(Marco) Devi concedermelo

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Non mi ricordo un cazzo dello spettacolo. Jennyfer si era raccomandata di arrivare sobrio, e lo ero. Ma ero annebbiato dalla paura, dalla tensione, dall'impossibilità di incassare un altro vaffanculo da Maia.

Quasi non la guardai, sul palco. Sono sicuro fosse bellissima, perché bellissima era l'aggettivo che mi affiorava sempre sulla lingua quando la vedevo, ogni fottuta volta, sempre.

Jennyfer era seduta di fianco a Christian: non si esibiva più da quando era entrata nel secondo trimestre, e sono sicuro fosse bellissima anche lei, perché era l'unica a poter far concorrenza a Maia, in questo.

Ma ricordo solo che lo spettacolo non finiva più, che volevo uscire, che volevo respirare aria pulita, che mi infastidiva tutto. Scattai in piedi non appena si riaccesero le luci in sala, e uscii senza partecipare all'ovazione di applausi che sicuramente le ragazze si erano meritate, ma che io sentii solo attutita dalle porte che mi chiusi alle spalle.

Sapevo che Maia si sarebbe dovuta preparare, e che non sarebbe stata pronta prima di un'altra ora, come minimo.

E io in quell'ora non potevo neanche bere, perché non ero certo mi sarei fermato prima di sfociare nell'ubriachezza molesta, senza Christian e Jennyfer a monitorare la quantità di alcol nei miei bicchieri.

Quindi fumai una sigaretta. Poi un'altra, poi un'altra. Poi finii il pacchetto e andai al distributore a comprarne un altro. E ricominciai.

« Smettila. »

Avevo una quantità disdicevole di mozziconi ai piedi, quando Jennyfer mi diede lo stop.

Smisi di fumare.

« Ci siamo? » le chiesi.

« Sì, ma ficcati una mentina in bocca » mi disse. « Col cazzo che Maia ti limona se puzzi come una locomotiva a vapore. »

Non so come, ma mi fece sorridere.

La cena era prevista in una sala poco distante. L'unica cosa che so di quella sala, è che non era la stessa in cui cenammo l'anno prima. Non ricordo altro, perché lì dentro la mia permanenza ebbe la durata di una manciata di secondi.

Giusto il tempo di entrare, vederla, incamerare la scena di lei, avvolta in un abito da schianto, che prendeva un bicchiere dalle mani del suo ex, sorridendo. Un'altra frazione di secondo la spesi per vedere il suo sguardo incrociare il mio, il suo viso assumere una meravigliosa smorfia di stupore e illudermi che sulle sue labbra fosse davvero uscito il mio nome. Ma forse lessi male il labiale sulla sua bocca che avrei voluto succhiare come una fragola di stagione; forse in realtà aveva solo imprecato. Mi girai, sperando di dimenticare il sorriso che aveva rivolto a un uomo che non ero io, consapevole che invece quella scena mi sarebbe rimasta scolpita nel cervello fino alla macchina, poi fino a casa, e anche in cucina e lì sarebbe rimasta fino al quinto o sesto bicchiere di roba che corrode fegato e cervello. Al settimo bicchiere, forse, il ricordo di lei che sorrideva a lui avrebbe iniziato a sbiadire. Avrei potuto proseguire a contare le bevute, perché il giorno seguente non ero nemmeno reperibile.

Nel tragitto fino alla macchina cercai di fare mente locale sulla quantità di alcolici custoditi in casa mia, iniziando a sospettare che Christian avesse fatto piazza pulita in mia assenza. Io, al suo posto, lo avrei fatto. Quindi senza dubbio lo aveva fatto anche lui.

Di conseguenza mi sarei dovuto fermare a bere fuori, ma ero anche in macchina e quindi poi...

« Marco, fermati. »

Inghiottii, ero giunto alla macchina. Sentivo la chiave pesare come un macigno nella tasca del completo che Jennyfer aveva decretato essere quello giusto. E quella, quella era la voce di Maia, e il suo peso era anche maggiore di quello della chiave, della macchina, del pianeta. Perchè mi aveva detto di fermarmi. E io mi ero fermato. Perchè non volevo altro che lei mi chiedesse di fermarmi.

