Capitolo 1

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17 Marzo

-Dovremmo essere in vista della capitale entro poche ore, Generale.- esclamò un giovane Tenente appena entrato nella cabina grande della Leonessa, che dal giorno prima era in alto mare, navigando verso la capitale Rialtina.

-Grazie, Luca.- replicò l'anziano uomo barbuto, sdentato e senza una gamba, steso supino sulla lunga panca imbottita che percorreva in tutta la larghezza della serie di finestre che occupava il coronamento della nave. -Fammi il favore: aiutami a mettermi questa roba.- aggiunse stancamente indicando la sua protesi lignea che giaceva sul ponte ai piedi della panca.

L'ufficiale non disse nulla: si levò la giubba e, adagiatala sullo schienale di una delle sedie, si rimboccò le maniche della camicia ed afferrò la gamba, aiutando il vecchio, che nel frattempo si era messo in posizione seduta, ad infilare il moncherino del polpaccio, tagliato poco al di sotto del ginocchio, all'interno di quella specie di tazza di cuoio imbottito che reggeva la protesi.

Se Domenico Barbaglio, Capitano Generale della Repubblica di Rialto, avesse avuto i denti, probabilmente li avrebbe digrignati per il fastidio provato nell'indossare quello scomodo supporto. Egli strinse infatti gli occhi mentre Luca gli stringeva le cinghie necessarie a tener ferma la gamba.

-Ecco fatto, signore!- esclamò il Tenente appena ebbe finito. -La vedo pensieroso, Generale. Va tutto bene?-

Quel giovane non poteva fare a meno di farsi gli affari degli altri, pensò il vecchio lasciandosi sfuggire un sorriso. Dopotutto però, aveva sempre mostrato di essere un buon ufficiale, quindi Barbaglio decise di concedergli qualche confidenza.

-Oh, nulla di che.- esordì muovendo leggermente la gamba artificiale, come a testarne la solidità. -Mi aiuti ad alzarmi per favore.-

Alzatosi, si mosse claudicando verso un baule, che aprì tirandone fuori una scatola ampia e bassa in legno leggero, che poggiò sul tavolo.

-Diciamo che mi sto pentendo di aver accettato di trasferire la mia ordinanza agli ordini di Mondini...- disse ridacchiando mentre apriva la scatola, contenente la sua uniforme da cerimonia.

-Ah, non si trovava bene con lei, signore?- domandò Luca, capendo al volo che il suo superiore voleva chiedergli di aiutarlo ad indossare lo scomodo indumento.

-No, no. Paolo era un gran bravo ragazzo.- assicurò Barbaglio con tono serio. -Ma soffriva troppo il mare: ho preferito lasciarlo a terra. Me ne troverò un altro magari...chissà.-

Il Generale indossava già i pantaloni bianchi, con una doppia fila di bottoni dorati lungo le cuciture sul fianco esterno delle gambe. Si fece aiutare a indossare il gilet perlaceo, anch'esso ricco di bottoni dorati, con i risvolti sul petto adorni di un leone alato per ogni lato.

In vita il vecchio indossò la fusciacca di seta nera, colore riservato al Capitano Generale e al Principe; gli altri ufficiali la portavano rossa. Luca, che svettava sul Generale di tutta la testa, tanto da sfiorare i bagli della nave, afferrò la giubba, aiutando Barbaglio ad indossarla. Essa era di un blu scuro intenso, con ricami dorati sul petto, adorno di diverse medaglie ingioiellate. Non c'erano spalline: Rialto non le usava più da tempo, preferendo ad esse delle semplici fasce intrecciate di cuoio dorato, molto utili anche per tenere in forma le spalle delle giubbe. I gradi erano invece ricamati sulle maniche: tre binari dorati in basso e tre in alto, a metà tra il polso ed il gomito. Tra le due serie di binari vi era un leone alato ricamato in oro, circondato da una serie di foglie di quercia su entrambi i lati, alternate a stelle e ancore, ricamate nel medesimo colore.

