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Nei giorni seguenti non feci che ripensare all'avvertimento di Anita. Diffida dalle apparenze, aveva detto, e questo mi spingeva ancora di più verso di lei. Ero attratta da ciò che quella ragazza sembrava nascondere, sempre se davvero nascondeva qualcosa.

Eppure era testarda quanto me e non mi rivolse più la parola se non per un saluto frettoloso. Evitava il mio sguardo a tavola e quando mi intrufolavo in cucina per rubare qualche biscotto lei fuggiva senza nemmeno una scusa.

Fu così per qualche giorno. Intanto continuava il mio sfiancante lavoro di pulizie. Quella casa sembrava contenere un numero infinito di stanze, tante che ormai, in quasi una settimana, avevo perso il conto. Il settimo giorno mi ritrovavo a pulire una stanza nell'ala dove la signora Claville mi aveva detto dormivano il padrone di casa e suo fratello. Perciò ero felice, perché curiosa di riuscire a stabilire un contatto con lo sfuggente padrone di casa, che spesso non si faceva nemmeno vedere ai pasti.

La stanza era arredata in stile vittoriano, con mobili scuri e un tocco gotico molto forte. Tutto aveva odore di antico, persino l'intonaco alle pareti di un pallido giallino in contrasto con i toni pesanti del mobilio. Mi chiesi come potesse essere la stanza da letto di Adam Hale e se un giorno mi sarei occupata io della sua pulizia, quando la signora Claville fece irruzione con uno sguardo un po' meno duro del solito in volto. «C'è un lavoro più importante da fare, ragazza. Vieni con me.»

La seguii senza fiatare, chiedendomi cosa fosse accaduto. Mentre mi conduceva per i corridoi la signora Claville mi disse: «Ti sto portando nella stanza del padrone. Pulisci tutto senza guardarti attorno e vattene senza porre domande. Intesi?»

«Sì, signora Claville.» Nella camera del padrone. Ero così curiosa che scordai per un attimo che mi era appena stato detto di non guardarmi attorno e mi immaginai Adam Hale dormire in una stanza lugubre dalle pareti gialline, permeata da un odore antico come quella di cui mi stavo occupando.

Invece rimasi sbalordita trovandomi davanti qualcosa di completamente diverso. Oltre una porta vecchia come le altre c'era una stanza enorme, il triplo di una normale camera da letto matrimoniale, ammobiliata in toni chiari e dalle fattezze moderne. Con una gomitata la signora Claville mi ricordò che non dovevo guardarmi in giro, ma io non ce la feci e con mille, brevi, occhiatine, colsi l'essenza della stanza. Candore. Un gusto minimalista nel letto con testiera sottile trapuntata, nel guardaroba bianco laccato, in un solo quadro che occupava la parete di fronte al letto e raffigurante un lago grigio su sfondo nebbioso. Vi erano anche una cassettiera e un tavolino con due sedie e in un angolo una libreria, una poltroncina e una lampada da lettura. Il tutto però riportava linee decise, moderne, squadrate, persino la poltrona. Non un accenno d'antiquariato. Una luce fredda avvolgeva la stanza, rendendola comunque un mortorio.

«Pulisci per bene e poi torna dov'eri prima se ricordi la strada, altrimenti chiamami.» La signora Claville mi aveva consigliato di tenere sempre il cellulare con me, per poterla chiamare in caso mi perdessi in quel labirinto di stanze. «Sissignora.»

La signora Claville mi indicò il pavimento vicino al letto e se ne andò. Solo allora mi accorsi del sentore acido che permeava l'atmosfera della stanza e di un odore come di chiuso. Guardai il pavimento e mi salì la bile in gola quando vidi la pozza di vomito ai piedi dell'enorme letto. Vicino c'erano uno straccio e un secchio.

Mi avvicinai, d'improvviso incuriosita nonostante la consapevolezza di dover pulire quello schifo. Chi si era sentito male? Il padrone? La signora Claville aveva detto che era la sua stanza, dunque non poteva che essere stato lui, che però non c'era.