« Marco... » la sentii avvicinarsi e scattai come una vipera. La presi per un polso e la incastrai tra il mio corpo e lo sportello. Non aveva pura di me. Io. Io avevo paura di me.

« Maia, mi sono fermato. Ma non puoi assolutamente seguirmi in un parcheggio buio e vuoto, splendida come solo la cazzo di dea greca dell'amore di cui mi hai fatto scordare il nome perché tanto dovrebbe portare il tuo, di nome, per dirmi qualcosa che non ha a che fare con il tuo ritorno tra le mie braccia. Non so neanche se ho detto una frase sensata. »

Il suo respiro era regolare, avvertivo il suo fiato solleticarmi il collo. Era così vicina. Non abbastanza. No. Non abbastanza vicina, dannazione.

« È sensata » mi rassicurò.

« Non posso stare senza di te. Te l'ho già detto, vero? »

« Sì, Marco. Me lo hai già detto. »

« E tu invece puoi. »

« A quanto pare. »

« Avrei altre cose da dirti. »

« Dimmele. »

« Ma prima ho una cosa scomoda da chiederti. Così puoi mandarmi a fanculo di nuovo, senza farmi sprecare fiato. »

Mi accarezzò. Per me fu come uno schiaffo.

« Ale è venuto con i bambini, che non hai visto perché sono nel cortile posteriore con Bianca. E non c'è altro da aggiungere in merito alla sua presenza. Non ti mando a fanculo. Adesso dimmi le altre cose che sostieni di volermi dire, ma sappi che posso mandarti a fanculo anche dopo. »

Non sapevo da dove cominciare. Pensare troppo era un errore e in ogni caso non ne ero in grado. Parlai senza preoccuparmi di dare un ordine logico alle parole.

« Ce ne siamo accorti tutti che mentre io soffro come un cane tu puoi andare avanti lo stesso, Maia. » la vidi muovere la bocca per interrompermi ma la fermai con il tocco leggero della mano sulle labbra. Mi bastava toccarla, per sentirmi meglio. Meglio era ancora molto lontano dall'assomigliare anche solo vagamente a bene. « Quindi lo so, che puoi stare senza di me. E lo sa Jennyfer. E Christian. E lo sa anche il tuo ex marito. Tutti quelli che ti hanno vista lo sanno. Quindi la domanda non è se puoi stare senza di me. La domanda é: tu vuoi stare senza di me, Maia? Perchè dovresti smetterla di dimostrare che puoi fare le cose difficili. Dovresti fare anche quelle che ti rendono felice. Non hai più un cazzo da dimostrare. A nessuno. »

Le lasciai il polso per sfiorarle la coscia sfacciatamente nuda, liscia, invitante. Mi lasciò fare.

« Adesso sono io che devo dimostrarti qualcosa. Ma tu devi concedermelo. Concedimi di dimostrarti quanta voglia ho di vedere un nuovo disegno di Lucas attaccato al mio frigorifero. Quanta voglia ho di vedere i Ninjago di Mattia disseminati sul tappeto in sala. Quanta voglia ho di tornare a casa con due pacchetti di carte Pokèmon anziché due casse di birra. Lascia che ti dimostri quanta voglia ho di vedere i libri di Jo Nesbo abbandonati sul divano, e quelli di Ann Rice rubare spazio ai manuali di medicina. Concedimi di vederti la mattina mentre fai quella cosa perversa con la cioccolata calda e i biscotti al cacao, e io ti prometto che non ti farò mai mancare la panna montata. »

Avvicinai il mio bacino al suo. Mi lasciò fare.

« Ti prego, Maia, concedimi di sentire le tue mani fredde che cercano di scaldarsi tra le mie, e io ti prometto che lascerò una coperta di pile in salotto anche in luglio. »

Le poggiai una mano sul fianco, mentre l'altra le sollevava l'orlo del vestito per sentire quanto fosse morbida e fresca la sua pelle sotto le mie dita. Mi lasciò fare anche quello.