I risvolti del petto erano adorni di complessi ricami aurei, come pure i bordi del bicorno, che però Barbaglio non indossò subito: preferì prima pettinarsi i capelli ed aspettare di uscire dalla cabina prima di indossare il copricapo, quasi pacchiano a causa delle piume bianche che ne decoravano la sommità.

-Detesto dovermi mettere questa roba!- esclamò mentre indossava i guanti di seta bianca, sopra i quali si infilò l'anello del comandante in capo delle forze Rialtine, raffigurante una testa di leone con uno zaffiro in bocca.

-Pensi che molta gente pagherebbe una fortuna per poterla indossare, signore.- replicò con un sorriso il Tenente, porgendo al Generale la sciabola d'ordinanza, che egli si agganciò alla cinta. Non aveva mai usato quell'arma: ridicolmente decorata e troppo sottile per poter essere utile in uno scontro. In gioventù Barbaglio aveva combattuto parecchio, compiendo anche imprese non da poco: i tre diamanti neri che aveva sulla sua insegna personale, rappresentavano infatti i tre sovrani che aveva deposto nel corso della sua carriera. Tre diversi regni che avevano dichiarato guerra alla Repubblica e che si erano trovati sbaragliati anche per opera sua.

I tempi però cambiano. La precedente guerra era stata un disastro ed ora, la vittoria con la quale avevano riconquistato le Ipatzie meno di un mese prima, aveva sì ridato prestigio a Rialto dal punto di vista militare, ma era successo solo per l'impossibilità del Malice di assistere il suo alleato, l'Esfalia, e per la quasi completa distruzione della flotta di quest'ultima a causa di un uragano.

Anche così, le perdite subite in battaglia non erano certo state trascurabili, il vecchio se ne era reso conto. Non lo avrebbe mai ammesso pubblicamente, ma aveva ormai capito che una riforma dell'addestramento dell'Esercito era necessaria da tempo. La Marina Rialtina era ancora tra le migliori dell'emisfero ma, con le dovute eccezioni, l'esercito aveva parecchie lacune nella formazione dei suoi soldati.

Si promise che avrebbe parlato in privato col Principe a questo proposito, poi decise di accantonare per il momento i pensieri negativi. Soprattutto per il fatto che qualcuno bussò ansiosamente alla porta della cabina.

-Avanti.- risposero i due quasi all'unisono.

Un Guardiamarina di dodici anni, ancora piccolo e glabro, entrò nel locale con un'espressione funerea sul volto.

-Generale, signore...- disse il ragazzino con la mascella che tremava. -...una goletta proveniente da Rialto ci ha appena segnalato che...- inspirò cercando di calmarsi. -...che il conclave è in corso dall'altro ieri!-

Domenico e Luca si guardarono negli occhi: una simile notizia li aveva lasciati di stucco.

-Il nostro Principe Gradin, si è spento cinque giorni fa!-


*


-Cinque colpi, prego!-

La Leonessa era all'imboccatura del porto: Rialto, capitale dell'omonima Repubblica, sorgeva in prossimità di una scogliera a picco sul mare. Un grande faraglione, che emergeva a circa duecento metri dalla costa e si elevava per oltre ottanta sopra il pelo dell'acqua, era stato unito alla terraferma da un'immenso ponte a campata unica, spesso e massiccio, con una fila di porticati su entrambi i lati, sotto i quali sorgevano le botteghe dei migliori orefici del Paese. La sommità del faraglione, fortificata e spianata, era la sede del Palazzo Ducale e degli edifici delle prefetture e, più in generale, dell'amministrazione politica. Oltre a essi, vi erano solo una grande piazza e tre torri di avvistamento poste sulle estremità dello sperone roccioso. Oltrepassato il ponte, la cima della scogliera riscendeva rapidamente verso il mare, con due cinte murarie concentriche che proteggevano i quartieri più ricchi della città. Appena raggiunto il livello del mare, una cinquantina di isole artificiali completavano la formazione della città. Esse erano state create con la pietra ricavata dallo spianamento del faraglione e della scogliera, ed esse, separate da numerosissimi canali, erano state popolate con la costruzione di innumerevoli palazzi, nei quali vivevano la maggior parte degli abitanti della città.
Tra le isole, alcune più estese delle altre andavano a comporre una sorta di barriera frangionde, che proteggeva i quartieri marittimi dalle onde. Tra esse, spiccava la fortificazione che proteggeva il grande arsenale, dove le migliori navi della Marina di Rialto venivano costruite e varate. Fu in quella zona, dopo l'abbassamento della catena che ne bloccava l'accesso, che la Leonessa andò ad addentrarsi per ormeggiare.