"Non guardarti in giro, non fare domande." Ma non ne stavo facendo, ne stavo solo ponendo a me stessa e quella era una mia libertà. Così, mentre ripulivo trattenendo I conati, continuavo a fantasticare su chi si fosse sentito male, su cosa fosse accaduto, e mi chiedevo che cos'avrei fatto se il padrone fosse d'improvviso entrato nella stanza.

E mentre ridacchiavo tra me delle mie fantasticherie non mi rendevo conto che Adam Hale era già entrato e mi stava osservando dalla poltrona dell'angolo lettura, proprio dietro di me.

Ormai avevo terminato di pulire, anche se l'odore acre del vomito era rimasto nonostante il sentore fresco di limone del detergente, così raccolsi il secchio e mi voltai per andarmene. Rimasi di sasso vedendo il mio datore di lavoro fissarmi con occhi di ghiaccio e un sorriso divertito; ebbi l'impressione che stesse fantasticando anche lui su come rendere il mio lavoro ancora più ributtante nei giorni a venire, non fosse per il pallore che decorava il suo volto come porcellana candida. Un volto dai lineamenti raffinati, con zigomi alti e un delizioso mento a punta che faceva sembrare il suo viso a forma di cuore. I capelli, biondo platino, gli ricadevano in ciocche disordinate sul volto, erano simili a quelli del fratello, anche se l'altro li aveva castani. Ma quegli occhi, quegli occhi erano tutt'altra cosa.

Ero rimasta a bocca spalancata, il secchio immobile tra le mani, la schiena inarcata a sostenerne il peso. Sarei dovuta andarmene senza una parola, come aveva ordinato la signora Claville, ma non ce la facevo. Ero pietrificata.

«Un buon profumo di limone» proruppe lui spezzando quel gelido e imbarazzante silenzio.

«S-sì, buon profumo.» Di vomito, avrei aggiunto, ma m'imposi di tacere. "Devo andarmene", compresi, se non volevo subire l'ira della signora Claville.

Abbassai lo sguardo, spostai il secchio su una sola mano e mi diressi alla porta. Quando la aprii però, un piede la bloccava. In effetti la poltrona era vicina alla porta e con le sue gambe lunghe Adam Hale vi arrivava senza problemi.

«Aspetta. Dobbiamo ancora parlare io e te.»

«Dovrei portare questo al suo posto» risposi. Mi resi conto di esser stata sgarbata, così aggiunsi un «signore.»

«Sì, ma io avevo intenzione di scambiare qualche parole con te e tu non dovresti dirmi di no.»

L'imbarazzo salì a imporporarmi le guance. Chinai la testa fino a posare il mento sul collo e lasciai a terra il secchio con dentro lo schifo che aveva ripulito. L'odore risaliva mettendomi la nausea.

«Non intendevo, signore. Io...»

«Volevi solo fare il tuo dovere. Lo so.» Sorrise, e mi accorsi che aveva una bella bocca morbida e denti diritti. Non avevo mai visto un ragazzo tanto bello e particolare al contempo e il mio rossore, a quella consapevolezza, non fece che aumentare.

«Comunque, mi dispiace che tu debba aver pulito. La signora Claville ha un po' esagerato con te.»

Rimasi zitta, anche se pensavo la stessa cosa in quel momento. Mi sentivo proprio male, tra l'imbarazzo e l'odore che penetrava le mie narici delicate. Mischiato al limone, se possibile, l'odore era persino più nauseabondo.

Adam Hale fece per alzarsi, ma ricadde subito sulla poltrona. Sembrava soffrire di un qualche malore, perché notai la sua fronte imperlata di sudore e le mani tremanti che cercava di nascondere raccogliendole in grembo. Forse era malato, mi dissi, perciò avrebbe dovuto riposare. Se la signora Claville mi avesse scoperta a disturbarlo mi avrebbe strigliata per bene.

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