invece è il mio secondo soprannome!»

«No, quello è un dato di fatto!»
Andrea reagì alla ribattuta della ragazza con un verso acuto.
Lei continuò senza nemmeno farci caso: «Comunque, Ray, ti ricordo che voi due non vi vedete da mesi... perché non parlate dei fatti vostri e mi lasci in pace?»

«Finalmente posso lamentarmi di te con qualcuno che mi capisce... e lasciami almeno questa soddisfazione! Ti devo sopportare ogni giorno!»

«No, sono io che devo sopportare te e la tua maledettissima lingua lunga ogni cazzo di giorno!»

Il moro seguiva sghignazzando il loro battibecco facendo rimbalzare gli occhi dall'uno all'altra, come se stesse assistendo a un'esilarante partita di tennis; finché eruppe in una risata sguaiata: «Siete sicuri di non stare insieme? Perché litigate proprio come due veri fidanzati!»

Daniel si ammutolì, arrossendo all'istante.
E tre!
E la serata era appena iniziata.
D'altronde avrebbe dovuto saperlo che quell'idiota non si sarebbe risparmiato sulle battutine.
Non sarebbe arrivato indenne a fine serata, né Andrea né lui.

«Ma noi non stiamo litigando.»
La risposta posata di Eve lo scosse.

Scoppiò in una risatina nervosa, «Vero! Se stessimo litigando te ne accorgeresti, e faresti meglio ad allontanarti.»

«Perché?»

La ragazza rispose con naturalezza: «Perché ci staremmo prendendo a pugni, come minimo... e solo perché qui attorno non avremmo nessuna valida arma a disposizione... anche se questi coltelli non sono niente male...»

Andrea la guardò sghignazzando, «Bella battuta!»

«Ma io non stavo scherzando.»

La voce seria di Eve gli spense l'ilarità. Si voltò verso Daniel per cercare un cenno di complicità, ma lui stava sorridendo imbarazzato e annuì con un cenno del capo, confermando le parole della collega: «Io te l'avevo detto che non è una ragazza normale, ma tu non ti fidi!»

«Ehi, è così che parli di me ai tuoi amici?» ruggì minacciosa, battendo il manico del coltello sul tavolo, e lo guardò negli occhi con aria di sfida.

Il moro trasalì con un'istintivo scatto allarmato, Danny invece scoppiò a riderle in faccia, «Perché? hai un modo migliore per descriverti in poche parole?»

Lei rimase immobile a scrutarlo in cagnesco, poi cedette, contagiata dalle sue risa.
Scosse il capo, mentre le labbra si incurvavano a imitare le sue, «No, ma resti comunque un coglione!»

«E ne vado fiero!»

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