Prologo

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6 mesi prima


Si svegliò nel cuore della notte, in preda alle doglie.

Alzatosi a sedere strinse con forza le lenzuola mordendosi le labbra e stringendo poi i denti per soffocare la fitta che mordeva il suo corpo.

Il respiro affannoso, si accorse che grosse gocce di sudore stavano scivolando dalla sua fronte.

"Forse è davvero stato un incubo, devo calmarmi." Asciugò il sudore con il dorso della mano. Il dolore era passato, così si stese di nuovo.

Si rigirò e rigirò più volte nel letto, sperando fosse solo un incubo, ma la sua mano andò al pancione nascosto sotto il pigiama. Erano trascorsi quasi otto mesi e l'anno prima aveva partorito al settimo.

Una profonda angoscia lo avvinse, l'ultimo spiraglio di speranza in lui morì quando una nuova, forte fitta lo travolse. Si tirò su a sedere un'altra volta, scostò le coperte e cercò con i piedi nudi le ciabatte da camera.

Infilò una vestaglia, la mano destra a sostenere il ventre dolorante, e si avviò alla porta.

Nella camera accanto dormiva la governante. Bussò un paio di colpetti. Bastarono.


Qualche ora dopo era giunto il momento.

Come l'ultima volta, il dolore era davvero intenso. Strinse i denti e afferrò con forza il lenzuolo sotto di lui. Sapeva di doversi liberare di quella cosa, ma non riusciva a spingere, tanto era il dolore che gli attanagliava il corpo in una morsa gelida. Emise un verso strozzato mentre tentava una spinta, ma anche quello sforzo non sortì alcun effetto. Ansimò, ruotando gli occhi per lo strazio.

Oltre le spesse tende di velluto sapeva che il sole stava sorgendo. Avrebbe ormai dovuto attendere la sera per gettare via quella cosa; sempre se fosse riuscito prima nel suo compito di darla alla luce.

Si volse, per soffocare le urla nel cuscino. Così, a quattro zampe, il dolore gli sembrò più sopportabile. Sentì uno strappo e un liquido caldo uscire, così spinse ancora, e ancora.

"Ci siamo", pensò rannicchiandosi e spingendo con tutte le sue forze. Sentì i muscoli addominali contrarsi e poi una dolorosa sensazione di svuotamento, e ancora sangue che usciva dalle sue parti intime ferite.

Si tirò su e volse un solo sguardo all'involucro di pelle e sangue che giaceva tra le lenzuola. Un arto si era spezzato uscendo scompostamente da lui. Era una cosina grande quanto la sua mano, immobile, morta. La avvolse con il lenzuolo, la nascose sotto al letto, poi si lasciò cadere esausto sui cuscini.

Parte del letto era zuppo di sangue, ma era troppo stanco per alzarsi. Giacque per almeno un'ora, senza muoversi.

Ancora una volta si era compiuto il suo destino.


Scese in ritardo per il pranzo. Si era liberato del neonato morto e si era lasciato medicare dalla governante. Come ogni volta lei gli aveva chiesto perché seguitasse a partorire solo, ma la risposta non la sapeva nemmeno lui. Forse, semplicemente, era uno sforzo che preferiva fare solo, o forse si vergognava a mostrarsi tanto sofferente dinanzi a qualcun altro.

Aveva riposato qualche ora, dopo aver indossato pantaloni di tuta larghi e una maglia comoda sotto al maglione scuro e ampio che serviva a nascondere il ventre gonfio.

Sarebbe rimasto ancora a letto, ma lo stomaco brontolava e l'immobilità lo metteva nervoso.

Guardandosi allo specchio vide nelle occhiaie i segni del parto recente; era dimagrito, non aveva un bell'aspetto. Di sicuro la nuova aiutante se ne sarebbe accorta. Quella ragazza si dava da fare, ma era più impicciona del previsto.

A tavola erano già tutti seduti, tranne lei e la cameriera. «Dov'è la ragazza nuova?»

Nessuno parlò.

«Eccomi.» Si volse e lei era lì, con I guanti e lo spazzettone In mano. «Stavo, ecco... ehm, sono in ritardo vero? E il bagno non è di qua.»

Non credeva ai suoi occhi. «Sì, sei in ritardo.» "E molto, considerando che lo sono anch'io." Lei parve imbarazzata, ma sparì e tornò poco dopo ben vestita e senza oggetti tra le mani. Almeno era veloce.

Si sedettero, lontani; lei però ogni tanto gli gettava uno sguardo. Che avesse capito qualcosa?


La notte non riuscì a dormire dai dolori che lo tormentavano. Si era liberato del corpicino, eppure sembrava che quella volta il suo padrone non fosse sazio.

Trascorse tre giorni di sofferenze atroci, finché si convinse a scivolare giù dal letto e a strisciare fino alle sponde del lago.

Mise le mani a coppa e bevve avidamente. Subito dopo il dolore svanì. Allora gli fu chiaro del tutto; quell'anno il padrone richiedeva due tributi.  

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