« Ti prego, concedimi di sentirti ancora mentre mi stringi tra le gambe tutta la notte, ma solo se al mattino sarai ancora lì, a tuo agio anche con i calzini ai piedi e le mutande per terra e il reggiseno disperso chissà dove. »

La mia carezza sulla sua gamba era ormai andata ben oltre, e potevo sentire il cotone della biancheria solleticarmi i polpastrelli. Continuò a lasciarmi fare tutto.

« Ti prego Maia, tu dammi l'occasione, e io ti giuro che avrò meritato ogni secondo di felicità che mi hai regalato e che mi regalerai. Ci sarà una cazzo di playstation accanto al Tv e farò un sacco di giochi scemi con i tuoi bambini, e a Natale Daniele insegnerà loro a superare tutti i livelli senza perdere nemmeno una vita, mentre io sparecchierò la tavola e tu riempirai la lavastoviglie in quel tuo modo totalmente disordinato e incasinato che occupa il doppio dello spazio, e io non ti dirò niente, anche se morirò dalla voglia di sistemare quei dannati piatti in modo che se ne stiano dritti e non sembrino lanciati dentro come birilli. Perchè tu fai le cose a modo tuo e non c'è niente di noioso e ordinario in quello che fai. »

La mano che le avevo posato sul fianco divenne vorace e feci fatica a non stringermi il suo corpo addosso. La accarezzai tra le cosce e vaffanculo, mi lasciò fare anche quello e io inziavo a crederci. Perchè vedevo il suo broncio assumere le sembianze di un sorriso, e i suoi occhi non mollavano i miei mentre le raccontavo di come ero disposto ad amarla da lì all'eternità.

« Cazzo, lascia che ti possa guardare mentre serpeggi tra un palo e un telo, lascia che ti guardi sui cataloghi di bikini e lascia che ti guardi mentre balli con Jennyfer e lascia che mi assicuri che nessuno ti guardi come ti guardo io perché solo io vorrei bere dagli occhi il tuo corpo, ma concedimi anche di essere un po' compiaciuto di poterti anche toccare, e leccare, e mordere mentre gli altri al massimo possono sognare di farlo. Non sei mia e non sei un trofeo e non posso esibirti ma non è colpa mia se sei bellissima e io non riesco a non essere orgoglioso di aver goduto di ogni parte di te e di essere stato l'ultimo, finora. »

Quasi mi appoggiai a lei con tutto il mio peso, bisognoso di riappropriarmi degli spazi che ci avevano diviso. E lei mi lasciò fare. Sì, ancora. Sì, di nuovo.

« Cazzo, Maia, se sei stata felice con me almeno la metà di quanto lo sono stato io con te, smettila di calpestarmi perché sono uno straccio e ora che non voglio più riempire il tuo vuoto con altre donne lo sto riempiendo con i vizi che fanno di un uomo un derelitto. O stai con me, e mi ami e ti lasci amare, oppure mi stai lontana, lontanissima, non ti mostri più in tutto il tuo splendore, sorridendo a un altro, non mi segui in un parcheggio, non mi rispondi al telefono, non mi chiami, non mi parli. Stai dove non ti posso né vedere né sentire, perché se ti vedo e ti sento io ti desidero e non è una mancanza quella che sento quando realizzo che non posso averti, ma un cazzo di dolore acuto che, ti giuro, non posso gestire. »

Mi fermai. Avevo detto tutto. Avevo ancora le mani sul suo corpo.

« Avevi un sacco di cose da dire, doc. »

« Sì. »

« Potevi dirle tempo fa. »

« Sono una testa di cazzo. »

« Mi avevi convinta già quando hai detto che volevi un disegno di mio figlio sul tuo frigo. Ma è stato bello sentirti dire che vuoi anche i Ninjago di Mattia sul tuo tappeto. Scoprirai quanto è doloroso calpestarli con i piedi scalzi. »

Sentii distintamente lo stomaco fare una capriola.

« Lo scoprirò? »

« Sì. Lo scoprirai. Puoi baciarmi, doc. Ma sia chiaro. Niente playstation finché Mattia non va alle medie. »

La baciai come fosse la prima volta, e in un certo senso fu la prima volta. Avrei voluto cavarle il vestito in quel parcheggio, ma Maia ebbe la decenza di farmi notare che ci avrebbero arrestati.

Venne a casa con me.

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