Il vascello, entrando nel porto, fece fuoco come ordinato dal suo comandante: i cinque colpi erano il simbolo del rientro alla capitale del Capitano Generale. Un normale vascello militare ne avrebbe sparati due, qualora fosse l'ammiraglia di una flottiglia, tre, e se avesse trasportato uno dei Provveditori, quattro. I sei colpi erano riservati solo al Principe.

Le batterie del porto replicarono con la medesima quantità di cannonate, inviando subito una squadra di marinai per agguantare le gomene che la Leonessa presto avrebbe gettato verso terra.

Passò più di mezz'ora dall'inizio della manovra alla sua conclusione: le enormi cime di ormeggio vennero fissate alle bitte sul molo ed il grosso scafo fu portato ad affiancarsi alla struttura, dove venne portata una sorta di scala munita di ruote, per permettere agli ufficiali di sbarcare in completa sicurezza, senza perdere la loro dignità dovendosi muovere su delle biscagine.

Barbaglio, leggermente a disagio, si tenne con una mano al sottile parapetto della scala mentre la scendeva. Nell'altra mano reggeva il suo bastone, che nella discesa gli sarebbe stato vagamente d'impiccio. Il vecchio si sentiva un po' ridicolo nel dover fare quelle mosse, ma ingoiò il rospo e, messo piede sulla terraferma, si levò il cappello, porgendo un leggero inchino alla persona che presiedeva il corteo di benvenuto schierato davanti a lui.

Essa era una donna ancora più anziana del Generale: appariva piccola e secca, ma il suo portamento rimaneva fiero e retto, molto più di quello del militare. I suoi capelli, ormai grigi e piuttosto radi, erano tagliati cortissimi, quasi a spazzola, e venivano coperti da un ampio cappello viola adorno di piume di vari uccelli.

L'abito, del medesimo colore, appariva elegante ma non troppo complesso, con una cintura riccamente intarsiata in vita e, sotto la gonna, degli stivali muniti di una punta placcata in argento ed affilata come un rasoio. Al collo, la vecchia portava una pesante torque d'oro con un pendaglio che raffigurava la bandiera della Repubblica. Nei momenti in cui non utilizzava l'uniforme, il Provveditore delle terre della capitale: Marina Morosini, usava quel gioiello per indicare la sua posizione, malgrado non ne avesse bisogno, visto che il suo viso ispirava una naturale autorevolezza.

Rialzando lo sguardo, Barbaglio le sorrise, rimettendosi il cappello in testa. La donna replicò con la stessa espressione, per poi allargare le braccia, inspirando profondamente.

-Bentornati a casa!- urlò con una rituale teatralità in modo che i presenti la sentissero chiaramente. -Bentornati ai nostri eroi!-

Gli applausi della gente giunta fin lì iniziarono ad affollare il porto. Anche ad uno come Barbaglio la cosa non poteva che far piacere: gli faceva pensare che qualcuno che amasse lui e quelli della sua risma esistesse ancora dopotutto. 

Gli ufficiali si schierarono dietro a Domenico, seguiti da una buona parte dei marinai, che si sparpagliarono tra la gente, per raggiungere le proprie famiglie, o in certi casi alcuni amanti che attendevano il loro ritorno. 
Marina, protetta da una scorta, si avvicinò al Generale, pronta a stringergli la mano, quando l'improvviso suono di centinaia di campane le fece morire in gola ogni parola. Ogni campanile della città iniziò a suonare a festa, con una foga eccessiva per il semplice rientro di delle truppe vittoriose. 

Quello era il suono dell'elezione del nuovo Principe. 

-Lunga vita al Princeps.- disse uno degli ufficiali alle spalle di Domenico.

-Lunga  vita...-

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