Capitolo 4

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« Ero partita dalla mia casa in cerca di fortuna, una ricca eredità che mio marito aveva lasciato nei pressi della palude nera, alle porte del villaggio più remoto.

Partì con in mano poca roba, avevo lasciato tutto alle mie spalle.

Non sapevo neanche la direzione. Percorsi le strade che percorrevo ogni giorno con fare pensieroso, ma nessuno se ne accorgeva. Ero come invisibile.

Mi diressi al confine e lo superai, andai oltre quelle contrade e percorsi strade remote, che attraversavano deserti e montagne.

In mano tenevo una lettera, che mio marito defunto mi aveva spedito non molto tempo prima. Giunsi al passo di una montagna. Il ponte che collegava le due sponde era tutto rovinato, barcollava.

Il gancio delle funi appese ai pali piantati nel terreno non trasmettevano fiducia nel chi era così folle dal volerlo attraversare. Ma io avevo in mente un preciso obiettivo: l' oro. Lo volevo.

Presi coraggio, trassi un bel sospiro e chiusi inizialmente gli occhi. Poco prima di mettere piede sul legno penzolante, sentì una voce.

-" Ehi! Attenta!" – disse.

Mi voltai di scatto spaventata, reggendo saldo nel pugno della mano destra la fune.

Non vidi nessuno.

-" Chi ha parlato? Chi è?" – dissi.

-" Sono io, volgi in basso il tuo sguardo, mi vedi?"- replicò la voce.

Era un coniglietto.

-" Un coniglio? Ma gli animali non parlano!" – replicai a me stessa. Pensai che stavo impazzendo.

-" Non stai impazzendo, guardami! Parlo davvero!"-. Rimasi scioccata, aveva appena letto il mio pensiero.

-" Che cosa sei? Una creatura magica?" – chiesi.

-" Io sono te!" – rispose.

Rimasi allibita. Avevo forse le allucinazioni, ma sgranando gli occhi e sbattendo le palpebre, notavo con sorpresa che il coniglio restava lì.

-" Perché sgrani gli occhi così? Sei incredula. Bisogna per forza vedere per credere nelle cose? Io sono te, e ci sono anche se non mi vedi!" – replicò il coniglio con tono serio.

Poi si fece vicino a me. Era così piccino, tenero e soffice. Sembrava un pupazzo. Il pelo bianco, le orecchie rosa, occhi azzurri limpidi. Dietro aveva un dolcissimo arruffo di peli morbidi che formava la sua coda a modo di pon-pon.

Il coniglio dolcemente drizzò le orecchie, quasi come se attendesse un suo dire. Non proferirono parola per qualche istante, poi mosse gli occhi in direzione del ponte pericolante, si schiarii la voce con un leggero colpo di tosse e disse:

-" Signor coniglio, sono molto contenta di averla conosciuta, ora vado. Devo passare dal ponte." – .

-" Non lo farei, se fossi in te.." – disse il coniglio a sua volta.

-" Ma è la strada più veloce!" – rispose – " Devo raggiungere l' altra parte del bosco entro l' alba oppure perderò il mio tesoro!" -.

-" Ti consiglio di fare il giro a largo, spesso l' importante non è la metà ma il viaggio." – disse.

Non gli diede retta.

-" Sì, vero, farò così"- dissi, quasi per farlo felice. Il coniglio allora la salutò ed ella neanche il tempo di voltarsi che era sparito.

-" Stupido coniglio, io passo dal ponte!" – disse fra me, e così fece.

Il ponte era in netto stato di degrado, passo dopo passo, sentivo sotto i suoi piedi il ponte cedere. Aveva la spaventosa sensazione di cadere nel vuoto; come quando ci si addormenta, che il cervello sogna e nel sognare finge di cadere nel vuoto da chissà quale altura e allora ti svegli, tremante. Come le gambe di chi fa quel sogno tremano, così tremavano le sue. Guardava in basso, sgranava gli occhi: non era un sogno, neanche un incubo, purtroppo. Le corde oscillavano, tese. Qualche filo della fune si staccò. Poi un altro. Poi ancora un terzo.

-" Scappa!" – disse una voce.

La ascoltai, senza la minima esitazione. Il vecchio legno fragile cadeva a pezzi dietro di lei, le corde cedettero. Giunse con un balzo all' altra sponda, quando chiudendo gli occhi, pregò Iddio di non cadere nel burrone. Ma quando atterrò sentì erba fresca sul suo viso, allora si alzò e felicemente constatò di essere arrivata dall' altro lato. Poi si affacciò al precipizio e guardò il ponte scomparire nell' oscuro baratro. Un tonfo. Poi il nulla. 

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